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Marò, quando lo stile conta

Al di lĂ  dei del merito della vicenda, e oltre il giochino “Chi ha ragione?”, si potevano gestire questi giorni in maniera ben diversa. La questione non è: “I marò tornano, l’India ha vinto, noi abbiamo perso”: con altre modalitĂ , Girone e Latorre sarebbero potuti tornare in India a partire da una nostra posizione di forza. Così, invece, rimangono tanti punti interrogativi. La certezza è che non ne usciamo bene: anche in questa occasione, è lo stile che fa la differenza.

 

Quando in diplomazia la forma vale almeno quanto il contenuto. Non vogliamo qui entrare nel merito della vicenda marò, abbiamo già trattato il tema con l’articolo di ieri di Lorenzo Nannetti. Ogni decisione presa avrebbe potuto essere legittima, a patto di accettarne le conseguenze. Vogliamo però denunciare il grave problema di comunicazione di questi giorni. Ricapitoliamo in poche righe: l’11 marzo, la voce della Farnesina è la seguente: “I due marò restano in Italia, l’India ha violato il diritto internazionale”. Il 18 marzo, il Governo ribadisce ufficialmente questa idea, anche in seguito alle proteste indiane. Ieri nel tardo pomeriggio, il dietrofront: al termine del permesso, che scadeva oggi, i marò rientrano in India, dopo aver ricevuto “rassicurazioni” sul trattamento. Nel comunicato ufficiale del Governo, nessun accenno a violazioni del diritto internazionale, solo al rispetto dei diritti dei due militari. Ripetiamo, non entriamo qui nel merito: ma far la voce grossa e poi lasciare tutto come da accordi precedenti, magari è legittimo, ma non è una gran bella figura.

 

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Il Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi

Se dieci giorni fa vi fosse stata una dichiarazione simile: “Se non avremo certe garanzie non li riconsegneremo alla scadenza del permesso”, citando la condivisibile preoccupazione per la sentenza del 18 gennaio, sarebbe stato tutto diverso: la decisione italiana avrebbe avuto una diversa legittimitĂ , e pressioni e responsabilitĂ  sarebbero state poste sull’India e non sul nostro Paese. L’Italia avrebbe così inoltre potuto chiedere con maggior forza all’Europa e all’ONU di esercitare pressioni sull’India per un arbitrato internazionale, che chiediamo da mesi. Le garanzie indiane sarebbe arrivate comunque, e allora avremmo potuto rispondere: “Ok, garanzie arrivate, possono ripartire come da accordi”. In tal caso avremmo mostrato ben altro stile, con una dimostrazione di forza e coerenza degna di un Paese che rispetta gli accordi e non rinuncia ai propri principi, screditando ulteriormente la posizione indiana e sottolineandone ancora di piĂą l’illegittimitĂ  internazionale. Così invece si è sommata una decisione che – corretta o meno – è passata come unilaterale, a quello che ora sembra un cedere su tutta la linea solo davanti alla rappresaglia indiana, anch’essa illegittima ma a questo punto destinata a passare sotto silenzio. Insomma, l’immagine passa da un atto di forza, quasi impulsivo, a un atto di debolezza, quasi di resa, con l’aggravante di un’apparente indecisione totale su quale linea tenere.

 

Bastavano un po’ di equilibrio e una comunicazione adeguata. Diciamolo, non ci pare un capolavoro di diplomazia. E sommando una gestione discutibile dell’episodio al continuo snobbare la politica estera tra le priorità del Paese, quell’immagine di un’Italia media potenza di qualche decennio fa appare sempre più sbiadita, e sempre più lontana.

 

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Alberto Rossi
Alberto Rossi

Classe 1984, mi sono laureato nel 2009 in Scienze delle Relazioni Internazionali e dell’Integrazione Europea all’UniversitĂ  Cattolica di Milano (FacoltĂ  di Scienze Politiche). La mia tesi sulla Seconda Intifada è stata svolta “sul campo” tra Israele e Territori Palestinesi vivendo a Gerusalemme, cittĂ  in cui sono stato piĂą volte e che porto nel cuore. Ho lavorato dal 2009 al 2018 in Fondazione Italia Cina, dove sono stato Responsabile Marketing e analista del CeSIF (Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina). Tra le mie passioni, il calcio, i libri di Giovannino Guareschi, i giochi di magia, il teatro, la radio.

Co-fondatore del Caffè Geopolitico e Presidente fino al 2018. Eletto Sindaco di Seregno (MB) a giugno 2018, ha cessato i suoi incarichi nell’associazione.

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