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Finché c’è spazio c’è speranza

La crisi in Ucraina potrebbe avere effetti anche nello spazio, in particolare nella collaborazione nel programma della Stazione Spaziale Internazionale. Sono stati ipotizzati alcuni scenari.

Finché c’è spazio c’è speranza. Sembra una frase fatta, ma in realtà indica un settore dove se venisse meno la collaborazione tra Russia e Stati Uniti ci sarebbero effetti tangibili, che riguarderebbero la Stazione Spaziale Internazionale. Essa è un programma nato subito dopo la fine della Guerra Fredda, quando gli USA e la Russia, erede spaziale principale dell’Unione Sovietica, decisero di collaborare nella costruzione di una stazione spaziale congiunta, insieme all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e a quelle canadese e giapponese. Al di là degli obiettivi scientifici, la nuova cooperazione avrebbe dovuto essere una delle testimonianze del nuovo corso delle relazioni tra gli ex rivali, oltre all’aspetto strategico per gli Stati Uniti, che si garantirono un impegno economico da parte di Mosca che avrebbe sottratto fondi possibilmente destinati ad altri utilizzi.
Il primo modulo, lo Zarya, fu lanciato nel novembre 1998, seguito poche settimane dopo dallo Unity, portato in orbita dallo Space Shuttle Endeavour, che unì i due componenti. La costruzione è andata avanti fino al 2021, quando, dopo un ritardo pluriennale, è arrivato anche l’ultimo modulo russo: il Prichal. La ISS è permanentemente abitata da astronauti e cosmonauti dal 2000 ed è divisa formalmente in una sezione russa e una degli altri partner a guida statunitense.
Con l’acuirsi della tensione sull’Ucraina, ci si è posti alcune domande riguardo a scenari che riguardano la collaborazione tra Washington, e alleati, e Mosca sulla ISS.

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Fig. 1 – Lo Shuttle Endeavour aggancia lo Zarya all’Unity

I russi possono staccare il loro segmento?

Tecnicamente sì. Basterebbe sganciare lo Zarya dall’Unity e si avrebbero due stazioni spaziali differenti. Il problema, per i russi, è che il sistema di produzione e distribuzione dell’energia elettrica si trova nella sezione a guida statunitense, grazie ai quattro enormi pannelli solari che servono anche a ricaricare le batterie che vengono usate durante la fase al buio dell’orbita. Ad aggiungere un’ulteriore complicazione c’è il fatto che formalmente lo Zarya è proprietà degli Stati Uniti, che pagarono per la sua costruzione visto che la Russia era a corto di fondi all’epoca.

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Fig. 2 – La riproduzione del segmento russo al centro addestramento cosmonauti russi “Jurij Gagarin”

Gli altri partner possono fare a meno del segmento russo?

Anche qui, tecnicamente sì. I giroscopi del segmento a guida statunitense potrebbero essere sufficienti a mantenere l’assetto, ma potrebbero essere necessarie manovre e correzioni effettuabili solo tramite motori e questi sono alloggiati nel segmento russo, precisamente nel modulo Zvezda. I veicoli cargo potrebbero sopperire ai motori russi per quanto riguarda la manovra di innalzamento della quota, che va fatta periodicamente per evitare un degrado orbitale eccessivo che porterebbe al rientro nell’atmosfera. Tuttavia, essi non potrebbero fare da sostituti per il controllo d’assetto in caso di necessità.

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Fig. 3 – Una parte del segmento a guida USA della ISS. Si vedono il modulo Harmony (USA), il Kibo (Giappone) e il Columbus (ESA)

E il trasporto astronauti?

A oggi esistono due sistemi di trasporto da e per l’ISS. La Soyuz russa, usata sin dall’inizio del programma, e la Crew Dragon di SpaceX che effettua il servizio per la NASA. Da quando è operativo quest’ultimo veicolo, i russi volano con la Soyuz e gli statunitensi, europei, giapponesi e canadesi con la Crew Dragon. Perciò non c’è interdipendenza, diversamente dalla crisi del 2014, quando c’era solo la Soyuz e gli statunitensi continuarono a comprare “passaggi” nonostante l’invasione russa della Crimea. Il problema si porrebbe di nuovo qualora uno dei due veicoli fosse messo a terra a causa di problemi tecnici o successivamente a un incidente. La NASA a questo punto avrebbe dovuto avere due veicoli in servizio, la Crew Dragon e la Starliner di Boeing, ma a causa di ritardi e problemi quest’ultima potrebbe non diventare operativa prima del 2023.

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Fig. 4 – La Crew Dragon in cima al razzo Falcon 9. Questa è la versione usate per la prima missione spaziale di un equipaggio non professionista, che non ha previsto un aggancio alla ISS

Quindi?

Per concludere, l’unica mossa possibile per interrompere la collaborazione sulla ISS sarebbe abbandonarla, visto che i due segmenti non possono funzionare autonomamente. Lo scenario più probabile alle attuali condizioni è che venga annullato l’accordo di scambio tra astronauti e cosmonauti, che avrebbe fatto volare i russi su veicoli USA e viceversa.
Un abbandono della stazione sarebbe un segnale chiarissimo di volontà di interrompere il dialogo e, di conseguenza, di una crisi ancora più profonda. A quel punto sarebbe legittimo preoccuparsi.

Emiliano Battisti

Photo by WikiImages is licensed under CC BY-NC-SA

Dove si trova

Perchè è importante

  • La crisi in Ucraina potrebbe avere conseguenze sulla collaborazione tra USA e Russia nel programma spaziale ISS.
  • Gli scenari che non includano la prosecuzione della collaborazione portano a un’unica possibilità che costituirebbe un pessimo segnale.

 

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Emiliano Battisti
Emiliano Battisti

Consulente per la comunicazione per un’azienda spaziale e Project Officer and Communications per OSDIFE, sono Segretario Generale e Direttore della comunicazione dell’APS Il Caffè Geopolitico e Coordinatore dei desk Nord America e Spazio. Ho pubblicato il libro “Storie Spaziali”.

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