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Lo scandalo Volkswagen

Con un annuncio l’ex amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, ha ammesso la frode sui test antinquinamento negli Usa. L’Ufficio automobilistico federale tedesco ha dato tempo fino al 7 ottobre per regolarizzare i modelli incriminati, pena il ritiro dal mercato. Le conseguenze sono di vario genere e natura, spieghiamo le più importanti

LA REAZIONE DELLE BORSE – Il 21 settembre il titolo Volkswagen ha aperto la giornata alla Borsa di Francoforte con un -15%, toccando il picco di -22%, per poi chiudere a -18,6%, registrando un calo del valore delle azioni da 162,4 € a 126,40 €. La casa di Wolfsburg avrebbe già perso circa 13 miliardi di euro, con la capitalizzazione che è crollata da 76,24 miliardi a 63,33 miliardi di euro, il peggior tracollo da ottobre 2008. Anche l’intero settore europeo dell’auto ha subito forti perdite, con l’indice Stoxx Automobiles che ha perso il 7,3%. Volkswagen sconta lo spettro della maximulta da 18 miliardi di dollari che la Environmental Protection Agency (Epa) potrebbe infliggerle in seguito all’indagine avviata dal ministero della Giustizia statunitense per violazione delle norme antismog, e che è stata estesa anche a veicoli diesel di altre case automobilistiche, come dichiarato dal portavoce della Casa Bianca Josh Earnest. Secondo il report diffuso il 20 settembre da Alliance Bernstein – nota società di gestione dei risparmi – la sanzione non toccherà la cifra record dei 18 miliardi, perché potrebbe essere calcolata in base alle “dimensioni” di Volkswagen negli Usa e non del gruppo per intero. Probabilmente verrà superata la cifra di 1,2 miliardi di dollari, ovvero ciò che spettò alla Toyota nel 2010, a cui potrebbero essere aggiunti i costi dei richiami più eventuali conseguenze penali, oltre le quasi sicure scuse ufficiali al Congresso, come accadde a Mary Barra, a.d. di General Motors (GM), e Akio Toyoda, a.d. della Toyota. Il mercato ha reagito al report in maniera negativa: il titolo ha registrato una perdita di 36 € per azione in data 21 settembre, mentre l’analista di Alliance Bernestein Max Warburton stimava la perdita peggiore – calcolata sulla multa di 18 miliardi – a 35 €. Il gruppo tedesco ha poi dichiarato l’intenzione di bloccare la vendita dei modelli diesel 4 cilindri nel mercato americano. Scelta dolorosa, perché questi modelli rappresentano il 23% delle vendite di agosto. L’intero mercato ha risentito degli effetti: il titolo Fiat Chrysler Automobiles (Fca) ha registrato un calo del 7,5% portandosi a 11,35 € per azione, Cnh Industrial un -5,71% a 5,78 € e Exor -4,58% a 37,26 euro. Per ora il board di Volkswagen ha stanziato un fondo di 6,5 miliardi di euro per affrontare la crisi. Questa cifra avrà quasi sicuramente effetti negativi sul bilancio complessivo, infatti ha già allarmato gli azionisti della casa di Wolfsburg. A peggiorare la situazione hanno provveduto le agenzie di rating: Moody’s ha declassato da “stabile” a “negativo” il rating di Volkswagen e anche Standard & Poor’s potrebbe “tagliarlo”, dato che ha comunicato ufficialmente di avere posto il rating A/A1 di Volkswagen sotto’esame, con un credit watch negativo.

