Caffè Lungo – Seconda parte del reportage da Kosovska Mitrovica. Da quando i serbi del Kosovo sono usciti dalle istituzioni statali kosovare, l’amministrazione di Mitrovica nord è in mano a una giunta che cerca di far rispettare a ogni costo la legalità. In questo articolo, diamo voce alle anime della città, quelle che sperano che le proteste studentesche in Serbia portino a un cambiamento sostanziale per tutto il nord del Kosovo.
Leggi qui la prima parte dell’articolo.
DUE CHIACCHIERE IN UN CAFFÉ
La Mahala è la zona multietnica della città, abitata da tutte le nazionalità di Mitrovica, vale a dire da serbi, albanesi, bosgnacchi, rom, goranzi, ashkali e altre. Nella Mahala c’è anche il municipio di Mitrovica nord. Quando i serbi hanno abbandonato le Istituzioni, a ricoprire le funzioni di consiglieri e di Sindaco sono stati i rappresentanti delle liste che si erano presentate alle elezioni e che non avevano superato la soglia di sbarramento. I consiglieri sono quasi tutti albanesi e il Presidente dell’assemblea cittadina (una sorta di Presidente del Parlamento di Mitrovica nord) è Nedžad Ugljanin, della lista “Mitrovica – Iniziativa Civile”. Ugljanin è molto stimato in città, anche dai serbi che spesso lo criticano per aver “usurpato” un posto che spettava a loro, ma che loro stessi hanno volontariamente lasciato.
Lo incontro sul ponte sull’Ibar e andiamo in un caffè del sud della città. Lungo il percorso di un centinaio di metri, molti cittadini lo fermano e si rivolgono a lui in albanese o in serbo e lui risponde a tutti, con garbo ed educazione. “Quello che l’Amministrazione sta facendo è riportare la legalità a Mitrovica nord – dice Ugljanin. – Un esempio? C’è una ditta di autobus che controlla la stazione delle autolinee e che non permette alle altre compagnie di trasporti l’ingresso dei propri mezzi all’interno, i passeggeri devono scendere in mezzo alla strada. Bene, abbiamo più volte multato il padrone di questa azienda e presto faremo un concorso pubblico regolare per la gestione della stazione stessa”. Ugljanin continua a parlare, mentre fuma in maniera tranquilla una sigaretta e sorseggia il cappuccino. “Guarda quei palazzi al di là del fiume – mi dice mentre mi indica Mitrovica nord, – sono stati costruiti in maniera illegale da ditte serbe, grazie a imprese serbe. Ovviamente, si tratta di riciclaggio di denaro sporco, non di beneficenza patriottica. Per legge, li dovremmo abbattere, ma questo vorrebbe dire fare pulizia etnica e costringere intere famiglie serbe a lasciare la città e il Kosovo. Cosa abbiamo fatto come Amministrazione? Li abbiamo dati in usufrutto a vita agli inquilini. I palazzi sono adesso del Comune, ma chi ci abita può stare nei propri appartamenti fino alla morte. Abbiamo anche rifatto le facciate degli edifici più vecchi, a spese del Comune”. Alla mia domanda su come i serbi si rapportino all’Amministrazione in cui non ci sono più serbi, risponde in maniera chiara: “I serbi del Kosovo dipendono ancora da Belgrado (almeno quelli del nord, quelli del sud del Paese, che vivono in piccole enclavi, sono maggiormente integrati nel sistema kosovaro e meno soggetti ai ricatti di Belgrado, NdA). In realtà, noi non stiamo facendo altro che applicare i principi degli Accordi di Bruxelles. Da quando sono cominciate le proteste studentesche successive al crollo della pensilina a Novi Sad, qualcosa però si sta muovendo anche fra i serbi del Kosovo. La paura sta passando e anche qui gli studenti e i cittadini hanno cominciato a farsi sentire. All’inizio erano in pochi, timidi e spauriti, adesso si ritrovano ogni settimana in centinaia sotto al monumento di Lazar e manifestano”.

