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American boom: un modello energetico esportabile?

Il boom dell’unconventional negli Stati Uniti sta sconvolgendo gli assetti geopolitici globali. E’ possibile replicare questo modello? Potranno emergere nuovi protagonisti? Analizziamo quali fattori si sono resi necessari in America e quali potranno essere i prossimi potenziali attori dello scacchiere energetico globale.

 

NUOVI PROTAGONISTI – Il rapporto IEA (International Energy Agency) per il 2013 ha ribadito ancora una volta che gli Stati Uniti dovrebbero diventare nel giro di pochi anni il più grande esportatore di petrolio mondiale, riuscendo a superare nel 2020 l’Arabia Saudita (11,1 milioni di barili al giorno contro i 10,6 sauditi). Questa evidente inversione di tendenza, che si andrà a palesare già dai prossimi anni con un brusco calo dell’Import americano (da 10 a 6 milioni di barili al giorno entro il 2014 secondo l’Energy Information Administration), è attribuibile principalmente all’esplosione oltreoceano delle tecniche di estrazione non convenzionali quali l’hydraulic fracturing, meglio conosciuto come fracking, o la perforazione orizzontale, tecnologie che hanno permesso sia il recupero di risorse cosiddette “unconventional” sia un migliore sfruttamento di molti giacimenti esistenti. Davanti a questo sogno energetico, tantissimi paesi hanno iniziato, con il supporto di tutte le majors energetiche mondiali, ad ispezionare il loro sottosuolo alla ricerca di risorse di questa natura sperando di ricalcare il percorso americano, per affacciarsi sul mercato energetico globale come nuovi protagonisti.

 

LE CHIAVI DEL SUCCESSO – Cina, Argentina, Messico, Indonesia, Australia, Polonia, Spagna e Ucraina sono solo alcuni dei paesi che hanno scovato potenziali giacimenti degni di nota, ma non per tutti sarà possibile sfruttare pienamente il loro potenziale: una favorevole situazione geologica è infatti necessaria ma non sufficiente per imitare il modello americano; sono altri, e parimente decisivi, i fattori necessari e tutti stanno risultando essere molto più selettivi e, paradossalmente, difficili da trovare di quello geologico.

Primo essenziale driver è il cosiddetto “business environment”, cioè il contesto economico in cui deve prendere avvio l’attività estrattiva: senza la presenza di numerose piccole imprese energetiche indipendenti (i così detti indipendent) e di un capillare network di aziende di servizi petroliferi è molto difficile che una forte attività non convenzionale prenda piede. Tutto ciò perché, essendo l’unconventional un settore intrinsecamente molto rischioso, le multinazionali sono poco propense a grandi investimenti in questo campo e perciò solo le piccole imprese, più agili e spregiudicate, possono davvero segnare la via e scommettere; non è un caso che uno dei maggiori artefici del boom dello shale gas negli Usa sia stata la Chesapeake Energy Corporation, semisconosciuta fino a pochi anni fa ed oggi il secondo più grande produttore di gas del paese.

Altro elemento cruciale si sta rivelando una incentivante legislazione in materia di diritti minerari. In pochi posti al mondo come negli Stati Uniti c’è così tanta terra in mano ai privati e così facile accesso ai report geologici: è facile localizzare le risorse ed è ancor più semplice persuadere i proprietari delle terre a permettere lo sfruttamento, tramite un sistema di royalty legate alla quantità di gas o petrolio estratto. Questo scenario è limitante per molti paesi, primo su tutti la Cina, una terra ricchissima di shale gas ma in cui il suolo è sostanzialmente tutto pubblico e la geologia è trattata come un segreto di stato, condizioni che rendono impossibile un serio investimento privato.

Ultimo fattore che è risultato essenziale per la definizione del modello americano è stato il supporto governativo: è necessario che il governo del paese in questione sia favorevole e prenda fortemente posizione anche scontrandosi contro un’opinione pubblica molte volte poco propensa ad aperture su questi fronti. In assenza di un baluardo governativo, nessuna multinazionale si impegnerà mai a fondo in un’impresa già di per sé rischiosa come lo sviluppo di un progetto non convenzionale.

 

THE NEXT STARS – Alla luce di quanto scritto finora, la rosa dei possibili candidati a ruolo di nuova star dell’ unconventional si è

Il fondatore della Cheasepeake Energy Corporation, Aubrey McClendon
Il fondatore della Cheasepeake Energy Corporation, Aubrey McClendon

notevolmente ridotta: chi per problemi di contesto economico, chi per difficoltà legali e chi per assenza di decise politiche governative, tantissimi paesi non vedranno nel breve periodo alcuno sviluppo per il loro potenziale energetico sotterraneo. Gli unici che potrebbero avere serie potenzialità sembrano essere l’Argentina, l’Australia e l’Indonesia, paesi dal sottosuolo molto ricco la cui industria energetica ricalca in alcuni aspetti quella statunitense, l’unica che fino ad oggi si è rivelata vincente in questo settore. Per quanto riguarda il vecchio continente, il giudizio resta sospeso: se in Europa occidentale il fattore governativo sembra davvero molto limitante, diverso è il discorso per l’est dove la voglia di affrancarsi dal monopolio russo è ogni giorno più forte e dove alcune multinazionali, Shell e Chevron su tutti, hanno iniziato ad investire pesantemente. E se fosse proprio l’Europa dell’Est il futuro eldorado dell’unconventional?

 

Giorgio Giuliani

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Giorgio Giuliani
Giorgio Giuliani

Sono nato a Roma, dove mi sono laureato in Ingegneria Gestionale prima di intraprendere un Master in Geopolitica, culminato con una tesi sul fracking e le risorse non convenzionali. Da sempre appassionato di questi temi, ho accumulato molteplici esperienze di diplomazia giovanile: ho preso parte a numerose MUN (Model United Nations) sia come Delegato che come Chairperson, ed ho rappresentato il Governo Italiano al G20 Youth 2012 in Messico. Per Il caffè geopolitico mi occupo di geopolitica energetica.

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