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Il dilemma della mobilitĂ  terrestre (II)

Miscela Strategica – Arriviamo al cuore del dibattito e vediamo come alcuni Paesi si siano regolati in materia. Cerchiamo di capire perchè e valutare quanto le loro scelte si siano rivelate azzeccate, soprattutto in vista dei probabili scenari operativi futuri

(Rileggi qui la prima parte dell’analisi)

LA LIVELLA – La soluzione ruotata è stata accolta all’inizio con entusiasmo. Allegerire le unità da combattimento rendendole mobili, facilmente rischierabili ed economicamente sostenibili ha allettato numerosi pianificatori strategici. Una storia simbolo in tal senso è il mezzo statunitense “Stryker”, inizialmente concepito per rischierare velocemente unità a livello di brigata virtualmente ovunque e, in prospettiva, anche per via aerea. Il mezzo è stato progettato per unire pesi contenuti, rusticità e facilità di impiego alla strumentazione avanzata. Tuttavia, il trasporto per via aerea su medie e lunghe distanze di unità blindate di consistenza superiore al battaglione si è rivelato da subito insostenibile logisticamente ed in breve abbandonato. Ma anche il concetto di “leggerezza” è stato via via snaturato, così come lo “Stryker”, che si è visto appesantito di corazze aggiuntive, gusci anti-mina ed altre protezioni. I blindati più recenti, invece, vengono già progettati con ordini di peso e protezione superiori.
La ricerca della protezione dell’equipaggio ad ogni costo annulla parzialmente i vantaggi che la formula ruotata offriva, livellando la differenza concettuale tra ruotato e cingolato e costringendo quindi i vari eserciti occidentali a valutazioni basate principalmente (anche se no solo) su considerazioni di mobilità e manutenzione piuttosto che sulla differenziazione delle esigenze operative reali. Perchè? Il problema sta a monte, ed è di natura dottrinale e, soprattutto politica.
Le opinioni pubbliche sono diventate parecchio sensibili alle perdite, anche minime. Perfino gli statunitensi, abituati da sempre a condurre campagne ad alta intensità e alle conseguenti perdite in combattimento, sono sempre più critici nei confronti della dirigenza militare e politica. L’Europa poi, è un campo minato: la morte di uno-due uomini mette in discussione l’intero impegno del Paese colpito. Mutatis mutandis, il soldato NATO diviene un bersaglio molto pagante per terroristi e forze ostili, che con risorse limitate e attacchi poco significativi dal punto di vista bellico (e strategico!) possono mettere in crisi interi contingenti. Questo circolo vizioso ha portato all’appesantimento estremo dei mezzi, umiliandone spesso le prestazioni chiave e richiedendo formule di trasporto onerose. Il tutto senza peraltro conseguire l’obiettivo politico della “guerra a morti 0”, che rimane un miraggio.

UNO SGUARDO AD EST – Il tema della protezione si interseca direttamente con l’impostazione dottrinale. La tattica russa in merito pone spunti di riflessione interessanti. Se la NATO di oggi sacrifica mobilità e potenza di fuoco a vantaggio della protezione, Paesi come Russia, Cina e India continuano a seguire l’orientamento contrario, puntando sui primi due fattori. Ci sono però dei grossi distinguo da fare. Esaminiamo, a titolo di esempio, il caso russo. La dottrina di impiego russa non è cambiata molto rispetto all’epoca sovietica per diversi motivi. In primo luogo, gli impegni russi fuori area sono stati limitati rispetto a quelli NATO. Inoltre, la Russia non ha mai proiettato potenza al di fuori del proprio blocco continentale di appartenenza e le proprie esigenze difensive non sono mutate dal punto di vista qualitativo.
Infine, l’industria della difesa ha subito un prolungato periodo di profonda crisi e, nonostante la controtendenza attuale, ha un considerevole gap tecnologico da recuperare. Di conseguenza il parco mezzi fa ampio affidamento su veicoli che risentono del peso dell’età, sia anagrafica che concettuale. Tuttavia anche i programmi più recenti, in parte mutuati dai progetti sovietici irrealizzati, in parte di nuova concezione, non hanno cambiato l’impostazione di base dei

