Il caso British Petroleum è molto più di un disastro ambientale: le implicazioni geopolitiche sono fortissime, in particolare per la special relationship angloamericana, che sembra attualmente in forte difficoltà. Cerchiamo di capire le conseguenze dell'accaduto sull'industria petrolifera, e il terribile impatto che il crollo di BP avrebbe sull'economia della Gran Bretagna.
L'INDUSTRIA PETROLIFERA – Mentre scriviamo Bp esulta per l’avvenuta suturazione della falla petrolifera, il nuovo “tappo” sembra funzionare. Non si tratta comunque della soluzione definitiva, quella è rinviata alla messa in opera dei relief wells (i pozzi di alleggerimento), a cui si lavora da più di due mesi e che saranno ultimati prevedibilmente entro metà agosto.
In ogni caso il danno è stato fatto, ed è ingentissimo. Non si tratta solamente dell’impatto che la macchia di petrolio avrà sui delicati ecosistemi degli stati costieri, sulla catena alimentare, la salute delle popolazioni, il ciclo delle acque, il contenimento dei fenomeni meteorologici estremi, l’industria del turismo e un importante settore ittico – sempre che la Corrente del Golfo non si incarichi di perpetrare un singolare contrappasso recando una parte del danno fino alle verdi coste britanniche. Deepwater Horizon viene paragonata a Chernobyl o a Three Miles Island e potrebbe avere un impatto paragonabile sull’industria petrolifera, limitandone per molti anni lo sviluppo nei giacimenti estremi, quelli dell’offshore profondo e dell’Artico in particolare. Si tratta di settori dove le compagnie multinazionali contano di far valere un primato tecnologico e accedere a nuove risorse, dopo che la stragrande maggioranza delle riserve tradizionali sono passate sotto controllo delle Noc (le società statali dei paesi esportatori, come la saudita Aramco o la brasiliana Petrobras). In particolare gli stessi Usa devono alle acque profonde del Golfo del Messico, dove Bp è la compagnia leader, una parte importante (e soprattutto crescente) dell’output petrolifero – una paralisi o un drastico rallentamento delle attività stravolgerebbe tutto l’orizzonte energetico Usa di medio periodo.
LA BP IN GB – Gli aspetti geopolitici di tutto questo sono complessi e di vasta portata, si può iniziare focalizzando sugli sviluppi nelle relazioni anglo-americane, la special relationship messa a dura prova dal grave danno inferto da una compagnia che nasce britannica ma da tempo non è più tale. In un certo senso Bp è proprio la nervatura energetica della “relazione speciale”, essendo a tutti gli effetti una società angloamericana.
Naturalmente i britannici avrebbero il danno maggiore da un eventuale crack o smembramento di Bp, ma solo perché la company insiste su una economia di dimensioni molto minori rispetto agli Usa.
Bp è tecnicamente una impresa privata, ma il complesso di profili strategici che assume nell’economia e nella società britannica, la sua posizione chiave nelle prospettive energetiche e nelle politiche industriali del Regno Unito, la pongono al cuore stesso dell’interesse nazionale, ben più che se fosse semplicemente una grande azienda di proprietà pubblica.
E’ toccato al vecchio Evening Standard ammonire il giovane presidente, censurarne le intemperanze e gli atteggiamenti minacciosi che sono costati a Bp così gravi perdite nella City e a Wall Street, ricordargli che “la compagnia” stacca annualmente 1/6 dei dividendi percepiti dalle istituzioni britanniche, vale a dire dai fondi d’investimento da cui dipendono le pensioni di milioni di famiglie a basso reddito. Povera gente, non potenti lobbies o grandi elemosinieri elettorali (“fat cats” nella versione del quotidiano londinese). Ma il danno, pesantissimo, sarebbe anche per gli introiti fiscali del regno, e in una fase delicatissima per l’economia e il bilancio pubblico. In pratica, privata o no, Bp opera e rileva per Londra come un fondo sovrano, non molto diverso da quello – ricchissimo – della vicina Norvegia. Già questo farebbe della caduta di Bp un collasso sociale per l’Inghilterra.
UN COLOSSO FONDAMENTALE (ANCHE PER GLI USA) – E non si tratta solo di questo, Bp è comunque un colosso industriale: la bilancia commerciale britannica (e la Sterlina) è molto appesantita dal crescente deficit energetico, oltre che – congiunturalmente – dalle massicce cure keynesiane del governo Brown e della Banca d’Inghilterra, e le strategie di rilancio di medio periodo puntano tutte le carte su un “surge”, una riscossa dell’industria dopo la ritirata storica degli anni ottanta e novanta. La recente relazione di Uk Oil & Gas conferma che una imponente tornata di investimenti nel settore contribuirà decisivamente alla ripresa del paese. E’ evidentemente il momento peggiore per indebolire, o addirittura perdere BP. Anche perché quegli investimenti sono particolarmente strategici, la società controlla le risorse, sia pure in declino, del Mare del Nord (e le tecnologie per sfruttarle), tuttora vitali per il Paese.
Agli attacchi di tono più prettamente nazionalistico, provenienti però dalla destra repubblicana, Bp può facilmente contrapporre qualche dato: il 40% dei profitti viene dal mercato Usa, quasi il 40% dei suoi 80mila dipendenti è americano e lo è più di un 1/3 del consiglio di amministrazione e quasi il 40% degli azionisti. Si tratta inoltre di un importante fornitore del Pentagono. Oltre al Golfo opera nell’Artico (Alaska), altra terra promessa del petrolio nordamericano. Senza Bp gli Usa non vanno da nessuna parte, e viceversa.
L'OBAMA FURIOSO – Più delicata (e credibile) è la questione sull’indignazione del Presidente. Si può immaginare che le punte più polemiche e colorite siano una reazione necessaria a contrastare la sensazione inizialmente prevalente nell’opinione pubblica Usa, di un commander in chief aristocraticamente distaccato dalla tragedia, ma è noto da tempo che Obama non crede né nella special relationship né nell’Europa come interlocutore privilegiato: il suo sguardo è rivolto più al Pacifico. Nondimeno, dati fattuali e compatibilità sopra richiamate, e altri asset geopolitici di Londra (in primis il contingente militare in Afghanistan), unitamente a un low profile adottato sin da aprile dal saggio Cameron, dovrebbero tenere saldo un matrimonio di non disprezzabili interessi.
Andrea Caternolo [email protected]