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Egitto: il giorno del milione di martiri

Dopo i 50 morti negli scontri di ieri, l’Egitto si prepara a un’altra giornata di intensa mobilitazione, con la Fratellanza Musulmana che invoca l’insurrezione, l’esercito in stato di massima allerta e il presidente Mansour che definisce il percorso di transizione.

 

UN’ALBA DI SANGUE – A un giorno dai duri scontri di fronte alla sede della Guardia Repubblicana (dove sarebbe trattenuto Morsi) tra l’esercito e i sostenitori del Presidente destituito che hanno causato 51 morti, la Fratellanza Musulmana ha invitato «un milione di martiri» a riversarsi nelle piazze e a insorgere. Secondo le Forze Armate, le violenze dell’alba di ieri sarebbero state provocate da un manipolo di «terroristi» intenzionato ad attaccare direttamente i militari a difesa dell’edificio, mentre per i manifestanti la responsabilità sarebbe da attribuirsi totalmente ai soldati. Il portavoce dell’esercito ha dichiarato che la reazione sarà immediata contro chi minacci la sicurezza nazionale e ha chiesto che i presìdi e i sit-in siano interrotti, con l’assicurazione che non ci saranno arresti. Tuttavia, questo martedì si prospetta ad altissima tensione, poiché gruppi di manifestanti di entrambi i fronti sono in movimento dal primo mattino sia al Cairo, sia nel resto del Paese.

 

IL PROGETTO DI MANSOUR – Nel frattempo, il presidente ad interim Mansour ha reso nota la roadmap che dovrebbe condurre l’Egitto al voto nel 2014. Innanzitutto, entro 15 giorni sarà istituita una commissione con il compito di proporre gli emendamenti alla Costituzione (adesso sospesa) che poi dovranno essere consegnati al Presidente in due mesi. Successivamente, entro un mese dalla presentazione delle modifiche della Carta, sarà tenuto un referendum popolare, preliminare alle nuove elezioni parlamentari. Ottemperato questo iter – che secondo i piani dovrebbe durare circa sei mesi –, il passaggio conclusivo vedrà le consultazioni per la scelta del Presidente. Tuttavia, resta da risolvere la questione del Primo Ministro, giacché el-Din, già al vertice dell’Autorità egiziana per la supervisione finanziaria ai tempi di Mubarak, è ancora il favorito, considerati sia le istanze economiche alla base delle proteste contro Morsi, sia il ruolo del FMI in Egitto, sia, infine, la mancanza di condivisione sul nome di el-Baradei, nemmeno nel ruolo di vicepremier.

 

CLIMA DA GUERRA CIVILE – L’incremento costante della tensione è ormai un dato di fatto. Il grande Imam di al-Azhar, al-Tayyeb, ha condannato le violenze, indicando nella guerra civile l’esito al quale l’Egitto rischia di giungere se in breve tempo non si avvia un percorso di riconciliazione. Allo stesso modo, la Guida della Fratellanza Musulmana, Badi, ha dichiarato che il Paese stia seriamente divenendo come la Siria. La distanza tra i sostenitori di Morsi e l’esercito è talmente ampia da risultare ormai difficilmente colmabile, con il fronte “30 Giugno” che non è in grado di garantire un’alternativa valida che possa essere compresa e accettata dagli egiziani. Inoltre, la vicenda è del tutto favorevole ai gruppi dell’Islam estremistico e combattente, i quali potrebbero da un lato giovare dei vuoti di potere, dall’altro riuscire ad attingere ai settori della popolazione convinti della necessità di una reazione rapida e decisa del blocco islamista. In questo senso, il Sinai è in un momento di elevata allerta, con formazioni organizzate e pronte a colpire. Dato il contesto, con una situazione già parzialmente compromessa, la giusta scintilla potrebbe far detonare la polveriera.

 

Beniamino Franceschini

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Beniamino Franceschini
Beniamino Franceschini

Classe 1986, vivo sulla Costa degli Etruschi, in Toscana. Laureato in Studi Internazionali all’UniversitĂ  di Pisa, sono docente di Geopolitica presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Pisa. Mi occupo come libero professionista di analisi politica (con focus sull’Africa subsahariana), formazione e consulenza aziendale. Sono vicepresidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del desk Africa.

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