Fig. 1 – La bandiera serba sventola sull’altura di Mali Zvečan, nel nord del Kosovo | Foto: Christian Eccher
PROTESTE, SPERANZE, PAURE E DIVISIONI
Tatjana Lazarević è la direttrice del giornale online Kossev.info. Ci incontriamo nella sede del portale, in un anonimo palazzo di Mitrovica nord. La redazione è composta da due stanze, una in cui lavora Tatjana con i suoi collaboratori, l’altra adibita a studio televisivo. Tatjana spera che le proteste in Serbia portino a dei risultati concreti. Alla domanda su come reagisca la popolazione di Mitrovica nord alle manifestazioni ormai quotidiane che avvengono in tutte le città del Paese (e la Serbia considera ancora il Kosovo come parte del proprio territorio) risponde, esattamente come Ugljanin, che i cittadini si stanno facendo coraggio e che cominciano a organizzare marce e presidi anche qui. Alcune persone, poi, sono state anche alla grande manifestazione di Belgrado il 15 marzo. “C’è però anche paura. Molte famiglie sono ancora costrette a fare ciò che ordina loro la Lista Serba e temono che, nel caso in cui Vučić cada, chi arrivi al potere si vendichi nei loro confronti. A questo speriamo non si arrivi, perché ci sono famiglie che non hanno mai avuto scelta, per loro non appoggiare le Autorità serbe avrebbe significato e significherebbe morire di fame”, conclude Tatjana.
Intanto, il Governo serbo ha già cominciato a punire alcuni di coloro che protestano: gli aiuti statali destinati ai serbi kosovari, infatti, non vengono più dispensati a tutti, ma soltanto a chi continua a dichiararsi fedele ai rappresentanti della Lista Serba.

Fig. 2 – Bandiere albanesi per le strade di Mitrovica sud | Foto: Christian Eccher
RIFLESSIONI FINALI
Il totale controllo da parte della Lista Serba sui serbi del Kosovo è cominciato nel 2018 con l’omicidio di Oliver Ivanović, nemico della linea politica tracciata da Aleksandar Vučić per il Kosovo. Ivanović avrebbe voluto distaccarsi da Belgrado perché i serbi di Mitrovica e delle altre enclavi prendessero in mano le redini del proprio futuro per convivere con gli albanesi e dialogare con le autorità di Pristina. Gli assassini di Ivanović non sono mai stati trovati, ma a ucciderlo sono stati i serbi e non gli albanesi, come invece dichiarato inizialmente dalle Autorità di Belgrado. Ciò riporta alla memoria dei serbi del Kosovo anche un altro caso traumatico, quello dell’eccidio avvenuto al Caffè Panda di Peć (Pejë in albanese) il 15 dicembre del 1998, quando un commando armato fino ai denti ha fatto irruzione nel locale e ha massacrato 6 giovani avventori di etnia serba. Per anni, i media di Belgrado hanno accusato dell’eccidio i membri dell’UÇK (Esercito di Liberazione Nazionale), ma recentemente il Presidente serbo Aleksandar Vučić ha asserito di sapere la verità su quanto accaduto, e ha aggiunto che si tratta di una verità spiacevole per il popolo serbo. Nonostante Vučić non abbia mantenuto la promessa di svelare il segreto alle famiglie dei ragazzi uccisi, è chiaro a tutti che le responsabilità dei fatti di Peć appartengano esclusivamente ai serbi e che le parole del Presidente siano un’evidente ammissione di colpa. Le proteste hanno timidamente risvegliato la speranza di poter continuare un giorno il discorso iniziato da Ivanović, ma i serbi del Kosovo sono a tal punto stanchi di aspettare e di essere ostaggi della retorica nazionalista da aver addirittura paura della propria speranza. Una nuova delusione condannerebbe questa gente all’apatia e alla depressione più totali.
Christian Eccher
“Protest walk in Čačak” by dejankrsmanovic is licensed under CC BY