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Le rette parallele

Stato e Chiesa: un rapporto che ha rappresentato una costante ineludibile della politica, non solo interna ma anche estera, della storia italiana. In questo articolo ne ripercorriamo le tappe principali: dalla rigida opposizione del Vaticano al neonato Stato italiano dei primi decenni alla riconciliazione durante i primi anni del Fascismo, che portò alla stipula dei Patti Lateranensi, fino agli sviluppi più recenti dei papati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ecco come la Chiesa ha di volta in volta supportato oppure osteggiato le scelte della politica estera nazionale

 

UN INIZIO DIFFICILE – Nella storia dei rapporti tra la Santa Sede e l’Italia a partire dal 1861, si può individuare una prima grande fase dominata dalla “Questione Romana” (vedi “Un chicco in più”), che si conclude con la stipula dei Patti Lateranensi nel 1929. Nei primi decenni dell’Italia unita la legislazione anticlericale del governo, da una parte, e il non expedit (ovvero il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica nazionale, stabilito da Pio IX nel 1874) dall’altra, aumentano la distanza tra il “paese reale” (il popolo) e il “paese legale” (le istituzioni). Per quanto riguarda la politica internazionale, la Santa Sede – privata definitivamente di ogni sovranitĂ  territoriale nel 1870 – è alla ricerca di una sponda europea che possa appoggiare le sue rivendicazioni. A questo proposito Leone XIII (1878-1903) mostra inizialmente di appoggiare la politica favorevole alla Triplice Alleanza espressa all’interno della Curia romana dal cosiddetto “nucleo tedesco”, guidato da mons. Luigi Galimberti. Si tratta di una politica “evoluzionista”, che mira ad ammorbidire la posizione dell’Italia facendo leva sui rapporti internazionali di quest’ultima. La fine del Kulturkampf (vedi “Un chicco in più”) in Germania è il risultato piĂą importante di Galimberti e dei suoi collaboratori, ma con l’arrivo del nuovo segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro (1887) il quadro muta radicalmente. Rampolla infatti promuove un orientamento filo-francese il cui obiettivo è lo scardinamento della Triplice Alleanza per isolare l’Italia attraverso un riavvicinamento franco-austriaco: tale politica costerĂ  allo stesso Rampolla il “veto di esclusione” da parte dell’Austria-Ungheria al conclave del 1903, dal quale uscirĂ  eletto il patriarca di Venezia Giuseppe Sarto. Meno attivo sulla scena internazionale Pio X (1903-1914); papa Sarto si affida per gli affari piĂą importanti alla sua segreteria particolare, la “Segretariola”, che si occupa sopratutto delle questioni relative all’Italia, dalla crisi modernista ai rapporti sempre delicati con le autoritĂ  civili.

 

GLI ANNI DELLA CONCILIAZIONE – Il pontificato di Giacomo Della Chiesa (Benedetto XV, 1914-1922) vede l’avvio di una “conciliazione ufficiosa”, che resiste alle tensioni suscitate dalla Prima Guerra Mondiale (di cui è un esempio l’esclusione della Santa Sede dalle trattative di pace, sancita dal Patto di Londra su richiesta italiana). Nel 1919 il cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri invia mons. Bonaventura Cerretti a Parigi per discutere in via preliminare e confidenziale i termini di una soluzione della Questione Romana con il presidente italiano Vittorio Emanuele Orlando. Nel 1924 il Vaticano favorisce la ratifica del Trattato di Roma tra Italia e Jugoslavia, agendo sui deputati cattolici croati e sloveni del parlamento jugoslavo attraverso il nunzio a Belgrado mons. Pellegrinetti. L’avvio del pontificato di Pio XI (1922-1939) e l’inizio della dittatura fascista non alterano radicalmente tale contesto nel quale, nonostante la tensione suscitata a piĂą riprese dalle pretese totalitarie del regime, prendono corpo le trattative che porteranno alla conclusione dei Patti Lateranensi. Negli anni che precedono l’“accelerazione totalitaria” del regime fascista, il Vaticano condivide con l’Italia importanti indirizzi di politica estera (è emblematico in questo senso lo sforzo comune per difendere l’indipendenza dell’Austria dall’espansionismo tedesco), ma il progressivo avvicinamento dell’Italia alla Germania nazista suscita reazioni molto negative Oltretevere; tuttavia la volontĂ  di denunciare unilateralmente il Concordato, attribuita a Pio XI negli ultimi mesi del suo pontificato (contro la volontĂ  di gran parte della Curia) e attualmente oggetto di dibattito in sede storiografica, non ha trovato ad oggi un riscontro documentario convincente.

