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Il carro armato tra presente e futuro

Miscela Strategica Il carro armato, sistema d’arma nato per superare lo stallo della guerra di posizione, sembra vivere una fase di declino. È davvero così o la situazione è più complessa di quanto sembri?

UN’ARMA OBSOLETA? – Un assetto da Seconda guerra mondiale superato ormai dall’uso dell’aviazione, che può cambiare le sorti di un conflitto. È questo il comune sentire “occidentale” che sembrerebbe condannare senza appello il Main Battle Tank (MBT), anche alla luce delle nuove dottrine strategiche post Guerra Fredda e delle operazioni militari asimmetriche successive all’11 settembre 2001. Ma è davvero così? Per comprendere quale sia la reale importanza e il futuro del MBT bisogna considerare l’evoluzione del suo impiego dalla Guerra fredda a oggi, esaminando quali siano state – e come si siano svolte – le ultime battaglie che hanno coinvolto in uno scontro simmetrico i carri armati.

L’ULTIMA ‘BATTAGLIA DEI GIGANTI’: LO YOM KIPPUR – La guerra arabo-israeliana del 1973, nota come Yom Kippur, dal nome della festività ebraica (6 ottobre) del giorno in cui ebbe inizio l’attacco congiunto delle forze militari egiziane e siriane, rispettivamente dal Sinai e dalle alture del Golan, contro Israele. I primi due giorni del conflitto rappresentarono uno shock per le IDF (Israeli Defense Forces), non solo per l’effetto sorpresa legato alla festività in corso, ma soprattutto per le tattiche utilizzate sul campo di battaglia. Infatti Israele non riuscì a imporre immediatamente la superiorità aerea, perché le forze corazzate arabe avanzavano protette da nuovi sistemi d’arma di fabbricazione e fornitura sovietica: il semovente ZSU-23 Shilka e le batterie SAM (Surface-to-Air-Missile) SA-6 Gainful. Questa circostanza costrinse gli israeliani a difendersi ricorrendo principalmente alle forze corazzate e ai sistemi anticarro da fanteria. Le IDF concentrarono la maggior parte delle proprie forze di terra sul fronte siriano, consapevoli che la perdita di terreno in quel settore, vista la conformazione geografica, avrebbe spianato la strada al nemico, che in poche ore avrebbe potuto raggiungere il cuore del Paese: Netanya, Haifa e Tel Aviv.
Per questi motivi gli israeliani lanciarono in battaglia tutte le risorse disponibili, inviando immediatamente i riservisti nel Golan, costretti ad affrontare gravi svantaggi operativi come l’impossibilità di calibrare il cannone dei propri carri, l’utilizzo di mezzi privi di alcune dotazioni (come le mitragliatrici) ed equipaggi diversi da quelli che si erano addestrati insieme.
Il ribaltamento dell’esito della guerra fu possibile grazie al ponte aereo di rifornimenti e mezzi militari, noto come Nickel Grass, voluto e condotto dagli USA sotto la presidenza Nixon, ma anche grazie alla determinazione dei carristi israeliani, che, scontratisi con i nemici dotati di T-55 e T-62 con tutti i mezzi disponibili (M-4 Sherman, M-48 Patton, M-60, Centurion e AMX-13), dopo aver perso il proprio carro ne hanno guidati altri per continuare a combattere (vedi il Chicco in più).
Per questo motivo la successiva dottrina israeliana ha dato estrema importanza alla sopravvivenza dell’equipaggio del mezzo, richiedendo requisiti che hanno portato allo sviluppo della caratteristica serie dei carri armati Merkava (blocco motore presente nella parte anteriore dello scafo) che ha delle spiccate qualità difensive.

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Fig.1 – Carri Merkava in movimento durante l’operazione Protective Edge, nell’agosto 2014 

LA DOTTRINA USA – Secondo alcuni analisti, l’ultima guerra che avrebbe visto scontri tra carri armati “vecchio stile”, intesa come contrapposizione tra forze simmetriche, sarebbe quella del Golfo (operazione Desert Storm, 1991). In realtà durante quel conflitto l’aviazione alleata, ottenuta la supremazia aerea, ha svolto un ruolo determinante, martellando le postazioni difensive e le forze corazzate irachene, che non hanno né opposto una strenua resistenza, né dato vita a duri scontri campali tra carri armati.
Desert storm, comunque, ha costituito il canto del cigno della dottrina statunitense e NATO incentrata su possenti divisioni corazzate – composte principalmente da MBT, IFV (Infantry Fighting Vehicle), elicotteri d’attacco e artiglieria – che durante la Guerra fredda erano state costituite per contrapporsi alle forze del Patto di Varsavia. Infatti, le divisioni corazzate americane stanziate in Germania Ovest avevano il compito di sostenere l’impatto e ritardare l’avanzata in Europa delle forze nemiche, giudicate numericamente superiori, fino all’arrivo dei rinforzi dagli USA. Questa organizzazione è stata abbandonata con il collasso dell’Unione Sovietica in favore di una struttura più snella, incentrata su mobilità e una proporzionata potenza di fuoco. Questa nuova dottrina, incarnata dalla rapid dominance, è stata ampiamente utilizzata durante il secondo conflitto in Iraq (2003), ma ha dimostrato anche alcune criticità legata alla protezione dei convogli di logistica. Inoltre nell’ottica statunitense il MBT (Main Battle Tank) non ha un ruolo primario in operazioni asimmetriche, come quelle legate alla lotta al terrorismo internazionale, che vede in prima linea il ricorso a forze speciali, droni e supporto aereo come stabilito più volte nelle ultime manifestazioni della National Military Strategy. Per questi motivi il MBT statunitense è ancora l’M-1 Abrams, nelle sue varie versioni migliorate, mentre il procurement USA si era orientato sull’acquisizione di droni e veicoli Mine-Resistant Ambush Protected (MRAP), utilizzati soprattutto in Afghanistan e Iraq per proteggere i soldati dal pericolo costante costituito dagli IED (Improvised Explosive Device).

