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Conti in sospeso sul 38esimo parallelo

Il Giro del Mondo in 30 Caffè – Le tensioni che hanno fatto temere per la ripresa delle ostilità tra le due Coree nel 2010 sono indice di una frattura geopolitica che, dopo sessant’anni, ancora non è stata rimarginata. Andiamo dunque a vedere quali sono le prospettive per il conflitto tra Pyongyang e Seoul, che potrebbe giungere ad un punto di svolta per il ruolo fondamentale che potrebbe essere giocato da Mosca e Pechino.

 

UNA FERITA APERTA La Guerra Fredda è un ricordo lontanissimo, eppure quel 38° parallelo, storica linea di demarcazione tra Corea del Nord e Corea del Sud, continua ad imporsi all’attenzione della comunità internazionale come una ferita aperta. Impossibile trascurarlo se si vogliono comprendere appieno le dinamiche strategiche di quest’angolo di mondo che chiamiamo Estremo Oriente. A ricordarcelo, ancora una volta, è stata Pyongyang, con una serie di  provocazioni (o dovremmo dire minacce?) avvenute pochi mesi fa.

 

L’affondamento del Ch’onan e il bombardamento di Yonp’ yong Island hanno fatto tremare Seoul, che si è trovata di nuovo di fronte al cosiddetto “vecchio nemico”. Aggettivo decisamente inadeguato, dato che, a pensarci bene, in questa vicenda non c’è proprio nulla di “vecchio”.

 

Al di là della prevedibile condanna giunta da Washington, Tokyo e Seoul, è interessante analizzare le posizioni degli altri due protagonisti dello scacchiere geopolitico est-asiatico, ovvero Pechino e Mosca.

 

Posizioni estremamente diverse tra loro, che sembrano indicare nuove tensioni e nuove aperture, invitandoci a mettere da parte i nostri giudizi pre-confezionati e quella sensazione di “già visto” che non appartiene affatto a quest’ultima crisi coreana.

 

LA SCELTA DI PECHINO – Se è vero che la divisione delle Coree è un retaggio di un ordine delle relazioni internazionali che ormai non esiste (quasi) più, è altrettanto vero che gli eventi dello scorso anno sono stati capaci di provocare reazioni inattese e di rottura con il passato.

 

All’indomani dell’aggressione a Yonp’ yong Island, Stati Uniti e Giappone hanno fatto quadrato attorno alla Corea del Sud nel condannare unanimemente l’atto. Gli USA, in particolare, hanno ventilato l’ipotesi di un “ritorno strategico in Asia orientale”.

 

Ma essendo l’Asia orientale ormai dominata dal gigante cinese, la comunità internazionale si aspettava una reazione forte anche da Pechino. Invece, la Repubblica Popolare Cinese ha scelto il silenzio, lasciando disorientati gli altri membri del Consiglio di Sicurezza e provocando l’ira dei sud-coreani, con conseguente raffreddamento delle relazioni diplomatiche Seoul-Pechino (peraltro già tiepide da molto tempo).

 

Ancora una volta, la Cina ha fatto la parte del leone, contrapponendosi agli Stati Uniti e applicando alla crisi coreana una nuova categoria interpretativa: non più Est-Ovest, ma un groviglio di interessi e tensioni che hanno reso il potenziale conflitto tra le Coree un evento nuovissimo, e non un vecchio ricordo di un’epoca ormai trascorsa.

 

Procediamo con ordine: dopo l’affondamento del Ch’onan, la Cina si è dissociata dal lavoro della fact-finding mission internazionale che avrebbe dovuto chiarire le circostanze dell’aggressione, sostenendo che l’indagine era appesantita da pregiudizi anti-Pyongyang e quindi scarsamente oggettiva.

 

Al momento della redazione di uno statement ufficiale del Consiglio di Sicurezza ONU concernente il Ch’onan, Pechino ha fatto di tutto per annacquarne i contenuti, sempre in nome della moderazione e dell’imparzialità. Lo stesso è avvenuto all’indomani del bombardamento di Yonp’ yong Island. La fiducia che Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud avevano riposto in una Cina-mediatrice e pro-Occidente si è praticamente dissolta nel giro di poche settimane.

 

La conferenza stampa congiunta di Hu Jintao e Barack Obama del 19 gennaio 2011 ha aiutato a calmare le acque e frenare la corsa alle armi in Estremo Oriente, ma la Cina dovrà fare ancora parecchia strada prima di potersi ripresentare come un partner affidabile dell’Occidente.

 

In particolare, l’aver difeso la Corea del Nord in sede di Consiglio di Sicurezza è stata una mossa troppo ardita, che Pechino pagherà alla prossima riunione del Six-Party Talk, ovvero il tavolo di discussione sul programma nucleare nordcoreano. Con tutta probabilità, sarà negata alla Cina la possibilità di ergersi ad arbitro della controversia.

 

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LA SCELTA DI MOSCA –  La palla potrebbe quindi passare all’altro big player di questa vicenda, la Russia, ex faro del blocco anti-occidentale, nonchĂ© sesto membro del Six-Party Talk. Da quando la Repubblica Popolare Cinese è stata ammessa all’ONU, nel 1971, Russia e Cina hanno esercitato il loro potere di veto in maniera congiunta diverse volte, e hanno sempre coordinato le loro posizioni in materia di politica internazionale. Ma stavolta non è stato così. Se Pechino ha provato a difendere Pyongyang e minimizzare l’accaduto, Mosca ha scelto la linea opposta, condannando pubblicamente il bombardamento di Yonp’ yong Island e invitando i membri del Consiglio di Sicurezza a riunirsi d’urgenza il 19 dicembre 2010. Nel corso della riunione, la Russia aveva persino proposto un draft statement molto duro nei confronti della Corea del Nord (poi bocciato dai cinesi e sostituito con un documento piĂą soft). Per quanto riguarda il programma di arricchimento dell’uranio portato avanti in maniera tutt’altro che trasparente dai nordcoreani, Mosca ha espresso viva preoccupazione e timore. Che dietro a questo atteggiamento ci siano degli interessi politici ed economici è indubbio: di recente la Russia si è infatti avvicinata alla Corea del Sud, tramite un programma di cooperazione economica e scientifico-tecnologica.

 

Alla luce del comportamento di Pechino e delle tensioni che questo ha generato nella regione, viene da chiedersi: sarĂ  Mosca a fare la parte del mediatore nel Six-Party Talk?

 

Il vecchio gigante ex nemico giurato dell’Occidente, attuale partner inaffidabile in molte zone del mondo, potrebbe diventare l’arbitro che avrà l’ultima parola sulla vicenda delle Coree. I riflettori dunque tornano ad illuminare Mosca ma, come ormai dovremmo aver imparato dalla storia delle relazioni internazionali tra Russia e Occidente, un cambiamento di rotta improvviso non è da escludere.

 

Anna Bulzomi

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