 

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IL DOPOGUERRA E LA DC – Durante il lungo pontificato di Eugenio Pacelli (Pio XII, 1939-1958) è il romano mons. Domenico Tardini a occuparsi piĂą da vicino degli affari politici della Santa Sede; il bresciano Giovanni Battista Montini rappresenta invece un punto di riferimento per Alcide De Gasperi e la nuova classe dirigente democristiana, anche a seguito del precedente impegno nell’Azione Cattolica. All’indomani della fine del conflitto mondiale, la Santa Sede segue con attenzione i lavori dell’Assemblea Costituente; in materia di rapporti tra Stato e Chiesa, il Vaticano appoggia la formulazione del futuro articolo 7 (vedi “Un chicco in più”) proposta da Giuseppe Dossetti, anche se guarda con sospetto l’appoggio che si profila all’orizzonte a questo proposito da parte del PCI di Togliatti. Il giudizio sulle vicende italiane fa emergere alcune differenze tra le due anime della segreteria di Stato di Pio XII: mentre Montini sostiene l’unitĂ  politica dei cattolici nella DC, Tardini è piĂą cauto, non disapprovando a livello di principio un pluralismo di posizioni ma escludendo aperture a sinistra; entrambi, in ogni caso, sono contrari al blocco cattolico-conservatore prospettato da Luigi Gedda nel 1947. Anche l’ingresso dell’Italia nell’Alleanza Atlantica suscita opinioni discordanti: Tardini è piuttosto contrario, ritenendo preferibile per l’Italia una posizione internazionale di neutralitĂ  e temendo soprattutto un coinvolgimento della Santa Sede; Montini si esprime invece in senso favorevole, confermando la sua vicinanza a De Gasperi. Anche Pio XII, nonostante le iniziali perplessitĂ , decide infine di approvare la scelta atlantica dell’Italia. I pontificati di Giovanni XXIII (1958-1963) e Paolo VI (1963-1978) attraversano anni cruciali per la Chiesa italiana: l’ottimismo suscitato dal Concilio Vaticano II (1962-1965) deve fare i conti con una fede sempre meno praticata e vissuta in ampi strati della popolazione, mentre cresce l’insofferenza di parte del clero e del laicato per il magistero pontificio, evidente nel caso dell’enciclica Humanae vitae (1968). Papa Montini interviene nelle questioni italiane attraverso la Segreteria di Stato e altri canali: negli anni in cui viene introdotta la legge sul divorzio e si inizia a discutere di una revisione del Concordato, il papa si confronta a piĂą riprese con il segretario della CEI mons. Enrico Bartoletti, con il quale l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede Gian Franco Pompei elabora una prima bozza del nuovo Concordato.

 

WOJTYLA E RATZINGER: GLI ULTIMI SVILUPPI – Il maggiore protagonismo della Conferenza Episcopale contraddistingue i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia nel pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005), a partire dall’accordo-quadro del 1984, che fa della CEI il soggetto competente a trattare con le istituzioni italiane in diverse materie, tra cui i beni culturali e il finanziamento pubblico alla Chiesa cattolica. Nel confuso quadro generato dalla “fine della Prima Repubblica”, con la diaspora politica dei cattolici che ne è conseguita, le istituzioni italiane trovano nella CEI del cardinale Camillo Ruini un interlocutore privilegiato. Con Benedetto XVI la situazione appare meno definita: in un’importante lettera al presidente della CEI Angelo Bagnasco (25 marzo 2007) il segretario di Stato Tarcisio Bertone ha infatti rivendicato implicitamente un ruolo piĂą attivo per sĂ© nei rapporti con le autoritĂ  civili. L’attuale crisi economica e politica, che ripropone il problema del ruolo dei cattolici nell’arena pubblica (i cui termini sono stati lucidamente evidenziati dal cardinale Bagnasco a Todi, il 18 ottobre 2011), darĂ  sicuramente vita a nuove occasioni di confronto.

 

Paolo Valvo

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