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Le nuove sfide del rilancio

Caffè Nero – La rubrica "7 giorni in un ristretto" riparte con un focus speciale sull'Africa sub-sahariana. Con lo speciale “Caffè Nero”, vi offriamo un aggiornamento sulle questioni più calde che animano o scuotono le regioni africane a sud del Sahara, cercando di monitorare gli avvenimenti e di fornire spunti per degli approfondimenti tempestivi. Eccovi la prima puntata.

NIGERIA – Torna l’ombra della guerra civile sull’elezione di Jonathan. All’annuncio dei risultati delle presidenziali, nel nord della Nigeria sono scoppiate violenze a sfondo religioso.

Sia Jonathan, il vincitore delle elezioni, sia Buhari, il suo principale avversario hanno evocato i disordini e il caos che avvenne durante la guerra civile di quarant‘anni fa. E’ scoppiata la rabbia dei musulmani che avrebbero voluto che il Partito democratico del popolo candidasse un musulmano alle presidenziali anziché Jonathan, un cristiano del sud. Il 26 Aprile i nigeriani sono tornati alle urne per eleggere i governatori dei 36 stati federali, dopo settimane di sangue.

CIAD – Il 25 aprile i ciadiani sono andati alle urne per eleggere il presidente. Deby, capo dello stato dal 1990,è stato rieletto per la quarta volta e guiderà il Paese altri cinque anni. La rielezione di Deby lascia sorpresi i partiti dell'opposizione che avevano già boicottato le elezioni parlamentari di febbraio, accusando il partito del presidente, il Movimento patriottico della salvezza (MPS) di brogli e irregolarità, e minacciando di non riconoscere la legittimità dei risultati. Il tasso di affluenza è stato infatti molto basso. Deby si prepara dunque a guidare per la quarta volta il Ciad, uno dei Paesi più poveri dell'Africa, nonostante nel 2003 sia divenuto esportatore di petrolio.

ZIMBABWEMugabe deve dare l’addio alla sua poltrona. L'avviso di sfratto gli è arrivato mentre era a Singapore, ufficialmente per sottoporsi ad un'operazione agli occhi. Così, Robert Mugabe ha appreso che la sua carriera di presidente-despota dello Zimbabwe è giunta al termine. A dargli l'annuncio, i vertici dell'onnipotente apparato di sicurezza del Paese, in una teleconferenza ad alta tensione. I gerarchi, che all'ombra del dittatore hanno costruito impressionanti reti di potere, ora non hanno più bisogno di colui che negli ultimi anni era diventata la loro marionetta, e si apprestano a cambiare tutto perché non cambi nulla. Ma mentre preparano la exit strategy che porterà al giusto pensionamento di Mugabe, le anime nere del regime cominciano ad affilare le armi in vista dell'esplosione definitiva di quella faida interna da anni in corso sotterraneamente. 

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COSTA D’AVORIO – Il paese si appresta ad una lenta ripresa mentre Ouattara viene proclamato ufficialmente Presidente della Repubblica, e per Gbagbo si apre il processo in tribunale. Nel Paese intanto si continua a lottare contro la fame, i saccheggi e la violenza diffusa. In Costa d’Avorio si può però iniziare a guardare avanti. L’investitura per Ouattara è fissata per il 21 maggio, nella capitale politica Yamoussoukro.Coincidenza non priva di una certa ironia;nel giorno in cui per Ouattara si aprono le porte del palazzo presidenziale, per il suo rivale, Laurent Gbagbo, si spalancano quelle dei tribunali. L'ex presidente, che a lungo ha rifiutato di cedere il potere, con conseguenze terribili per il Paese, si trova ora agli arresti domiciliari nella città di Korhogo.

KENYA – Un paese a secco con distributori di benzina vuoti. La guerra del petrolio sta paralizzando il Kenya. Non lascia morti per le strade, semmai auto ferme, in colonne chilometriche, e migliaia di automobilisti e motociclisti in una isterica disperazione. Però il conto da pagare, in termini economici, politici e sociali è comunque estremamente oneroso. Molti analisti hanno parlato di "crisi artificiale". Ma prodotta da chi e soprattutto perché? La questione si fa ingarbugliata perché si inciampa facilmente in quella guerra sotterranea che da mesi oppone autorità nazionali e compagnie che operano nell'ambito della vendita al dettaglio, quelle che cioè gestiscono gli impianti: i due campi si rimpallano le responsabilità in uno scarica barile esasperante.

UGANDA – Una settimana di scontri e spari nel paese. Un'escalation della crisi politica in cui è precipitata l'Uganda da un paio di settimane, caratterizzate da una serie di marce organizzate dall'opposizione per protestare contro l'inflazione galoppante che sta trascinando fuori dal mercato una larga fetta della popolazione. Ad accendere la miccia è stata la voce diffusasi secondo la quale il leader dell'opposizione Kizza Besigye era morto. Poco importa che si trattasse di una indiscrezione non confermata, la violenza è esplosa immediatamente. Besigye è ormai è il fantasma del leader che ha sfidato Museveni ben tre volte. Sconfitto anche a febbraio, la sua stella era in declino ma adesso il presidente lo sta trasformando in un martire. C'è poca logica in questo, soprattutto perché molti ugandesi si stanno chiedendo quanto valga la loro vita per il regime se quella di un uomo così in vista conta così poco.  Il 4 maggio gli avvocati hanno indetto uno sciopero di tre giorni per protestare contro la linea dura del governo che ha represso con violenza le manifestazioni contro il carovita

SUDAN – Per la prima volta il presidente Bashir si è assunto la responsabilità del conflitto che dal 2003 tormenta la regione nordoccidentale del Sudan. Non ha però lesinato accuse, come già avvenuto in passato, alla Corte penale internazionale dell'Aja che nel 2009 lo ha incriminato per genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità. Ma i colloqui di pace per il Darfur sono di nuovo a rischio. Khartoum vuole il referendum entro luglio, mentre il fronte dei ribelli si è spaccato. Il 1 maggio un convoglio militare di Khartoum è entrato nella regione contesa di Abyei innescando un conflitto con la polizia locale. Pochi giorni prima Bashir aveva minacciato che non avrebbe riconosciuto il Sud Sudan, se Juba avesse rivendicato la sovranità su Abyei. Bisognerà attendere e vedere come si muoverà l’Unamid che ha un ruolo cruciale. Inoltre dal 2 al 4 maggio nel Sud Kordofan si sono svolte le elezioni per il governatore e l’assemblea statale. Il voto è l’ultimo appuntamento elettorale previsto dall’accordo di pace del 2005, e suscita preoccupazioni perché nello stato sono presenti molte milizie armate.

A cura di Adele Fuccio

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