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I principali trend della pirateria marittima

Miscela Strategica – La pirateria marittima ha origini antiche, ma costituisce tuttora una grande minaccia per la sicurezza dei traffici. Ancorato nell’immaginario comune attraverso una lunga produzione letteraria e cinematografica, il fenomeno si è evoluto in termini di zone interessate e modalità degli attacchi. Questo articolo è un’indagine sulle aree geografiche più esposte alla pirateria.

LA PIRATERIA OGGI – La pirateria produce notevoli danni a livello economico, politico e umano ed è un fenomeno che va affrontato in maniera coordinata e tempestiva. Nel quadro legislativo internazionale la pirateria è inquadrata dalla Convenzione sull’alto mare di Ginevra del 1958 e dagli articoli dal 100 al 107 della Convenzione sul diritto del mare delle Nazioni Unite (UNCLOS) del 1982. Ma quali sono, al giorno d’oggi, le aree maggiormente interessate dalla pirateria? Esistono varie raccolte di dati e analisi in proposito, le quali, però, soffrono principalmente di almeno tre problemi:

  1. Alcuni atti di pirateria non vengono registrati ufficialmente e quindi non sono riportati nelle statistiche fornite.
  2. Gli studi sulla pirateria usano indicatori diversi per classificare gli atti di pirateria rendendo difficile la costruzione di un quadro chiaro e dettagliato.
  3. Molte analisi si concentrano su specifiche aree e non offrono una visione globale dell’andamento del fenomeno.

Proviamo quindi a offrire una visione d’insieme dell’andamento attuale della pirateria e delle zone maggiormente colpite, cercando di capire non solo dove il fenomeno è più diffuso, ma anche con quale intensità.

[toggle title=”Approfondimento – Una definizione della pirateria” state=”close” ]Un report della Marina Militare italiana sulla pirateria ne riprende la definizione contenuta nell’articolo 101 della United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), secondo la quale la pirateria consiste in:
a) ogni atto illecito di violenza, di sequestro o di depredazione, commesso per fini privati, dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave privata o di un aeromobile privato, e rivolti:
– nell’alto mare, contro un’altra nave o aeromobile o contro persone o/e beni da essi trasportati;
– contro una nave o aeromobile, oppure contro persone e beni, in un luogo che si trovi fuori della giurisdizione di qualunque Stato;
b) ogni atto di partecipazione volontaria alle attività di una nave o di un aeromobile, commesso nella consapevolezza di fatti tali da rendere tali mezzi, nave o aeromobile, pirata;
c) ogni azione che sia di incitamento o di facilitazione intenzionale a commettere gli atti di cui sopra [/toggle]

UNITÀ DI MISURA – Le principali fonti di dati sulla pirateria sono a oggi l’International Maritime Organization (IMO) e il Piracy Reporting Centre dell’International Maritime Bureau (IMB-PRC). Questo articolo si è avvalso dei dati ufficiali di IMO e IMB-PRC, oltre che di studi basati su questi dati come un report dello United Nations Operational Satellite Applications Programme (UNOSAT), che propone anche uno studio geospaziale del fenomeno della pirateria. Di notevole importanza anche un’analisi della United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD), Maritime Piracy – An Overview of costs, trend and trade-related implications. In particolare, UNOSAT e l’IMB-PRC forniscono dati sull’andamento e sviluppo della pirateria, tentando di inquadrarla sulla base del numero, ma anche del tipo di incidenti. Tutti i dati si riferiscono al 2013.
Confrontando quanto rilevato da tali fonti (e altre complementari, vedi Chicco), abbiamo proceduto con il confronto secondo due criteri di base: numero di incidenti riportati in ogni area geografica e indice di intensità e gravità degli incidenti in termini di danni prodotti a livello politico, economico e umano.

http://gty.im/86357652

DOVE SONO I PIRATI? – Dal confronto dei dati relativi a numero, tipologia e intensità degli attacchi emerge che le aree geografiche maggiormente interessate dalla pirateria oggi sono principalmente quattro, che proponiamo in ordine di importanza:

