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Attacco ai curdi: l’Europa può fare qualcosa contro Erdogan?

EditorialeUna serie di spunti dalla nostra redazione sull’attacco della Turchia ai curdi nel nord della Siria e sul ruolo dell’Unione Europea e degli altri attori in campo.

Cosa potrebbe fare la UE per cercare di bloccare l’iniziativa militare di Erdogan contro i curdi?

Su social e giornali abbiamo letto numerosi commenti al veleno sulla “codardia” di Bruxelles e sulla sua supposta “inutilità'” nella vicenda. Ma quanto sono corretti questi commenti? Sembra che la UE sia diventata un po’ il bersaglio principale delle polemiche anti-Erdogan, finendo per oscurare involontariamente le responsabilità degli USA e di altri attori internazionali nella crisi.

Una strategia UE di contrasto a Erdogan avrebbe avuto infatti possibilità solo con gli USA (diciamo che sarebbe stata una strategia USA con appoggio UE…) ma ora non è più possibile, non come prima. “Fermare tutto” non crediamo sia possibile a questo punto, “far male” in teoria sì ma ha un prezzo che in Europa non si vuole pagare (ad es. aumento dei flussi migratori, perdita di commesse commerciali…). Questo perché criticare in coro Erdogan è facile e a zero costi, quindi appunto lo si fa in coro. Il fare qualcosa di concreto vedrebbe molte più divisioni a causa dei “costi” coinvolti.
Aggiungiamo anche che, come spesso accade, a queste ipotetiche contromisure era meglio pensarci prima quando c’era tempo e dunque era possibile valutare più opzioni. Ora è più difficile e probabilmente la soluzione non verrà dall’UE. Forse si riaprirà una finestra se l’operazione turca dovesse subire troppe perdite, ma anche qui vediamo altri attori internazionali operativi ben prima dell’UE.

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Fig. 1 – Un blindato statunitense pattuglia la strada di Tal Baydar nella Siria nordorientale, 12 ottobre 2019

Può essere usata una leva economica?

Una misura attualmente da considerare è quella della pressione economica. A prescindere dal dettaglio di quanto la UE trasferisca – e di quanto si sia impegnata a trasferire in futuro – alla Turchia per la gestione dei flussi migratori, e dalla tempistica di questi conferimenti, questa leva, soprattutto se coordinata a una simile leva USA, potrebbe avere efficacia.

Anche questa misura avrà di certo dei costi da sostenere. E non serve che Erdogan mandi 3 milioni di persone oltre confine per spaventare: ne bastano, per esempio, alcune migliaia in poco tempo, fatte passare senza troppi clamori ma rendendo chiaro perché passano.

Ad esempio, questa non è una misura impossibile da assumere per noi, ma anche in questo caso l’unità Europea non ca data per scontata.

Un embargo alla Turchia?

L’embargo può avere effetto, ma sino a un certo punto. Nonostante molteplici sanzioni, ad esempio, la Russia non ha abbandonato la Crimea e non ha tolto il sostegno ai separatisti del Donbass. Difficile quindi che Ankara abbandoni le sue ambizioni in Siria solo perchè non vogliamo commerciare con lei.

E un embargo potrebbe funzionare solo col sostegno di altri attori internazionali come USA, Russia e Cina. Non crediamo che russi e cinesi decidano di abbandonare i loro affari con Erdogan per solidarietà ai curdi. E non sarebbe opportuno oggi affidarsi agli USA di Trump, perchè le posizioni espresse in questi giorni sembrano eccessivamente cangianti o quantomeno poco chiare.

L’embargo è comunque soprattutto una mossa simbolica, ma necessariamente accessoria, nel senso che dovrebbe essere inserita in ogni pacchetto di iniziative. Pensiamo però che valga poco da un punto di vista di efficacia, perché comunque ci sono canali che restano sempre aperti, basta analizzare i precedenti. Sarebbe già qualcosa, comunque, però siamo di fronte a un Paese che gioca ormai sull’orlo della provocazione e che ha costruito una rete di pressione non indifferente in Europa, usando anche l’emigrazione e la religione come armi.

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Fig. 2 – Bombardamenti turchi in corso nei dintorni di Ras al-Ayn, 11 ottobre 2019

Esiste una leva militare?