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Fig.1 – L’ex a.d. Volkswagen Martin Winterkorn in conferenza stampa, 13 marzo 2014

BERLINO, NON È SOLO QUESTIONE DI STILE – La gravità della truffa si estende oltre il danno ambientale, soprattutto perché durante le crisi europee la Germania ha esercitato, per diverse ragioni, una forte leadership basata sulla virtuosità e sul rispetto delle regole. La caduta della Volkswagen, molte volte protetta dal Governo tedesco in tema di emissioni e di obblighi europei, mina la credibilità teutonica, il dogma di rispettare sempre e comunque le norme e la forza della Germania in politica europea e estera.
Il ministro dei Trasporti Alexander Dobrindt ha negato di essere a conoscenza dei fatti, anche se il 28 luglio aveva ammesso di sapere da mesi dei i test e delle differenti emissioni misurate su strada, in risposta a un’interrogazione parlamentare promossa dal partito dei Verdi.
Lo scandalo ha una valenza economica e morale elevatissima. Nel 2011 il Governo tedesco ha approvato una legge che farà chiudere entro il periodo 2015-2022 tutte le centrali nucleari del Paese per ragioni di costi e alla luce delle conseguenze del disastro di Fukushima. Lo annunciò l’allora ministro dell’Economia – in carica per 5 giorni – Philipp Rösler: la Germania, privandosi della fonte del 22% della sua produzione lorda di elettricità, puntò sulla costruzione di centrali eoliche offshore e sulle centrali a gas o a carbone, imponendo ai contribuenti un costo – secondo gli esperti – tra i 90 e 200 miliardi di euro.
Nell’immediato è inoltre da registrare la morte del progetto di Volkswagen con Suzuki per le auto ibride. I giapponesi hanno infatti venduto alla controllante Porsche l’1,5% della Volkswagen – pari a 4,4 milioni di azioni. La casa giapponese non ha reso noto l’importo della vendita, ma ha comunicato, per il trimestre in corso, un profitto fuori previsione di circa 36,7 miliardi di yen, pari a circa 270 miliardi di euro.
Il Governo di Berlino ha fondati timori di ripercussioni sull’intero export, la componente che rende da anni la Germania la “locomotiva europea”. Perciò il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier e la cancelliera Angela Merkel hanno auspicato che la questione venga affrontata velocemente e con fermezza, mentre il ministro Dobrindt ha annunciato la creazione di una commissione d’inchiesta ad hoc. Il 26 settembre al Teatro Odeon di Firenze, davanti a 800 giovani studenti riuniti dall’Osservatorio permanente dei giovani editori, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ha definito la truffa «un errore stupido, che può minare la credibilità del made in Germany».
Secondo il quotidiano economico tedesco Handelsblatt, il Governo sarebbe dell’idea di introdurre e implementare la class action a partire dal 2016, come dichiarato dal segretario per la tutela dei consumatori presso il ministero di Giustizia.

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Fig.2 – La cancelliera Angela Merkel allo Internationale Automobil-Ausstellung, a bordo di una Golf, 12 settembre 2013

LA POSIZIONE E I PIANI DELL’UE – La questione è aperta anche sul fronte europeo. La Commissione europea vuole risposte. Ma a differenza di quanto avviene nell’ambito della concorrenza, non ha il potere di aprire direttamente un’inchiesta, poiché se per le eventuali frodi dei produttori è Bruxelles a sanzionare, l’applicazione e il controllo in questo caso spetta agli Stati membri. Il commissario UE responsabile per il Mercato interno e dell’industria Elzbieta Bienkowska, ha perciò richiesto alla presidenza lussemburghese di turno di introdurre in agenda della riunione del Consiglio competitività lo “scandalo Volkswagen”, cosa avvenuta il 1° ottobre. Per quanto riguarda la data del meeting tra le autorità nazionali, annunciato dalla portavoce per il Mercato interno Lucia Caudet, la data ancora non è stata fissata. La Commissione sembra intenzionata a non accontentare le richieste di Londra e Parigi, dato che per ora sembra bocciata la loro richiesta di un’indagine straordinaria su scala europea.
A gettare benzina sul fuoco ha provveduto il Guardian, secondo il quale Francia, Germania e Gran Bretagna, avrebbero fatto pressioni sulla Commissione per “mantenere in piedi la truffa”. Il giornale britannico cita dei documenti dello scorso giugno, dove si invitava a trovare delle “scappatoie” ai test, i New European Driving Cycle (Nedc), prossimi alla sostituzione nel 2017. Non è meno indulgente il Financial Times, che ha riportato una relazione tecnica del Joint Research Centre – istituto scientifico della Commissione – del 2013. La Commissione sarebbe quindi a conoscenza dei test alterati – oltretutto con azioni definite illegali dalla UE nel 2007 – già da due anni, .
Lo scandalo avrà probabilmente ricadute pesanti e su diversi fronti. È lecito interrogarsi sulla sorte del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), che già aveva le sue note e gravose difficoltà. Sicuramente avrà meno credibilità la conferenza di Parigi sul clima del prossimo dicembre, dopo la già infruttuosa riunione di Copenaghen nel 2009. L’UE, proprio quando sembrava indirizzata verso un lento cammino di ripresa dagli effetti della “crisi greca, dovrà fare i conti con il potenziale deragliamento della “locomotiva tedesca”. Inoltre si potrebbe aggravare la già profonda crisi di fiducia tra gli Stati europei.