[tabs type=”horizontal”][tabs_head][tab_title]1. Golfo di Guinea[/tab_title][tab_title]2. O. Indiano ovest[/tab_title][tab_title]3. O. Indiano est [/tab_title][tab_title]4.Sud America[/tab_title][/tabs_head][tab]L’area del Golfo di Guinea è, in ordine di pericolosità e numero di incidenti, la prima della lista. UNOSAT, IMO e IMB-PRC registrano che il numero di attacchi di pirateria non accenna a diminuire. Gli attacchi lontano dalla costa sono aumentati, mentre sono diminuiti quelli nei porti. I tipi di attacchi sono sia di bassa intensità, sia considerevolmente violenti. In ultimo, i danni finanziari dei Paesi i cui porti si affacciano sul Golfo sono notevoli e per questo alcuni di essi hanno intrapreso azioni militari significative contro i pirati del mare. Una considerevole parte degli incidenti che avvengono nell’area non è inclusa nei dati ufficiali, perché molti di essi, specialmente in prossimità della Nigeria, non vengono ufficialmente registrati. L’IMB-PRC raccomanda un livello di allerta notevole durante il transito nelle zone di Nigeria, Benin e Togo, poiché i pirati locali sono spesso ben armati e violenti e alcune imbarcazioni sono state derubate e dirottate. Si sono verificati anche episodi di rapimenti. [/tab][tab]Nella parte occidentale dell’Oceano Indiano e in particolare nel Golfo di Aden si registra una considerevole diminuzione degli attacchi pirateschi nel 2013 (28 incidenti nel 2013, di cui solo 8 a partire dal 15 agosto). Nessuna imbarcazione è stata dirottata, la distanza media del luogo degli attacchi dalla costa è diminuita dai 400 chilometri nel 2010 ai 50 chilometri nel 2013, a riprova, secondo UNOSAT, del fatto che il raggio di distanza dalla costa degli attacchi con successo è diminuito. In termini monetari, i riscatti pagati ai pirati sono diminuiti da 150 milioni di dollari americani nel 2011 a 60 milioni nel 2012. Nonostante tali miglioramenti, la zona del Golfo di Aden rimane molto pericolosa per numero ed entità degli attacchi contro imbarcazioni in transito e quasi equiparabile a quella del Golfo di Guinea. La regione è infestata principalmente dalla violenta pirateria somala e dati ufficiali della Associated Press del 26 marzo 2013 riportano che circa 50 imbarcazioni sono state prese dai pirati nel 2010 nel Golfo di Aden, a fronte di circa 200 attacchi, sebbene senza successo. L’International Maritime Bureau avverte che l’area rimane molto pericolosa nonostante il numero totale di attacchi pirateschi sia diminuito grazie alle azioni militari e di vigilanza intraprese dai Paesi della zona. Inoltre, lo stesso Bureau, dichiara esplicitamente che il numero globale di attacchi di pirateria è diminuito nel 2013 soltanto perché sono diminuiti gli attacchi dei pirati somali in quest’area, grazie alle misure di sicurezza intraprese. Questo però non garantisce le imbarcazioni in transito contro un tipo di pirateria violenta. I pirati somali sono bene armati e attaccano spesso nella zona del Golfo di Aden, oltre che nelle vicinanze dello stretto di Bab-el-Mandeb. Le navi vengono raggiunte da colpi di arma da fuoco per poi essere dirottate verso la costa somala con richieste di ingenti cifre da pagare come riscatto. Riguardo alla Somalia, l’IMB-PRC specifica che il modus operandi dei pirati somali prevede attacchi parecchio lontano dalla costa. La pirateria somala ha raggiunto posti come Kenya, Tanzania, Seychelles, Madagascar e ancora Yemen, Oman e zone circostanti.[/tab][tab]L’area del Sudest asiatico e il subcontinente indiano vedono una leggera diminuzione del fenomeno piratesco, sebbene non un significativo cambiamento né nel numero degli attacchi, né nella loro intensità. Questa rimane quindi un’area cruciale dei traffici marittimi mondiali, ma di elevato grado di pericolosità. In generale, secondo UNOSAT, IMO e IMB-PRC, gli incidenti in quest’area sono in generale un po’ meno violenti di quelli nell’area africana e vengono riportati in modo più accurato. Anche se negli ultimi anni il fenomeno della pirateria era stato parzialmente arginato nell’arcipelago indonesiano, il numero di attacchi è di nuovo salito recentemente. Ciò è dovuto in parte anche alla presenza dello stretto di Malacca, che costituisce un passaggio strategico per i traffici marittimi mondiali, attestandosi come una delle vie più importanti del petrolio. Nel 2013 il numero degli incidenti in Bangladesh, India e nello stretto di Malacca è di un numero considerevole (ben 57). Di questi, secondo lo studio di UNOSAT, 13 si attestano sulla categoria «moderatamente significativi», 20 appartengono alla categoria dei «meno significativi» e 2 si attestano sulla categoria ancora più bassa dei «furti insignificanti». L’International Maritime Bureau arriva a conclusioni molto simili, dichiarando che la maggior parte degli attacchi nelle acque dell’Indonesia si qualifica come furti di basso profilo e non può essere paragonata alla pericolosa pirateria in area africana. È pur vero che nel 50% degli incidenti verificatisi nelle acque indonesiane i pirati sono riusciti a salire sulle imbarcazioni. Inoltre si è registrato un incremento di «armed robbery activity» negli ultimi 4 anni. Gli attacchi nelle acque dell’India e del Bangladesh rimangono di basso profilo e intensità. [/tab][tab]In Sud America il numero di attacchi è relativamente basso rispetto alle aree geografiche di questa lista, così come la loro intensità. I dati ufficiali rilevano che tra il 2006 e il 2013 le attività di pirateria nell’America meridionale e nei Caraibi sono state sensibilmente inferiori a quelle delle altre aree. Sono stati registrati solo 216 incidenti di cui, secondo UNOSAT, 102 possono essere considerati gravi, perché legati a episodi di minaccia di violenza o violenza, con un totale di 3 vittime durante gli incidenti. Nel 2013 si sono verificati altri 16 attacchi. In generale, molti degli incidenti potrebbero essere descritti come «armed robbery» piuttosto che «piracy». Gli attacchi lontano dalla costa sono rari e si sono verificati piuttosto nella zona del Venezuela e delle Antille. Tuttavia questi episodi non portano severi problemi al transito nell’area come succede, invece, nell’Oceano Indiano.[/tab][/tabs]

