Dopo un ventennio, tragico sotto molti aspetti, seguito alla dissoluzione della Jugoslavia, la Serbia si sta risollevando. Sotto la guida del presidente moderato e filo europeista Boris Tadic il paese si sta lasciando alle spalle il suo difficile passato recente. Sicuramente non senza qualche strascico. La questione del Kosovo continua ad agitare il dibattito politico interno e i rapporti internazionali.
IL PAESE
Nonostante le difficoltà politiche e una certa resistenza nell’opinione pubblica, Tadic ha imboccato decisamente la strada che porta verso Bruxelles, rinunciando all’intransigenza sulla questione kosovara che viene invocata a gran voce dai nazionalisti. La Serbia di oggi è una nazione che sta rinascendo e che gode finalmente della pace dopo anni di guerre e sanzioni economiche. Oltre che dalle tossine della guerra, la Serbia si sta liberando in questi anni anche del giogo che i gruppi criminali locali avevano posto sulla vita politica del paese negli anni della guerra e del regime di Milosevic. L’evento che mostrò al paese e al mondo intero fino a che punto il potere criminale influisse sulla vita del paese fu l’assassinio del primo ministro filo-occidentale Zoran Dindic nel 2003 (tentativo riuscito seguito a un precedente fallito). La nuova classe dirigente sta perseguendo con notevole perseveranza l’obbiettivo di traghettare Belgrado verso l’Unione Europea e in generale di ricostruire i rapporti con la comunità internazionale. In questo senso è stata fondamentale la collaborazione fornita dalla Serbia per la cattura dei criminali di guerra, primo fra tutti Karadzic, nonché la recente dichiarazione del parlamento di condanna del massacro di Srebrenica. Certo si potrebbe obbiettare che sia stata di una dichiarazione un po’ tardiva e qualcuno avrebbe voluto una condanna più netta sancita attraverso la definizione dell’evento come un “genocidio”. Sicuramente uno dei ricercati più importanti dal tribunale dell’Aja, l’ex generale Ratko Mladic, responsabile appunto del massacro di Srebrenica, rimane ancora alla macchia, probabilmente nascosto in patria o nella Repubblica Srpska. Tuttavia gli sforzi dell’attuale leadership per riportare il paese verso una normalità democratica sono innegabili e l’Europa se ne è accorta. L’adesione di Belgrado è apertamente appoggiata da Italia, Spagna e Grecia, mentre l’Olanda rimprovera da sempre la mancata piena collaborazione di Belgrado nella cattura dei criminali. Infine un segnale di speranza viene dalla ripresa di rapporti di cordialità tra gli ex nemici degli anni ’90: almeno a livello di leadership negli ultimi mesi si è osservato un riavvicinamento di Croazia e Slovenia a Belgrado.
CAFFE’ IN PILLOLE
- A volte anche i dettagli di stile sono importanti per la politica internazionale: per sottolineare il clima informale e amichevole del recente storico incontro tra il presidente serbo Tadic e l’omonimo croato Josipovic i due politici si sono presentati alle telecamere senza cravatta. Così lo storico summit che sancisce un netto miglioramento tra i due ex acerrimi nemici è passato alle cronache come “l’incontro senza cravatta”.
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Se a un italiano capita di passare per la Serbia non potrà fare a meno di notare la quantità di Punto e altri modelli di macchina della Fiat che girano per il paese con un marchio diverso. Si tratta delle Zastava, fabbrica di automobili di Kragujevac, che ha una storica partnership con la casa di Torino. Anche i consistenti investimenti del Gruppo Fiat in Serbia (che vengono qui dirottati anche dall’Italia, alla faccia del “made in italy” tanto sbandierato dalla fabbrica di Torino) sono alla base della ripresa della crescita del pil nazionale, che ha ricominciato a crescere nell’ultimo trimestre dopo aver sofferto particolarmente la crisi.
I SOLITI OSTICI SERBI
La nazionale serba ha buone individualità e appare in ottima forma. La squadra ha vinto il girone di avvicinamento ai mondiali, ottenendo la qualificazione con una giornata di anticipo. Certo il girone con Germania, Ghana, e Australia non è tra i più semplici, ma il passaggio agli ottavi è alla portata degli slavi. Guidata da capitan Stankovic, delle cui qualità c’è poco da discutere, la rappresentativa serba può contare su una rocciosa difesa con Vidic, Kolarov e Ivanovic, e un buon centrocampo con Krasic, a quanto pare nelle mire della Juve e Jovanovic, fresco di un contratto con il Liverpool. Le vere difficoltà per la squadra potrebbero arrivare dal reparto avanzato: Zigic e Pantelic non sembrano avere le caratteristiche per fare la differenza. In panchina siede Radomir Antic, tecnico dalla grande esperienza che ha guidato nella sua carriera Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid.
GEOPALLONE
Parlando dei rapporti tra politica e calcio (o sport più in generale)in Serbia si potrebbero veramente versare fiumi di inchiostro. Il rapporto del popolo serbo con il calcio è talmente stretto che anche il parlamento nazionale ha deciso di sospendere i lavori per la durata dei mondiali! Quale che sia lo sport di squadra basket, pallavolo, calcio, pallanuoto, i serbi hanno da sempre una rappresentativa nazionale di alto livello. Lo sport ha quindi una grande importanza nella vita di questo popolo. E’ naturale che da tempi non sospetti la politica si sia interessata allo sport, soprattutto un certo tipo di politica che fa leva su sentimenti nazionalistici e patriottici. Sul “caffè” si è già parlato di come negli anni oscuri della guerra le curve degli stadi siano diventati un palcoscenico non secondario della tragedia che stava investendo il paese e i balcani in generale. Ad esempio gli scontri tra tifosi croati e serbi seguiti alla partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado del 1990 sono passati alla storia come il primo episodio simbolico della guerra che avrebbe portato di lì a poco alla dissoluzione della Repubblica Federale di Jugoslavia. Anche la nazionale ha subito le conseguenze delle sanzioni internazionali dovute alla guerra e fino al ’96 è stata esclusa dalle competizioni internazionali. Fortunatamente la Serbia si sta lasciando il suo difficile passato alle spalle, mentre la passione dei serbi per il calcio non è certo diminuita. La nazionale è oggi chiamata a rappresentare una nuova Serbia, di nuovo accettata nella comunità internazionale, come nelle competizioni sportive, e pronta a rinascere anche sul campo di gioco.
Jacopo Marazia