L'IFV di produzione russa BMP-2, qui nei colori dell'esercito finlandese
L’IFV di produzione russa BMP-2, qui nei colori dell’esercito finlandese

veicoli da combattimento, i cui pesi restano ampiamente al di sotto degli standard occidentali. Oltre alle considerazioni di carattere operativo bisogna tuttavia tenere in considerazione che la sensibilità russa alle perdite in combattimento è da considerarsi nettamente inferiore a quella occidentale. In effetti la dottrina russa non può considerarsi inefficiente e si è dimostrata ancora valida nel conflitto ceceno, nel quale i russi hanno mostrato netta superiorità nei confronti degli oppositori (1999-2000), e buoni risultati anche quando questi hanno fatto ricorso a tattiche asimmetriche (2000-2009).
Per i separatisti ceceni la sconfitta è stata pesante e ha anche comportato numerose (forse troppe) perdite tra i civili. Ma i russi non ne sono certo usciti indenni ed hanno pagato un prezzo di sangue altrettanto considerevole. Per la dirigenza russa, però, il rapporto tra perdite (materiali e umane) subite e il risultato conseguito è risultato accettabile (con gli ovvi distinguo del caso vista la natura del regime russo). Tirando le somme, nei casi delle missioni NATO e della spedizione russa in cecenia, abbiamo assistito ad eccessi di natura opposta, che hanno infuenzato la scelta dei mezzi da combattimento e il loro impiego di conseguenza. La lezione che possiamo trarne è che il miglior risultato sul campo si ottiene bilanciando opportunamente le varie componenti – politica, strategica, tattica, economica, tecnologica, ecc. – nella maniera da ottenere il risultato sperato in modo più sostenibile possibile.
Dare la priorità ad uno-due fattori soltanto a scapito degli altri provoca giocoforza una distorsione delle dinamiche di un intervento militare, oltre che inficiarne le possibilità di successo. Più che il ruotato o il cingolato, nella gestione di un conflitto conta quindi la dinamica politica e militare che ne sottende l’utilizzo. Le prestazioni offrono meramente opportunità di impiego diversificate a seconda dell’obiettivo che si vuole conseguire e secondo i costi (finanziari, politici, umani) che si è disposti a sostenere.

I teatri operativi futuri, as esempio l'Artico, potrebbero rivoluzionare i termini del dibattito sulla mobilitĂ . Nella foto un "all terrain vehicle" russo sul pack
I teatri operativi futuri, as esempio l’Artico, potrebbero rivoluzionare i termini del dibattito sulla mobilitĂ . Nella foto un “all terrain vehicle” russo sul pack

PROSPETTIVE FUTURE – Il dilemma tra il cingolato ed il ruotato per la mobilitazione delle truppe di terra potrebbe avere una soluzione finale inaspettata nel medio termine. Se da un lato alcune esigenze operative rimarranno immutate ancora a lungo, altre completamente nuove potrebbero interrompere il dibattito richiamando l’attenzione su teatri operativi nei quali i concetti stessi di APC e IFV entrerebbero in crisi. Questo non significa che tali assetti non verrebbero più prodotti ma semplicemente che la loro evoluzione si arresterebbe in favore di nuove famiglie di mezzi.
I due scenari più plausibili in tal senso sono il sud-est asiatico e l’Artico. Nel primo caso il teatro operativo è di natura ampiamente insulare e/o lagunare. Questo significa avere necessità da un lato di rafforzare ulteriormente le forze “leggere” a scapito di quelle corazzate, dall’altro di dare nuovo impulso allo studio di mezzi anfibi o comunque compatibili con il trasporto via mare. Nel secondo caso, nemmeno l’ambiente artico si presta all’impiego di mezzi pesanti. Se l’interesse strategico sul “tetto del Mondo” crescesse ulteriormente è probabile che la ricerca di mezzi specifici per operare in ambiente glaciale riceverebbe un impulso notevole. In entrambi i casi prospettati le specifiche di tali mezzi sono difficili da immaginare. E’ però molto probabile che essi scaturirebbero da concetti operativi del tutto nuovi che solo macchine di appositamente costruite potranno soddisfare.

Marco Giulio Barone

 

Spaccato di un APC ruotato della famiglia "Piranha", di produzione svizzera
Spaccato di un APC ruotato della famiglia “Piranha”, di produzione svizzera

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Marco Giulio Barone è analista politico-militare. Dopo la laurea in Scienze Internazionali conseguita all’Università di Torino, completa la formazione negli Stati Uniti presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military analysis. A vario titolo, ha esperienze di studio e lavoro anche in Gran Bretagna, Belgio, Norvegia e Israele. Lavora attualmente come analista per conto di aziende estere e contribuisce alle riviste specializzate del gruppo editoriale tedesco Monch Publishing. Collabora con Il Caffè Geopolitico dal 2013, principalmente in qualità di analista e coordinatore editoriale.

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