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I risvolti geopolitici dei disordini in Kazakistan

AnalisiLe illusioni di stabilità del Kazakistan, alimentate con cura dalla propaganda di regime per oltre vent’anni, sono crollate nella prima settimana del 2022. Le iniziali proteste pacifiche, diffusesi in tutto il Paese, sono rapidamente degenerate in violenza a causa delle infiltrazioni, tra i manifestanti,  di bande criminali e individui violenti. 

UNA CRISI INASPETTATA

Dopo il cambio di leadership messo in scena dal regime nel 2019, il deficit democratico del Kazakistan è rimasto molto significativo. La sua economia stagnante ha portato a una massiccia disuguaglianza tra classi sociali, regioni e gruppi di età. La società kazaka ha finito pertanto per esplodere a causa del fallimento definitivo delle promesse di miglioramento politico ed economico fatte dal regime negli anni scorsi.
Il 1° gennaio, mossi da una diffusa insoddisfazione, cittadini e lavoratori comuni del Kazakistan occidentale hanno iniziato a manifestare contro un rapido aumento dei prezzi del gas. Le loro lamentele socioeconomiche hanno presto portato a richieste più ampie di cambiamento politico, che sono diventate più intense quando le proteste si sono diffuse nella parte orientale del Paese. La mattina del 4 gennaio, l’opposizione inizialmente disaggregata ha dato vita a manifestazioni unitarie su larga scala, che chiedevano pacificamente un cambiamento sistemico.
La violenza ad Almaty e in altre aree ha interrotto l’evoluzione organica delle manifestazioni anti-regime, vanificando qualsiasi possibilitĂ  per l’istituzione di un’azione anti-regime coordinata all’interno e al di fuori dalle poche organizzazioni strutturate di opposizione che operano nel panorama politico del Kazakistan. Rapporti imprecisi dall’interno del Paese – dove il Governo ha imposto un blocco totale di internet, impedendo al contempo l’accesso ai giornalisti stranieri – hanno segnalato che, tra il 4 e il 6 gennaio, i manifestanti non avrebbero incontrato resistenza da parte delle forze di polizia e dei servizi statali, una presenza quasi onnipresente nelle azioni di contenimento di manifestazioni pubbliche di dissenso in Kazakistan.

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Fig. 1 – Le rovine annerite del municipio di Almaty, assalito e dato alle fiamme dai dimostranti durante le proteste di inizio gennaio

FATTORI TRAINANTI E IMPLICAZIONI

A livello nazionale la crisi ha riguardato uno Stato che non è riuscito a sviluppare meccanismi per sfogare il malcontento popolare e a elaborare politiche per il mantenimento dell’ordine interno. I licenziamenti tra i servizi di sicurezza e alcune morti sospette di alti ufficiali sono conseguenze di queste mancanze. Data l’età dei manifestanti, i disordini hanno rappresentato anche un cambio generazionale: la vecchia generazione sovietizzata, russificata e laica e’ stata rimpiazzata da una nuova generazione post-indipendenza costituita da islamici e nazionalisti.
A livello regionale le risposte alla crisi del Kazakistan illustrano il mutevole equilibrio di potere intorno al Paese e all’Eurasia. A causa della sua posizione geo-strategica, il Kazakistan viene spesso definito la “fibbia” della Belt and Road Initiative (BRI) multimiliardaria cinese, in quanto continua a essere il più grande produttore di petrolio dell’Asia Centrale (estraendo 1.6 milioni di barili al giorno, per un valore di 34 miliardi di dollari). Il petrolio rappresenta quasi il 60 per cento delle esportazioni di Nur-Sultan, attraverso tre rotte principali: i porti russi nei Paesi baltici, il Caspian Pipeline Consortium via Novorossiysk e gli oleodotti verso la Cina. Grandi gruppi energetici come ExxonMobil, Chevron, Eni e TotalEnergies hanno investito nel Paese decine di miliardi di dollari dal crollo dell’Unione Sovietica.
Il Kazakistan inoltre è anche il principale produttore mondiale di uranio, che rappresenta circa il 40% della fornitura globale stimata in 50mila tonnellate l’anno, prodotte da aziende come Kazatomprom e Orano SA. Tra l’altro la metà della produzione è esportata in Cina, mentre il resto è destinato verso altri mercati (Canada, Russia, India, Stati Uniti e Francia). Inoltre il Kazakistan ospita la seconda più grande operazione mineraria di bitcoin al mondo. Internet e interruzioni di corrente in tutto il Paese hanno comportato una riduzione del 12% del tasso totale di hash bitcoin (la quantità di potenza computazionale utilizzata dai minatori dedicati al conio di nuovi bitcoin), con stime di perdita per i minatori kazaki di oltre $ 4,8 milioni ogni 24 ore senza connettività.

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Fig. 2 – Le truppe della CSTO lasciano il Kazakistan dopo avere completato la loro missione, 13 gennaio 2022

ADDIO ALLA POLITICA MULTIVETTORIALE?

