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La NATO in Medio Oriente: quali prospettive?

Analisi – Il recente dibattito sull’impegno della NATO in Medio Oriente trova le sue ragioni nel mutamento del panorama di sicurezza globale e nell’instabilitĂ  dell’area. Ma la mancanza di unitĂ  politica renderĂ  difficile osservare un cambiamento di approccio.

PERCHÉ PARLARE DI NATO IN MEDIO ORIENTE PROPRIO ORA?

I più recenti cambiamenti nel panorama della sicurezza internazionale hanno evidenziato la stretta connessione tra stabilità mediterranea, e dunque mediorientale, e stabilità europea. Ad esempio, il conflitto in Siria ha permesso la formazione dello Stato Islamico e l’incremento della minaccia rappresentata dal terrorismo jihadista in Europa e la guerra in Libia ha permesso la proliferazione dei traffici illegali, in primis di esseri umani diretti in Europa.
Inoltre, questioni come il controterrorismo, la human security e la difesa cyber sono diventate determinanti per la formulazione delle policies di sicurezza tanto nei Paesi NATO, quanto in quelli mediorientali, evidenziando una convergenza d’intenti e interessi.
Questo ha riportato il Medio Oriente nel centro del mirino dell’Alleanza, soprattutto dopo che alcuni leader dei Paesi membri, come Presidente statunitense uscente Donald Trump, hanno invocato un maggior coinvolgimento della NATO nella stabilizzazione del Medio Oriente.

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Fig. 1 – Esercitazione NATO congiunta tra Regno Unito e Turchia, a Konja, Turchia

L’ATTUALE PRESENZA DELLA NATO NELLA REGIONE

L’Alleanza Atlantica è formalmente attiva nella regione mediorientale almeno dagli anni Novanta: nel 1994 è stato istituito il Mediterranean Dialogue, una partnership con sette Paesi del Medio Oriente e Nord Africa, ossia Israele, Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia, Giordania ed Egitto, finalizzata a promuovere la sicurezza regionale attraverso il consolidamento di relazioni positive. A questa si è aggiunta, nel 2004, l’iniziativa dell’Istanbul Cooperation Initiative (ICI), che coinvolge Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait e Bahrain. L’ICI è stata ulteriormente rafforzata con la creazione del NATO-ICI Regional Centre, un centro gestito dal Governo del Kuwait che riunisce ufficiali della NATO e dei Paesi del Golfo in attività di educazione militare su tematiche di interesse comune, quali la cybersecurity e la sicurezza marittima. Infine, la NATO è attiva in vari Paesi della regione mediorientale attraverso programmi di addestramento e istruzione militare: caso emblematico è l’Iraq, dove al momento si trovano 400 effettivi impegnati in una missione di addestramento alle Forze Armate irachene con l’obiettivo ultimo di prevenire la rinascita dello Stato Islamico. 

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Fig. 2 – Il Maggiore Generale Dany Fortin, Comandante delle Missione NATO in Iraq, rilascia un’intervista a Baghdad nel novembre 2019

LA STRATEGIA DELLA NATO IN MEDIO ORIENTE

La crescente instabilità della regione mediorientale nei primi due decenni degli anni Duemila, culminata nella creazione dello Stato Islamico in Siria e Iraq, ha reso necessario lo sviluppo di un nuovo approccio della NATO nei confronti del Medio Oriente. Questo anche a fronte, come già menzionato, di una maggiore interconnessione tra sicurezza europea e mediterranea, e dunque anche mediorientale, e della convergenza d’intenti tra gli attori delle due aree. Coerentemente, nel 2016 l’Alleanza ha concettualizzato la strategia chiamata “Projecting Stability”: un nuovo approccio per le partnership regionali volto alla stabilizzazione delle aree di interesse per la NATO, attraverso il supporto al rafforzamento delle capacità militari dei partner. Il nuovo approccio è fortemente basato sull’addestramento e l’educazione militare, tramite la partecipazione dei partner in esercitazioni, corsi operativi in Europa e in Medio Oriente e il sostegno diretto focalizzato sugli ambiti di maggior debolezza. Esempio primario è stata sicuramente la Giordania, Paese determinante nella lotta allo Stato Islamico, che dal 2018 ha ricevuto un forte supporto da parte della NATO in termini di addestramento, con un focus sul controterrorismo, sul controllo dei confini, sul crisis management e sul dominio cyber. Questo non solo testimonia una forte relazione tra NATO e Giordania, ma è anche indice dell’importanza strategica del Paese agli occhi dell’Alleanza, tanto per la sua posizione, quanto per la rilevanza geostrategica, specialmente nella lotta allo Stato Islamico. Nel quadro di quest’ultima, infatti, la Giordania è stata utilizzata come postazione avanzata per il lancio di operazioni NATO e ha fornito supporto logistico alle forze alleate, rendendo possibili celeri interventi in Siria.
I pilastri che sostengono la presenza alleata in Medio Oriente, dunque, sono principalmente tre: la proiezione di stabilità, la defense diplomacy e il controterrorismo. La prima è legata, come visto sopra, al rafforzamento delle capacità militari dei partner regionali attraverso attività di addestramento e istruzione. Allo stesso tempo questo impegno fornisce il presupposto per la seconda base, quella della defense diplomacy, attraverso la creazione di nuovi network internazionali tra leader militari e l’interazione regolare tra loro. L’ICI, secondo alcuni esperti, ha avuto un ruolo fondamentale, ad esempio, nel coordinare le forze NATO con le controparti qatariane ed emiratine nel contesto delle operazioni in Libia nel 2011. Infine il terrorismo rimane una minaccia primaria anche per la sicurezza atlantica e dunque un importante determinante per le policies e le attività dei Paesi alleati nella regione.

