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La Spagna saluta i tre porcellini

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – I “porcellini“ dell’Eurozona (PIGS: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) potrebbero tornare ad essere tre, “perdendo” l’ultimo componente. La Spagna mostra timidi segnali di ripresa economica, trainata principalmente da un ingente afflusso di capitali esteri e dalla ritrovata forza delle esportazioni. Cos’ha caratterizzato quest’inversione di tendenza, e soprattutto è sostenibile il sentiero di crescita intrapreso dal paese iberico? Ecco un ritratto, tra luci ed ombre, del possibile futuro protagonista del panorama economico europeo

1. Perché gli analisti considerano la Spagna fuori dalla crisi?

Dopo circa tre anni contraddistinti dal segno negativo, il PIL spagnolo nel terzo trimestre del 2013 è tornato a crescere. I dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (INE) confermano l’uscita dalla recessione: + 0.1% rispetto al -0.1% del trimestre precedente. Un timido segnale (su base annua si è registrata, invece, una contrazione del PIL dell’1.1%, dato comunque inferiore alle attese del -1.2%), che però può essere interpretato come un’importante inversione di tendenza. Le riforme attuate dal governo Rajoy sembrano aver dato slancio alla competitività nazionale, principalmente in termini di riduzione dei costi unitari di produzione.

2. Quali sono state le mosse economiche messe in atto dall’attuale governo?

La stabilità del governo di centro-destra, eletto nel 2011 con la vittoria del Partido Popular, è sicuramente uno dei fattori chiave dell’eventuale ripresa. La possibilità di varare riforme strutturali senza essere in balia delle varie forze parlamentari ha permesso a Rajoy di operare soprattutto sulle privatizzazioni e sul mercato del lavoro. Gli investitori stranieri non si son fatti pregare e, nel solo 2012, gli investimenti diretti esteri sono stati pari a circa trenta miliardi di euro, ben venti in più rispetto al nostro paese. Infatti, non solo sembra essere ritornato in auge il mercato dell’immobiliare (Bill Gates ha investito 113,5 milioni nel gruppo di costruzioni Fcc), ma anche il settore automobilistico sembra aver ripreso vigore. La Spagna, con una produzione semestrale di 1,5 milioni di vetture, è il secondo produttore europeo, grazie alla decisione dei grandi gruppi industriali (Ford, Renault, Peugeot-Citroën e Nissan) di potenziare la loro produzione nel paese.

3. Qual è il fattore che traina la ripresa?

Le vendite sui mercati esteri di merci iberiche negli ultimi anni sono cresciute più di quelle italiane: un andamento che si è accentuato nel 2013. L’export spagnolo è cresciuto in agosto del 3.6% rispetto allo stesso mese del 2012, mentre l’Italia continua a registrare una significativa flessione (sia per le esportazioni che, in misura più significativa, per le importazioni). La Spagna ha guardato oltreoceano per vendere le proprie merci: i paesi emergenti rappresentano una grossa fetta dei mercati di sbocco spagnoli e sono in continua crescita (Cina 13%, Brasile 40% e Sudafrica 62,4%).

4. Allora i lavoratori spagnoli possono ben sperare nel nuovo anno?

Nonostante tali performance, sul fronte lavoro si è passati da un tasso di disoccupazione dell’8,5% nel 2007, due punti e mezzo in piĂą dell’Italia, al 26% nel 2013, ben 14 punti in piĂą rispetto al nostro paese. La tanto auspicata flessibilitĂ  del mercato del lavoro per il momento risulta essere tale solo in uscita. Le riforme intraprese hanno difatti dimezzato i costi di licenziamento per le imprese e, anche se il giudice dovesse decidere il reintegro, l’impresa può sempre scegliere di licenziare pagando un indennizzo al dipendente. Il risultato è una vera e propria crisi sociale, che ad oggi può contare su circa 5 milioni di disoccupati. Il dato fa ancora piĂą paura se si considera che a quasi un milione e mezzo di famiglie è stato tagliato il servizio elettrico. Il Partido Popular, nel mese di novembre, ha rigettato cinque emendamenti che proponevano di vietare il taglio della corrente elettrica durante l’inverno alle famiglie piĂą vulnerabili, come giĂ  avviene in Francia e Gran Bretagna. Inoltre, a sancire la difficoltĂ  del Governo nel mantenere il consenso delle parti sociali disilluse dalla gestione dei costi della crisi, il partito conservatore ha di recente varato la Ley de Seguridad Ciudadana (legge per la sicurezza cittadina), nota oggi come “legge bavaglio”, che nei prossimi mesi limiterĂ  drasticamente il diritto a manifestare: dal reato di partecipazione ad un corteo non autorizzato, sanzionabile con multe fino a 30mila euro, al divieto della diffusione di immagini e video della polizia nell’esercizio delle sue funzioni.

Si avvicinano tempi migliori per il Premier Mariano Rajoy?
Si avvicinano tempi migliori per il Premier Mariano Rajoy?

5. Tale modello di crescita è sostenibile?

E’ allora chiaro il meccanismo che spinge la produttività e quindi la competitività rispetto ai paesi concorrenti. Non potendo svalutare a causa della moneta unica, per essere più produttivi nel breve periodo bisogna agire sulla competitività interna comprimendo il costo unitario del lavoro (maggior voce di spesa di un’impresa); difficilmente si potrà optare per una riduzione del salario (chi accetta, da un giorno all’altro, una minor retribuzione?), ed allora si opera sulla riduzione della “quantità” di lavoro (licenziamento del personale, derivante da una molto più che agevole flessibilità in uscita). L’export va meglio dove la disoccupazione aumenta; è già successo in Grecia e Portogallo nel 2012, sta accadendo in Spagna e lo vedremo anche in Italia. Si potrebbe aggiungere che al recupero di quote d’esportazioni dei PIGS, non corrisponda neanche una riallocazione della capacità produttiva delle loro industrie nei confronti dei paesi del cosiddetto centro. Il divario della capacità produttiva tedesca da quella spagnola è andato costantemente ampliandosi negli ultimi anni, constatando la forte asimmetria del riequilibrio competitivo, che ha preso vita, in questi paesi, dalla costrizione del mercato domestico. La ripresa però non può non contare sulla domanda dei consumatori nazionali; persino le imprese esportatrici hanno una base di vendita nel mercato domestico (ad esempio il 65% del fatturato per gli esportatori italiani). Il gioco non vale la candela se si considerano gli elevati costi sociali e di perdita di base produttiva insiti in questo processo. Tale modello di crescita potrebbe risultare, alla lunga, la strada errata.

Davide Del Prete 

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Davide Del Prete
Davide Del Prete

Mi sono laureato in economia dello sviluppo avanzata presso l’Università degli Studi di Firenze nel 2012 con una tesi sulla relazione tra il commercio internazionale e la disuguaglianza, ed attualmente sono un dottorando, al secondo anno, in economia e finanza internazionale alla Sapienza. Dopo aver partecipato ad un progetto di ricerca nel sud del Portogallo nel 2011 sullo sviluppo sostenibile, ho collaborato con la Farnesina per una relazione economica sui paesi dell’Africa occidentale. In attesa di future esperienze estere, tento di ritagliarmi un piccolo spazio nella nostra penisola.

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