Analisi – A molti di noi è capitato di leggere il termine “computer quantistico” e di sognare un supercomputer in grado di modellare lo spazio ed il tempo come nei vecchi film di fantascienza. Ma è davvero così?
Cosa sono i computer quantistici? Perché sono nati? Diventeranno presto oggetti di uso comune? Sono domande importanti, con risposte complesse che cercheremo di dipanare con parole e concetti semplici. E ci aiuta a capire meglio il nostro ospite, Edoardo Limone.
CHE COSA È UN COMPUTER QUANTISTICO
Prima di tutto iniziamo con il chiarire che cosa è un computer quantistico e, soprattutto, perché se ne sta parlando ora.
Un computer quantistico è un sistema informativo che svolge i calcoli utilizzando i principi di meccanica quantistica perché ritenuti molto più performanti e potenti rispetto ai sistemi oggi in uso. Un esempio è il “Principio di sovrapposizione”, che, in buona sostanza, chiarisce che sovrapponendo due stati se ne otterrà un terzo assolutamente valido e “autoconsistente”. La prima affermazione che possiamo fare è che il computer quantistico non esegue meri calcoli matematici, ma nasce per risolvere problemi “concettuali” complessi e lo fa sfruttando particolari leggi asservite alla meccanica quantistica.
Lo sviluppo di questi computer era stato già ipotizzato nel 1980 in due articoli tra loro non collegati: il primo era del matematico Jurij Manin e il secondo era del fisico Paul Benioff, che, storicamente, viene ritenuto il padre dei computer quantistici. Solo da qualche anno, però, il concetto di computer quantistico sta cominciando a risuonare forte e il motivo è semplice: fino a poco tempo fa la potenza di calcolo di un processore per computer era direttamente collegata alla capacità di miniaturizzare la sua componentistica. Ciò richiedeva speciali apparati che erano molto costosi oltre che molto difficili da costruire.
Da qualche anno, invece, la capacità di miniaturizzazione si è spinta oltre il confine, dando vita a un livello di densità dei transistor superiore. I transistor sono quegli elementi elettronici che permettono di compiere due attività: attivare o disattivare l’energia in un circuito e amplificare un segnale che entra all’interno del transistor. Quindi, per logica basilare, più transistor saranno presenti in un processore e più esso sarà in grado di produrre potenza. Questo spiega come mai all’interno di un processore per computer i transistor siano milioni, se non miliardi.
Quella che vedete rappresentata in immagine è la legge di Moore che affermava che ogni 18 mesi la capacità di un processore poteva raddoppiare perché doppio sarebbe stato il numero dei transistor presenti all’interno. Un processore Intel i7, attualmente venduto presso tutti i negozi, conta oltre un miliardo di transistor, ma torniamo ai nostri computer quantistici che, grazie alle nuove capacità di miniaturizzazione, hanno abbattuto anche la legge di Moore.
Embed from Getty ImagesUN COMPUTER PUÒ PENSARE
Ovviamente, risolto il problema della densità dei transistor, rimaneva un secondo problema che potremmo definire “come deve ragionare un computer di questa potenza?”. La meccanica quantistica entrò in campo prepotentemente, essendo in attesa di una tale capacità tecnica dagli anni Ottanta. Nacquero così i primi computer quantistici,
Ma se un computer normale utilizza un linguaggio binario, realizzato da semplici 1 e 0, come può ragionare un computer quantistico?
Certamente la complessità di ragionamento non poteva far uso del linguaggio binario, sarebbe stato limitante al punto da bloccarne lo sviluppo e pertanto furono inventati i qubit ossia i quantum bit. Si tratta di strutture elementari di dati comunque molto complesse che è difficile spiegare con poche parole, ma ciò che sicuramente possiamo dire sul qubit è che questa entità matematica ha delle sue proprietà e delle sue regole e, per l’appunto, sono regole legate alla meccanica quantistica esattamente come il bit ha delle regole assoggettate alla matematica tradizionale. Questo però significa anche (ed è oggettivamente fondamentale) che con il qubit è possibile rappresentare anche il classico bit, mentre non è possibile effettuare il contrario. Se ciò fosse vero (e non vi è motivo di dubitarne – si consiglia la lettura del teorema di Holevo che sancisce per l’appunto questo principio), è normale pensare che i processori quantistici saranno il futuro perché potranno muoversi sia sul piano dei classici bit, sia sul piano dei qubit.
A questo punto abbiamo capito che un computer quantistico è sì in grado di compiere le azioni di un computer normale, ma anche di spingersi a un livello di calcolo tale da non avere ancora un confine ben preciso. Gli scienziati, infatti, non hanno idea di quali possano essere i limiti di calcolo del qubit, anche perché esistono già modelli di calcolo successivi e quindi, almeno per il momento, non vi è un confine marcato che ponga un limite chiaro e netto alla questione. Al contrario, questi supercomputer sono così tanto potenti che le varie nazioni stanno facendo una corsa contro il tempo per la loro costruzione e anche l’Italia, direttamente impegnata con il CNR, sta dando il suo contributo alla causa.
DALLA TEORIA ALLA PRATICA
Cerchiamo quindi di capire a cosa possano servire e, per farlo, partiamo da un principio base: la matematica e la fisica cercano di affrontare problematiche di varia difficoltà. Tra di essi ci sono problemi di tale complessità che umanamente sono impossibili da dimostrare senza particolari condizioni di calcolo.