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Fig. 3 – Il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg e il vice Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri del Kuwait Sheikh Sabah al-Khaled al-Sabah presso l’ICI Regional Centre

QUALI PROSPETTIVE?

Le recenti richieste di maggiore impegno dell’Alleanza nella regione difficilmente saranno seguite da un allargamento del ruolo della NATO in Medio Oriente. Innanzitutto perché la quantità di tensioni stratificate e variegate visibili nell’area non permettono all’Alleanza di godere di una volontà politica unitaria: ogni Paese membro ha obiettivi, visioni e interessi diversi nella regione, nonché un approccio diverso alla politica estera e di sicurezza. Questo ha reso evidente l’esistenza di tensioni interne all’Alleanza, specialmente legate alle ambizioni turche nella regione, sottolineando una grande divergenza di interessi e, di conseguenza, l’impossibilità di sviluppare un’azione comune e concertata. Per questo motivo, l’impegno della NATO in Medio Oriente difficilmente prenderà una posizione politica netta, ancorandosi piuttosto ai tre pilastri descritti sopra, generalmente apolitici. Oltre all’unità d’intenti a livello politico, un impegno maggiore e più capillare nell’area implicherebbe una disponibilità di mezzi militari di cui attualmente la NATO non gode. Peraltro, questo renderebbe necessario un cambiamento di focus da parte dell’Alleanza, che a fine 2019 si confermava essere finalizzata primariamente al contenimento della Russia. Un ruolo più radicato in Medio Oriente richiederebbe un decentramento della messa a fuoco sulla Russia, la quale, tuttavia, ad oggi sta moltiplicando nettamente la sua impronta in vari scenari di contesa con la NATO, dal Medio Oriente all’Artico, dal Mediterraneo al continente africano. 
Al netto dell’analisi fatta finora è dunque improbabile che, in assenza di riversamenti geopolitici cruciali, il ruolo della NATO in Medio Oriente assuma una natura diversa da quella osservabile oggi.

Denise Morenghi

Immagine di copertina: Photo by sharonang is licensed under CC BY-NC-SA

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Perchè è importante

  • L’instabilitĂ  mediterranea e mediorientale è strettamente collegata alla stabilitĂ  europea.
  • Questa convinzione, insieme alla convergenza d’intenta tra Paesi NATO e Paesi del Medio Oriente resasi visibile su alcuni temi, ha dato vita a un vivace dibattito.
  • La NATO è attiva in Medio Oriente dagli anni Novanta con varie iniziative. Queste tuttavia sono legate alla sola stabilizzazione delle zone d’interesse attraverso l’addestramento e l’educazione militare.
  • In mancanza di unitĂ  politica, e con una Turchia animata da mire neoimperialistiche, sarĂ  difficile osservare una variazione dell’approccio dell’Alleanza al Medio Oriente.

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Denise Morenghi
Denise Morenghi

Bergamasca di origine, dopo un primo approccio liceale alla lingua araba, ho studiato lingue, culture e societĂ  del Medio Oriente a Venezia. Ho vissuto ad Amman e Beirut e ora sono di base a Parigi per studiare sicurezza internazionale a Sciences Po.
Amo i viaggi, i man’oushe libanesi, i casoncelli bergamaschi, le lingue straniere e la musica di Fairouz.

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