MARCHIONNE E IL PIANO TAJANI – Molto probabilmente oggi la Volkswagen e la Germania avrebbero meno forza per contrastare la politica invocata nel 2012 dall’a.d. Fca Sergio Marchionne. Nota è l’avversione tedesca per la chiusura di stabilimenti e al “taglio” della produzione, non barattabile nemmeno con forti ammortizzatori sociali. Da questa volontà è nato nel 2012 il “piano Tajani” – dal nome dell’allora commissario UE all’Industria Antonio Tajani – supportato dalla Banca europea per gli Investimenti (BEI), che ha finanziato il comparto auto con oltre 14 miliardi di euro. Il piano ha puntato sulla promozione degli investimenti in R&D e sul rafforzamento del Mercato interno e, inoltre, ha posto le basi per nuovi accordi commerciali internazionali e per la riqualificazione del personale nel caso di chiusura di impianti. Un programma lontano dal “Marchionne-pensiero”, che è notoriamente favorevole alla “razionalizzazione” della produzione attraverso la chiusura di stabilimenti allo scopo di ridurre l’eccesso sul lato dell’offerta. In un’intervista del 2012 allo International Herald Tribune Marchionne denunciava la politica di sconti aggressivi messa in atto da Volkswagen, bollandola come un «bagno di sangue sui prezzi e sui margini», “condito” con un eccesso di produzione e di manodopera e con un mercato del lavoro rigido. Lo scontro “Marchionne-Volkswagen” si ripropose anche quando la casa tedesca – sempre nel 2012 – avanzò offerte d’acquisto per l’italiana Alfa Romeo.

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Fig.3 – L’a.d. Fca Sergio Marchionne in conferenza stampa a Detroit, 1° gennaio 2015

CAPITOLO FUSIONI – Lo scandalo potrebbe dare ragione a Marchionne. Quest’ultimo sostiene già da tempo che le normative di omologazione, i nuovi gusti degli acquirenti e l’alta tecnologia hanno portato a un generale aumento dei costi, che a medio termine sarà insostenibile per i singoli. L’unica soluzione sarebbe quindi la fusione tra grandi gruppi, cosa peraltro orchestrata dallo stesso nell’ottobre 2014 con la fusione tra Fiat e Chrysler.
Dopo lo scandalo la posizione delle grandi case produttrici potrebbe anche avvicinarsi a quella di Marchionne. Per capire la logica di quest’ultimo è utile conoscere che Fca investe esiguamente in R&D ed è indietro su molti aspetti come l’ibrido, l’elettrico o la guida autonoma. Come noto, GM è da tempo nel mirino di Marchionne, ma la casa americana ha più volte rispedito al mittente le richieste. L’a.d. Barra, in un’intervista al Wall Street Journal, ha ribadito il suo disinteresse ad aumentare le quota di mercato – cosa non sempre considerata ricetta per sicuri e lauti guadagni -, dichiarando che il suo obiettivo è solo quello di migliorare i margini di profitto. Come esempio ha indirettamente citato lo “scandalo Volkswagen”, che sarebbe nato dalla volontà della casa tedesca di “surclassare” Toyota nel volume di vendite annuali.
Secondo Giuseppe Berta, storico dell’industria dell’auto e docente all’Università Bocconi, GM potrebbe cedere al corteggiamento di Marchionne. Se questa accettasse l’accordo con Fca, oggi l’assenso tedesco su Opel sarebbe più facile da ottenere rispetto al “nein” del 2009. Secondo il docente lo scandalo potrebbe favorire Toyota, Kia e Hyundai, forse Audi, a patto che si dedichino all’ibrido e all’elettrico – visto che il Professore considera il “diesel pulito” un progetto difficilmente realizzabile.