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[box type=”info” align=”aligncenter” ] IL TREND GENERALE – Secondo UNOSAT, il fenomeno ha conosciuto un periodo di intensificazione alla fine degli anni Novanta, toccando un picco nell’area dell’Oceano Indiano occidentale nel 2011. Ma nel complesso si è verificato un significativo declino della pirateria a livello globale a partire dall’inizio del 2013. Ci sono stati 569 attacchi a imbarcazioni in tutto il mondo nel 2011, 353 nel 2012 e 264 nel 2013. L’analisi di UNOSAT, basata sui dati raccolti dall’IMO, riferisce che, tra le aree sopra menzionate, sono stati rilevati particolari cambiamenti nell’area dell’Oceano Indiano occidentale – incluso il Golfo di Aden – e nel Golfo di Guinea. In altre aree, come la parte orientale dell’Oceano Indiano – compreso dunque lo stretto di Malacca – e in Sud America non sono state osservate particolari variazioni nell’andamento del fenomeno. Infatti, mentre nell’America meridionale il trend della pirateria provoca danni di entità minima, nello stretto di Malacca continua una delle maggiori minacce ai traffici marittimi. In generale, le statistiche dell’International Maritime Bureau – Piracy Reporting Centre sostengono che, dei 264 attacchi totali, del 2013, il 75% proviene dai seguenti Paesi: 9 dalla Malesia, 31 dalla Nigeria, 9 dagli stretti di Singapore, 9 dal Vietnam, 12 dal Bangladesh, 14 dall’India, 106 dall’Indonesia. Inoltre, viene rilevato che, del numero totale di incidenti, 128 si sono verificati nell’Asia Sudorientale, 79 in Africa, 26 nel Subcontinente indiano, 28 nelle Americhe e 13 nell’Estremo Oriente. Ma si tratta solo di dati relativi al numero di attacchi, mentre la nostra valutazione ha tenuto conto, nel classificarli come significativi, anche della loro intensità. Lo stesso report dell’IMB e quello di UNOSAT si sono serviti di ulteriori dati e indici per distinguere la pericolosità degli attacchi.[/box]

 Annalisa De Vitis

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più

Per integrare i dati ufficiali e valutare la gravità degli attacchi in ciascun contesto sono stati esaminati un’analisi di Peter Chalk della RAND Corporation, Maritime Piracy. Reasons, dangers and solutions e uno studio realizzato da Oceans Beyond Piracy – a Project of the One Earth Future Foundation intitolato The State of Maritime Piracy 2013.

Per chi volesse approfondire consigliamo inoltre:

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Foto: EU Naval Force Media and Public Information Office

 

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Annalisa De Vitis
Annalisa De Vitis

Appassionata di geopolitica, strategia militare e cinema. Il mio background va dagli studi di relazioni internazionali a quelli di comunicazione politica. Ho studiato in Italia, Belgio e Stati Uniti. Dopo aver concluso un dottorato di ricerca in politica estera e comunicazione, svolgo studi a e analisi per organizzazioni e università statunitensi ed europee che si occupano di politica estera. Il mio focus  è  il Medioriente e ho un particolare interesse per gli studi sul terrorismo.

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