Spesso si dimentica che far valere il peso militare è fondamentale in questi casi. Il peso militare infatti risponde alla domanda “e se non lo faccio, che succede?”. Ora, nell’area geografica di interesse gli USA hanno una presenza militare (ma anche se non l’avessero, la potrebbero spiegare in qualche giorno), la Russia pure, la Turchia è appunto lì, ecc. Ciascuno prova a far passare la propria linea e lo fa con un mix di minacce, deterrenza, azione, ecc.

Il problema UE – ma anche dei singoli Paesi Europei – è anche che “esortare”, “invitare”, “mettersi a disposizione” in un caso del genere non serve. Per avere un impatto ci vogliono sempre i soliti due ingredienti: credibilità militare e soldi.

Gli europei credono di poter continuare a ovviare altrimenti. La Turchia è l’ennesimo esempio che quando qualcuno passa all’azione si è impotenti. Nessuna deterrenza e nessuna possibilità di ribattere. Solo chiacchiere e “buoni uffici”. Nessuno vuole spendere idonee quantità di denaro per la politica estera e di difesa, continuando a preferire spendere in welfare (peraltro sempre insufficiente agli occhi del cittadino). Ormai, fuori dall’Europa, questo è evidente. E risulta facile approfittarne.

Ma la Turchia è nella NATO, come si fa?

In teoria, l’UE o i Paesi europei potrebbero voler intervenire, ma sono tenuti a ricorrere alla NATO. Questo, peraltro, accade perché gli USA continuano a sostenere con forza che non serva una duplicazione dei quartier generali e delle forze: si perdono risorse. Problema: oggi, anche se l’UE o una coalizione di volenterosi europei volesse far qualcosa, non esisterebbe un solo comando non NATO in grado di supportare un’operazione di ampia portata e a grande distanza in tempo reale.

E se Europa e Stati Uniti hanno posizioni opposte? E se il Paese contro il quale intervenire è un membro della NATO che gli USA non vogliono espellere?

E non è tutto… Mettiamo il caso che giochiamo d’azzardo e proponiamo la sospensione della Turchia dalla Nato: chi accetterebbe davvero e quale sarebbe la reazione di Erdogan? Ancora non abbiamo visto la reazione dei turchi all’estero, ma la Nazionale di calcio ha già lanciato dei messaggi ben esemplificativi. Tra l’altro, la Turchia non è neanche un Paese di scarso peso per la NATO. Sanzionarla o espellerla dall’Alleanza, come suggerito in questi giorni da diversi politici francesi, rischierebbe di alterare pesantemente gli equilibri strategici nei Balcani e nel Mediterraneo orientale. E di fare un grosso favore alla Russia in tali zone.

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Fig. 3 – Protesta dell’opposizione ad Ankara contro la decisione del Governo di attaccare in Siria, 10 ottobre 2019

Che cosa fanno Assad, la Russia e i curdi?

Bisogna tenere ben presente che la situazione sul campo è particolarmente complessa, tra fazioni curde divise e attori come la Russia e la Siria di Bashar Assad coinvolti. Quest’ultimo è quello che potrebbe guadagnare maggiormente dalla situazione: i Russi (che lo appoggiano) sono l’unica forza militare oltre agli USA che la Turchia non vuole sfidare.

Se gli USA escono dall’area, rimangono gli unici. Dunque Assad può offrire – d’accordo con i Russi – la propria protezione ai Curdi. Questi non apprezzano Assad, ne temono le rappresaglie, ma con qualche garanzia il Presidente siriano potrebbe recuperare una grande parte del Paese sotto il controllo di Curdi e Forze Democratiche Siriane (SDF), a un costo relativamente basso. In questo modo, i Curdi si sentirebbero di nuovo protetti dalla Turchia e Assad avrebbe di fatto confermata la vittoria nella guerra civile che ha scosso il Paese per così tanti anni.

Il prezzo di non fare?

Questa considerazione è fondamentale. Abbiamo visto come sarebbe possibile adottare diverse misure per contrastare le attuali mosse della Turchia, ma il Governo europeo medio sembra considerare, a torto o a ragione, che il prezzo del non fare niente sia più sopportabile. Sicuramente lo è dal punto di vista dell’opinione pubblica interna nel breve periodo… In fondo, dal punto di vista di alcuni, se muoiono i curdi, elettoralmente non si perdono tanti voti… Basta la dichiarazione di vicinanza e il gioco è fatto.

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