Uno di questi fenomeni, ad esempio, si chiama decadimento beta e resisteva ad una soluzione da oltre cinquant’anni: fu Enrico Fermi a teorizzarlo, ma non ci fu mai la possibilità di dimostrarlo in pratica, motivo per cui quel teorema è rimasto tale fino a qualche mese fa. L’11 marzo 2019 è stato fornita una soluzione al problema grazie a un supercomputer quantistico in grado di effettuare analisi contemporaneamente su più stati del problema. Il supercomputer è stato alimentato con i dati raccolti dalle teorie di Fermi oltre che di altri studi e ha simulato e calcolato gli effetti teorizzati confermandone a pieno le conclusioni. Il tutto è stato documentato e pubblicato sul portale di Nature Physic.
Quindi cosa ha fatto il supercomputer veramente? Ha fatto delle mere somme? No, ha esaminato un’enorme mole di dati inserendola in un più contesti di analisi contemporaneamente e ha dato vita a una simulazione così complessa che difficilmente l’uomo avrebbe potuto risolverla da solo. Non è quindi solo una questione di quantità bensì di qualità del calcolo garantito e questo spingerà gli esperti a ottenere risposte da tutti i quesiti che, per essere risolti, richiedono la parallelizzazione dei calcoli.
Ma chi possiede questi computer attualmente? Vi sorprenderà forse sapere che al di là dei poli di ricerca universitaria, anche società come Google hanno questi computer da parecchio tempo. Il modello D-Wave, ospitato presso il Ames Research Center della NASA, è di proprietà di Google fin dal 2016 ed è in grado di svolgere le operazioni di calcolo 100 milioni di volte più velocemente di un computer normale. Questi computer vengono costruiti, al momento, da aziende dedicate come la stessa D-Wave per motivi legati anche al mero funzionamento della macchina che, ad esempio, lavora a una temperatura glaciale. Il D-Wave 2000Q viene portato a -273 °C di raffreddamento per poter garantire il corretto funzionamento e nonostante la grande capacità di calcolo, il consumo in kilowatt è poco meno di 25Kw/h.
QUINDI, A CHI E PER COSA POSSONO SERVIRE I “SUPERCOMPUTER”?
È chiaro che questi computer non sono fatti per giocare, almeno non al momento, né tantomeno per scrivere un documento. Il loro utilizzo porta essenzialmente a due risultati: il primo è un risparmio in termini economici e il secondo è un ampliamento della conoscenza e delle informazioni in possesso dell’uomo. In merito al risparmio è chiaro che un sistema in grado di fornire informazioni utili, in minor tempo e con dieci volte la complessità attuale, garantisce un incalcolabile risparmio economico. Quindi c’è il secondo aspetto che favorirà la previsione di risultati utili per la vita dell’uomo: sarà sufficiente fornire al sistema un ambiente in cui effettuare i calcoli e potremmo avere un’infinità di risposte a problemi e quesiti.
Forse a questo punto alcuni di voi staranno pensando alla guerra, a quella che oggi si compie sui campi di battaglia, ma non solo. Ebbene sì, i computer quantistici di cui la Cina e gli Stati Uniti si stanno dotando, porteranno gli scontri su un altro piano che, per lo meno, si spera provochino meno vittime. La capacità di calcolo dei supercomputer potrà essere utilizzata per simulare scenari bellici, ma anche per generare e gestire nuove modalità di crittografia. Gli scienziati troveranno risposta ai quesiti irrisolti e contenuti nei sistemi atomici e, di conseguenza, in quelli più grandi.
A dire la verità il primo oggetto analizzato abbastanza compiutamente dai supercomputer quantistici è stato il tempo. Qualche mese fa è stata data la notizia, forse un po’ troppo reclamistica, che il computer quantistico avrebbe permesso un viaggio nel tempo. In realtà non è del tutto sbagliato: esseno in grado di catturare più stati contemporaneamente, esso viene usato per comprendere lo stato di vita di un elettrone. Nella fisica quantistica infatti, si sostiene che nello spazio vuoto l’elettrone viaggi tornando a uno stato precedente. I risultati, piuttosto sorprendenti, sono stati pubblicati su Scientific Reports e mostrerebbero come questo sia vero, aprendo quindi la conferma a molte teorie, compreso che il tempo non è realmente lineare e “a senso unico”, come siamo stati abituati a pensarlo. L’attività di scoperta è stata condotta grazie all’intervento di un supercomputer quantistico prodotto dalla IBM.
NESSUN LIMITE
In conclusione, come potrete notare, è praticamente impossibile definire un limite alla tipologia di problemi che si potrebbero sottoporre a un computer quantistico, come è quasi impossibile immaginare una soglia limite nel calcolo dei risultati. Tutto ciò che si può fare è manifestare cautela nelle aspettative, ma, soprattutto, avere consapevolezza della spaventosa capacità di calcolo di questi processori e averne profondo rispetto. Se queste macchine venissero usate per creare dei danni, gli effetti sarebbero devastanti tanto quanto forte sarebbe la loro potenza di calcolo. Ciò che di sicuro sappiamo è che si sono aperte nuove frontiere per l’informatica e che presto forniranno risposte a problemi che potrebbero salvare la vita di milioni di persone se applicate alla medicina. Non resta altro che guardare stupiti il dispiegarsi di un mondo che, forse, ancora non conosciamo davvero.
Edoardo Limone