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Fig.2 – Carri statunitensi M1A1 in addestramento in Kuwait nel 2003, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq 

L’EVOLUZIONE DELLA DOTTRINA GIAPPONESE – Un quadro diverso riguarda invece l’Asia e in particolare il Giappone. Quest’ultimo, oggi guidato dal premier Shinzo Abe, ha adeguato il proprio sistema di alleanze – stipulando accordi con Australia (2007) e India (2008) – e il procurement militare in base all’evoluzione dello scenario politico internazionale, arrivando gradualmente a diventare un Paese esportatore di armamenti. Questo apparente “stravolgimento” della strategia difensiva del Sol levante è legata in realtà a una stima dei potenziali pericoli nazionali, rappresentati principalmente dai vicini Cina e Corea del Nord, unita alla presa di coscienza che l’ombrello protettivo USA è sempre più piccolo.
È in questo contesto, fortemente orientato dal Libro Bianco costantemente aggiornato, che Tokyo ha continuato la ricerca e lo sviluppo di armamenti, inclusi i mezzi corazzati. Il frutto principale di quest’immenso sforzo economico – il Giappone è al quinto posto della classifica 2013 sulle spese militari della rivista IHS Jane’s – è rappresentato dal nuovo blindato 8X8 MCV (Maneuver combat vehicle, molto simile al nostro Centauro) e dal MBT Type-10 di recentissima progettazione e costruzione (2010). Questo carro, che andrà a sostituire il veicolo di terza generazione Type-90 prodotto alla fine degli anni Ottanta, è costruito tenendo conto delle tecnologie di punta del settore (corazza modulare in ceramica composita, sospensioni attive idropneumatiche, motore diesel v8, cannone da 120 mm), delle esigenze tattiche e strategiche finalizzate a scoraggiare potenziali aggressori e del possibile mercato di esportazione.

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Fig.3 – Carri giapponesi Type-10 alle grandi manovre 

CONCLUSIONI – Il carro armato non è affatto un sistema d’arma finito: la sua centralità dipende dall’assetto politico e dalle minacce presenti in un particolare scacchiere geopolitico. Se in Europa una guerra convenzionale è percepita come una possibilità remota, parzialmente smentita dalla crisi ucraina, in altre parti del globo non è affatto così. Nuovi MBT, infatti, sono progettati, costruiti o acquistati dove la percezione di una minaccia è maggiore, come in Asia. La Corea del Nord, infatti, nei primi anni Duemila ha schierato il Pokpung-ho, e sta progettando ulteriori carri. L’India sta cercando soluzioni autoctone perfezionando il progetto Arjun, mentre la Cina, dotata del suo MBT Type-99 di terza generazione, nel 2015 investirà nel settore Difesa risorse che supereranno quelle di Gran Bretagna, Germania e Francia messe insieme (stime di IHS Jane’s).
Un discorso a parte riguarda la Russia, grande esportatrice di sistemi d’arma, che non ha mai abbandonato la ricerca e lo sviluppo, migliorando ulteriormente i due carri principali – il T-80 e il T-90,spina dorsale delle sue forze corazzate.
La percezione occidentale, comunque, non deve trarre in inganno, essendo allo studio upgrade, versioni aggiornate di corazze reattive (ERA – Explosive Reactive Armour) e ulteriori sistemi di protezione attiva o passiva (con sistemi simili ai russi Shtora e ARENA e all’israeliano Thophy).
A riprova dell’importanza del MBT anche in contesto asimmetrico, infine, basti ricordare come questo si sia dimostrato decisivo in situazioni ove il suo impiego non era assolutamente preventivato. Si pensi all’esito disastroso dell’operazione Irene finalizzata a catturare il signore della guerra somalo Mohamed Farrah Aidid (Unosom II, 3-4 ottobre 1993): la missione di soccorso alle forze americane intrappolate nel centro di Mogadiscio fu supportata dalle uniche forze corazzate presenti nell’area, quelle pakistane, equipaggiate con carri M-48.

Francesco Tucci

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più

Il primo giorno della guerra dello Yom Kippur, i siriani avevano un vantaggio numerico valutato di nove soldati a uno, ma gli israeliani dimostrarono uno spirito combattivo e una determinazione impressionanti che contribuirono alla vittoria. Un esempio famoso è costituito dal comandante Zvika Greengold, che, arrivato di notte nella zona operazioni solo con il suo carro, ingaggiò il nemico combattendo nelle 20 ore successive, cambiando mezzo ogni volta che il proprio veniva distrutto dal nemico (per un totale di 6-7 carri) e noncurante delle ferite riportate in battaglia. [/box]

Foto: 7thArmyJMTC

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Francesco Tucci
Francesco Tucci

Sono un giornalista professionista laureato in Scienze politiche. Specializzato in diritto parlamentare, ho lavorato alla Camera dei deputati dopo essere approdato ad alcune agenzie stampa. Da sempre interessato alle dinamiche geopolitiche e militari estranee “all’orticello di casa”, ho collaborato con il Centro Studi Internazionali (Ce.S.I) e con il Caffe’ Geopolitico per cercare di svelare le strategie dei principali attori internazionali.

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