La decisione di sollecitare l’aiuto dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva (CSTO) a guida russa per sedare i disordini (un contingente di circa 3.500 uomini costituito da unità provenienti da Russia, Bielorussia, Armenia, Tajikistan e Kirghizistan) è risultata essere un’apparente contraddizione dell’approccio “multivettoriale” di lunga data del Kazakistan per bilanciare le grandi potenze. L’intervento della CSTO (a guida russa), nonostante la coreografica uscita delle truppe russe dopo pochi giorni, ha indubbiamente attirato il Kazakistan ancora di più nell’orbita della Russia. Il noto multivettorialismo kazako nelle relazioni estere, progettato per massimizzare le sovranità in una regione modellata dalla competizione tra grandi potenze, a breve si configurerà come un ricordo del passato, in quanto è plausibile che il regime di Nur-Sultan abbandonerà la sua tipica reticenza per integrarsi sempre di più all’interno dell’Unione economica eurasiatica. In virtù di questo multivettorialismo, il Kazakistan condivide con gli Stati Uniti un partenariato strategico rafforzato (con i gruppi di lavoro che si riuniscono regolarmente dal 1992), che comprende sicurezza, economia, energia e commercio: nell’ultimo incontro, avvenuto il 15 dicembre 2021, le due parti hanno gettato le basi per avviare un processo di stabilizzazione di relazioni commerciali permanenti. Chevron, ExxonMobil e ConocoPhillips (con sede negli Stati Uniti) sono le parti interessate predominanti nelle enormi distese petrolifere del Caspio del Kazakistan. Nel contempo, l’adesione del Paese all’Unione economica eurasiatica (EAEU) ha consentito al petrolio proveniente dai giacimenti occidentali di raggiungere i mercati globali attraveso un oleodotto che termina nel porto russo di Novorossijsk. 
L’ascesa del terzo vettore della politica estera kazaka, la Cina, ha complicato questa situazione. Pechino ha assunto un ruolo crescente in Asia Centrale, all’interno di un’emergente “divisione del lavoro” in base alla quale Mosca e Pechino si sono divisi le competenze regionali, con la prima che si occupa delle problematiche sulla sicurezza, mentre la seconda è competente per le problematiche economiche. Inoltre, da un lato il Kazakistan ha acquisito un ruolo centrale nel commercio di esportazione cinese via terra all’interno della citata BRI, assumendo un  ruolo di primo piano come fornitore di energia; dall’altro, la Cina ha azioni che controllano rispettivamente il 24 ed il 13 % della produzione di petrolio e gas di Nur-Sultan, che ha esportato 1,2 miliardi di dollari in petrolio greggio e 1,65 miliardi di dollari in gas verso Pechino nel 2019. Si tratta di oltre un terzo delle vendite totali e fa di Pechino il più grande mercato esterno del Kazakistan, rifornito da due gasdotti che raggiungono la Cina attraverso Turkmenistan e Uzbekistan.

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Fig. 3 – Soldati sorvegliano le strade di Almaty dopo la soppressione delle proteste, 15 gennaio 2022

Mentre l’immediata risposta degli Stati Uniti al dispiegamento CSTO è stata ostile, la risposta della Cina è stata sicuramente più complessa, con il Ministro del Esteri Wang Yi che ha sottolineato come i disordini fossero una questione interna che il Presidente Tokayev avrebbe dovuto risolvere autonomamente. Tale intervento non è quindi risultato gradito, in quanto ha aggirato, tra l’altro, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), costituita da Russia, Kazakistan e Cina, con quest’ultima che ne aveva assunto la guida a rotazione la settimana prima. L’intervento della CSTO ha quindi tagliato fuori Pechino da una relazione chiave per la sicurezza della sua frontiera occidentale, con profonde implicazioni energetiche. La Cina risulta essere cruciale per la diversificazione delle vendite di energia kazaka, in quanto rappresenta  il centro di un mercato petrolifero asiatico in crescita, in controtendenza rispetto al ribasso della domanda in Europa, attuale destinazione della maggior parte delle esportazioni di petrolio kazako. Il gas offrirà prospettive di crescita ancora più forti, in quanto, il passaggio da carbone a gas avrà un ruolo di primo piano negli obiettivi di de-carbonizzazione della Cina, la quale mira ad abbandonare il carbone entro il 2060, ed eventuali accordi di fornitura di gas a lungo termine potrebbero convincere Pechino a non rinnovare i contratti di fornitura di gas naturale liquefatto, di cui oggi è il maggiore importatore mondiale.  
La crescente dipendenza energetica dalla Cina, al contrario, favorisce una maggiore dipendenza politica dal Cremlino. Il Kazakistan è il secondo braccio della Russia all’interno del contingente “plus” dell’OPEC+, che si intreccia regolarmente con il nucleo dell’OPEC a guida saudita sui livelli di produzione. Il patrocinio russo ha consentito, in virtù di un compromesso siglato tra Mosca e Riyadh al Meeting dell’OPEC+ nel marzo 2021, di ottenere esenzioni speciali per pompare più petrolio, creando pertanto una opportunità di far crescere la propria quota di mercato.

Fabrizio Lombardi

Photo by jorono is licensed under CC BY-NC-SA 

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Perchè è importante

  • Proteste spontanee si sono diffuse rapidamente in tutto il Kazakistan , provocate dall’aumento dei prezzi del carburante e dal risentimento per le politiche repressive del Governo.
  • La crisi delPaese, ricco di energia e di risorse minerarie, si è sviluppata tra problematiche nazionali ed interessi internazionali.
  • Le conseguenze per la politica estera di Nur-Sultan saranno significative, modificando il multivettorialismo kazako e la dipendenza da Pechino e da Mosca.

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Fabrizio Lombardi
Fabrizio Lombardi

Fabrizio Lombardi, classe 1971, laureato in Musicologia e Beni Musicali presso il Conservatorio “Refice” di Latina. Ho studiato per anni la lingua russa (sia in Italia che presso l’Istituto di Cultura Russa a San Pietroburgo), la cui conoscenza ho approfondito anche attraverso una esperienza lavorativa pluriennale (in qualita’ di Sottufficiale dell’Esercito Italiano) in Russia, Armenia, Georgia, Bielorussia, Ucraina e Turkmenistan. Sono appassionato di geopolitica, con particolare interesse alle dinamiche ed agli sviluppi inerenti il mondo della difesa e del diritto internazionale

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