Caffè Geoeconomico – Seconda puntata della nostra rubrica. Il peso geopolitico e geoeconomico del Dragone sta crescendo sempre più e sta espandendo la propria influenza anche sul Vecchio Continente. Questa forma di “espansionismo” può assumere anche connotati finanziari e valutari: Pechino potrebbe infatti giocare una partita con l'Euro come la sta facendo col dollaro, per diversificare le proprie riserve di moneta straniera e aumentare, al tempo stesso, la sua importanza nel definire le sorti dell'Unione Europea.
LA PARTITA DELL’EURO, LA MANO CINESE – Eppur non si muove. Nonostante tutto l’euro regge sui mercati. Mentre la contraddizione al cuore del sistema, il suo essere primo e unico caso di moneta che non esprime una sovranità politica, le sta producendo una sorta di collasso al rallentatore, non si è verificato alcun tracollo nei cambi, in particolare verso il dollaro. E’ vero, il biglietto verde si trova in una condizione apparentemente simile, di controintuitiva tenuta a fronte di politiche (da parte della Fed) e non-politiche (l’impasse tra Congresso e Casa Bianca su tetto del debito e manovra di rientro dal medesimo) che ne minano la solidità. Eppure c’è qualcos’altro: dopotutto l’euro fronteggia una minaccia esistenziale (nessuno si chiede ragionevolmente se il dollaro continuerà a esistere fra tre o quattro anni). Proprio per questa intima fragilità, anzi inconsistenza, della costruzione politica dietro la moneta, il cambio incorpora una forte componente speculativa, aspettative su una crisi politica – prima che finanziaria – dell’unione. Da qualche tempo nella partita di poker sull’euro è entrato un nuovo giocatore, la Cina. Un giocatore il cui peso altera significativamente le aspettative: i flussi valutari sono imponenti, ma sono soprattutto le vaste riserve in valuta del paese a dissuadere la speculazione da attacchi in grande stile. Erede di una millenaria sapienza taoista, il Socio Cinese sa come giocare una partita di poker, che le battaglie si vincono prima di (o senza) essere combattute, ma anche che non è saggio, nel lungo periodo, andare contro il mercato. Questo semplicemente riflette e prepara il possibile collasso (geo)politico dell’Unione dietro la moneta, e se dovesse verificarsi il default greco o una rottura aperta e insanabile nell'asse Berlino-Parigi, le orde speculative dilagherebbero incontrastate, e Pechino con gran danno dovrebbe ritirarsi dalla difesa.
L’INTERESSE DI PECHINO – Perché la Cina si assume il rischio di questa operazione? Facciamo qualche ipotesi:
– l’eurozona è il primo mercato di sbocco dell’export cinese, ormai anche più importante degli stessi Usa, e una sua destabilizzazione finanziaria ed economica sicuramente si ripercuoterebbe negativamente sulla “fabbrica del mondo”.
– è in corso da alcuni anni una graduale diversificazione delle riserve cinesi dal dollaro e dai treasury bonds (i titoli del Tesoro Usa), e l’euro è l’alternativa naturale. Esistono naturalmente valute più solide in questa fase storica, ma real brasiliano, franco svizzero o dollaro australiano non offrono mercati finanziari abbastanza liquidi e sviluppati per le esigenze di un “operatore” come la Cina.
– c’è una questione di respiro più strategico: il sistema finanziario globale è entrato da alcuni anni in una fase di transizione, al termine della quale il dollaro non avrà più la centralità “tolemaica”che ha nel firmamento attuale. Il renminbi cinese appare destinato a sostituirlo nel lungo periodo (se pure non con quel grado di egemonia), ma è un processo che richiederà alcuni decenni. Attualmente è l’euro l’unico concorrente serio del dollaro come valuta di riserva e come moneta di scambio nel commercio internazionale. La sua esistenza offre a Pechino (e non solo) non semplicemente un “porto sicuro” per investire le proprie riserve in alternativa ai titoli denominati in dollari, ma anche una sponda fondamentale per mettere in questione (gradualmente, siamo cinesi) la pericolante (e pericolosa) centralità del dollaro, prefigurare e cominciare a costruire una architettura finanziaria globale per la transizione. Se veramente il gruppo dirigente cinese pensa a un paniere di valute di riferimento per traghettare il sistema globale dalla crisi strutturale del dollaro a un nuovo ordine (del) Pacifico, è chiaro che il fallimento del progetto euro renderebbe impercorribile questa rotta.