Claudio Cherubini

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Un chicco in più

La “truffa Volkswagen” è stata scoperta quasi per caso da Peter Mock, il direttore del comparto europeo dello International Council on Clean Transportation (ICCT), un’organizzazione indipendente dedita all’analisi dell’impatto dei trasporti sull’ambiente. Dopo aver esaminato in Europa una Volkswagen Jetta, una Passat e una BMW X5, sono state messe sotto la lente le versioni americane. Le auto Volkswagen – a differenza della BMW – hanno fatto registrare dalle 10 alle 40 volte la quantità di ossidi di azoto emessa nei test. Il tutto è possibile attraverso un software della Bosch – multinazionale tedesca leader nella produzione mondiale di componenti  per auto – installato nelle centraline, che attiva il controllo delle emissioni. Volkswagen avrebbe fatto ciò per guadagnare mercato negli USA e in Giappone, storicamente convinti che la tecnologia diesel sia inquinante. Già lo scorso aprile, tuttavia, negli USA erano state inviate comunicazioni contenenti l’invito ai proprietari di recarsi nelle officine autorizzate per installare il software atto a regolare le emissioni secondo gli standard “a stelle e strisce”. Mock, dopo aver preso contatti con il suo omologo americano John German, ha messo in condizione l’Epa di indagare ufficialmente i modelli Audi A3, Golf, Jetta, Maggiolino e Passat montanti il motore diesel 2 litri EA 189. In totale sarebbero circa 11 milioni i modelli incriminati, di cui almeno la metà circolanti in Europa. La truffa rischia di mettere in seria crisi un colosso dell’industria automobilistica mondiale, fulcro della stessa Wolfsburg. Volkswagen conta 597.000 lavoratori – 273.000 in Germania – e intrattiene rapporti con diversi subfornitori tedeschi. È in grado di produrre ogni anno più di 10 milioni di automobili, possiede 130 fabbriche e, inoltre, controlla i marchi Audi, Bugatti, Ducati, Lamborghini, Porsche e Seat.

Per approfondimenti:

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Foto: Burnt Out Chevrolet

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Claudio Cherubini
Claudio Cherubini

Sono nato a Roma nel 1987, dove ancora risiedo. Sono laureato in Relazioni internazionali presso l’”Università degli Studi Roma Tre” e, non ancora saturo della materia, ho conseguito un master in “Relazioni internazionali e protezione internazionale dei diritti umani”, presso la “Società Italiana per l’Organizzazione internazionale” (S.I.O.I.) di Roma. Attualmente sono impegnato nella frequenza del master in “Global Marketing, comunicazione e made in Italy”, offerto dalla “Fondazione Italia USA” (di cui sono professionista accreditato) e dal “Centro Studi Comunicare l’Impresa” di Bari (C.S.C.I.). Coltivo a livello meramente amatoriale la passione per la letteratura italiana, mentre ho sviluppato un forte interesse per la crisi economica e finanziaria che da anni attanaglia il mondo, l’Italia particolar modo.

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