La moneta unica europea inoltre rappresenta una soluzione, un partner ottimale, con la sua vastissima base economica, mercati finanziari sviluppati alle spalle e un potere politico più inconsistente che soft, apparentemente molto meno risoluto di Washington nel far valere proprie ragioni e interessi. E comunque la simbiosi cinese, il patto di mutua distruzione assicurata che lega economicamente e finanziariamente Cina e Usa, se si è rivelato in parte deleterio per questi, ora appare sempre più pericoloso o almeno inaffidabile anche a Pechino. Gli anni a venire, inoltre, sembrano destinati a rivelare o infiammare diverse dorsali di conflitto tra le due superpotenze, primariamente sulla competizione per le risorse energetiche.
I “NO”DELL’UNIONE EUROPEA – In realtà la dirigenza cinese ha scoperto alcuni anni fa che pure il rissoso club europeo, la UE, può dire i suoi “no”. Forse perché viene da Venere, come piace pensare ai neocon americani, l’UE non si oppone frontalmente come fa Washington, piuttosto si nega, ma con conseguenze non meno pesanti. Alcuni anni fa l’intesa con la Cina si costruiva non nelle sale operative dei mercati finanziari, ma al massimo livello, quello politico dei grandi accordi strategici. Il punto più alto fu nel 2003, con la firma del partenariato strategico e la cooperazione sul progetto Galileo (il sistema di navigazione satellitare europeo di nuova generazione), un programma di sviluppo industriale di altissimo profilo tecnologico e politico, con il coinvolgimento dei settori della sicurezza e della difesa. Negli anni successivi i rapporti si andarono progressivamente deteriorando, per il peggioramento del deficit commerciale europeo con la Cina, e una serie di pratiche commerciali scorrette ritenute alla sua origine – ma anche per passaggi simbolici importanti, come la mancata revoca dell’embargo UE alle forniture di armi a Pechino (risalente a Tienanmen, giugno 1989). Nel 2008 si arrivò così alla esclusione della Cina (il più grande partner non europeo) dal bando di gara per la “fase due” del Galileo, causa la mancata adozione da parte cinese di un importante trattato WTO (Organizzazione Mondiale per il Commercio) sugli appalti pubblici. Conflitti sulla (mancata) tutela della proprietà intellettuale e sulla concorrenza che Pechino si prepara a lanciare proprio sul terreno della navigazione satellitare – con un proprio sistema in gestazione – erano all’origine della rottura, ma è ben possibile che – come sostenuto da Pechino – abbia giocato un ruolo la diffidenza Usa riguardo all’accesso dei partner cinesi alle parti strategicamente sensibili del sistema.
Il Dragone per parte sua recrimina pure sul mancato riconoscimento da parte di Bruxelles dello status di economia di mercato (MES), e sulle connesse misure europee di protezione antidumping.
UNA PARTITA APERTA – Queste sono tutte partite aperte tra Cina e UE (ed Eurolandia in particolare), ma i rapporti di forza sono cambiati, e ora Pechino segue una sua strada di integrazione economica con l’Europa, più unilaterale. Non si tratta solo di entrare come azionista dell’euro, nel suo bacino di debito pubblico: anche fondi sovrani e grandi società (e privati) cinesi investono nelle imprese europee – per diversificare ma anche per accedere a riserve di know-how e tecnologia – e nelle grandi infrastrutture (soprattutto porti mediterranei e del Nord), a supporto del proprio export. La Cina inoltre è cresciuta, ora è anche un vasto e importante mercato, assolutamente decisivo per l’industria tedesca, anche questo è chiaramente un canale forte di presa politica sul continente.
Bruxelles però, come si è visto, ha ancora molto in serbo da offrire per una Grande Entente con la Cina, che la coinvolga sulle grandi questioni globali di medio-lungo periodo – e l’economia cinese ha le sue contraddizioni e debolezze finanziarie, con cui deve pur fare i conti, mentre gioca le sue riserve in valuta nelle grandi partite geopolitiche.
Andrea Caternolo [email protected]