Tattica, scopo, messaggio, reazione, attori, tutti a casa, scontro di civiltà (?). Dopo gli atti di terrorismo di Parigi, confronto aperto qui in redazione, per aiutarci tutti a capire meglio, oltre le reazioni istintive che un momento così ci provoca
SGOMENTI – È ancora difficile trovare le parole, certe parole, se non quelle dettate dalla rabbia, dalla preoccupazione, dalla tristezza, a seconda dei casi. Inutile ribadire quanto ci sentiamo coinvolti soprattutto oggi per quanto è avvenuto qui, a due passi da casa nostra. Anzi, a casa nostra.
Fig. 1 – A Berlino, cittadini depongono fiori davanti all’Ambasciata di Francia e con le candele scrivono “Parigi”
Ieri notte, verso l’una, scrivevo questo sulla nostra pagina facebook:
Un atto di terrorismo è una azione criminale e violenta con uno scopo preciso: causare paura, terrore, in un determinato gruppo di persone, per conseguire obiettivi politici. Non si colpiscono le istituzioni in primo luogo, ma la vita delle persone. Un teatro, un ristorante, uno stadio: da questo punto di vista, stiamo tutti assistendo a terrorismo allo stato puro.
In quel gruppo di persone colpite, ci siamo – quantomeno – tutti noi, tutti noi europei. E da domani ancora di più dovremo anche capire e verificare se siamo davvero una Unione, come speriamo.
Stiamo seguendo anche noi i vari live. Prima di tutto con tanto dolore, sgomenti. Poi cercheremo di aiutarci a capire, scrivere, analizzare. Convinti come mai che non possiamo più permetterci di pensare che certe cose sono lontane e non ci riguardano, e non può più bastare solo qualche hashtag che esprime una vicinanza o una attenzione di pochi giorni, per poi tornare a essere indifferenti rispetto a quanto accade attorno a noi.
Fig. 2 – Il Presidente francese Hollande incontra i membri del suo Governo dopo gli attacchi terroristici a Parigi
AIUTIAMOCI – Dodici ore dopo, proviamo ad aiutarci a capire un po’. In questi casi mi è d’aiuto pensare di far parte, nella famiglia del Caffè, di una Associazione culturale, prima che di una testata online. Innanzitutto, aiutiamoci ad analizzare, a spiegare. Girano ancora – e lo faranno per molto – troppe parole insensate. Di questo tema avevamo già parlato subito dopo la strage di Charlie Hebdo. Mi piacerebbe dire che il vento se le porterà via con sé, eppure temo proprio il contrario: sarà un duro lavoro quello del vento, perché certi slogan da “soluzioni finali” troveranno sempre più radicamento.
Ora, proviamo un esperimento. Vedo sette temi che come redazione potremmo un po’ approfondire per aiutarci tutti insieme a capire meglio. Li propongo qui, pubblicamente: ci prendiamo un giorno, proviamo a rispondere, ognuno su quello che ritiene, ed entro lunedì mettiamo insieme le risposte della redazione, e magari anche di qualche membro del nostro Comitato Scientifico. Se qualche lettore vuole contribuire alla discussione, liberissimo di commentare qui sotto e aiutarci (occhio però: per i commenti alla “bomba atomica, ammazziamoli tutti” è preferibile rimanere su siti di giornali che oggi titolano “Bastardi islamici”).
1. La tattica – Sette “piccoli-medi” attacchi in sincronia sono più semplici da preparare di un World Trade Center, tanto per capirci, ma l’organizzazione che porta a una simile sincronia è impressionante, è una novità, mi sembra un innalzamento di livello che ci deve far riflettere su chi ci troviamo davanti, e che va approfondito.
2. È un distogliere l’attenzione? – Negli ultimi giorni lo Stato Islamico sta faticando molto in Siria e in Iraq contro i Curdi. Nulla di nuovo, certo, nello spostare l’attenzione mediatica fuori dal campo principale di battaglia con gesti clamorosi. Ma quanto conta, questo? Torniamo al punto 1: un piano così o è pronto da settimane/mesi, e chi lo attua è solo in attesa di un via libera, oppure difficilmente lo si può organizzare in due settimane.
3. Chi tocca la Siria – L’aereo russo caduto ci ha certamente turbato di meno. Della strage di Beirut tanti di noi non si sono nemmeno accorti. Quanto sta accadendo in questi giorni da un lato sottolinea (punto 1) cosa è in grado sempre più di compiere Isis, dall’altro sottolinea il messaggio che ci viene consegnato: in quella che noi Occidentali anacronisticamente chiamiamo ancora Siria, non dobbiamo proprio metterci il naso.
4. Rispondere al messaggio – Cosa può voler dire, ora, una forte reazione, che vada oltre la rabbia del momento della popolazione o dei politici che illustrano con un tweet una strategia militare (“si alzino gli aerei oggi e radiamoli al suolo”)? Sappiamo bene come qualsiasi risposta militare voglia dire accettare di entrare in un ginepraio. E nello stesso tempo abbiamo davanti agli occhi inefficienza e inefficacia sia di azioni diplomatiche sia di strani ibridi con effetti inferiori ad un palliativo. Che risposte immaginare realisticamente possibili?
5. Gli attori in causa – Il G20 proprio oggi è in Turchia. Paese nostro alleato, membro Nato (!) che da anni ormai è l’hub del terrorismo, con porte girevoli in entrata e in uscita. I terroristi di tutto il mondo hanno usato la Turchia (che ha chiuso più di un occhio, fatto che ormai le si è ritorto contro) come accesso in Siria, e nulla impedisce il cammino inverso. Come si può continuare a tollerare questa ambiguità? Nelle “reazioni”, possiamo inserire anche questo punto?
6. Tutti a casa – Al di là della decisione francese di chiudere le frontiere in questo momento così drammatico, consumiamo la voce per urlare “basta” rispetto all’accogliere “certa gente”. Certo, l’abbiamo fatto già fin troppo: l’Unione (sic) Europea non è riuscita a trovare un modo per accordarsi e definire l’accoglienza di una percentuale di migranti inferiori allo 0,1% della sua popolazione. Ecco, io oggi voglio solo sottolineare che chi scappa dalle guerre, scappa da posti in cui la Parigi di ieri sera è la quotidianità. Se dobbiamo immedesimarci alla “Je suis…”, proviamo a farlo anche qui.
7. Scontro di civiltà – Chiudo permettendomi di riportare un commento apparso su Facebook di Alberto Negri, giornalista de Il Sole 24 Ore e membro del nostro comitato scientifico: “Il Califfato, come il jihadismo dai tempi dell’Afghanistan in poi, è stato alimentato dagli errori, dalle ambiguità e dalle complicità dell’Occidente e dei suoi alleati arabi e turchi. Si è innestato sul fenomeno del jihadismo europeo e mediorientale di terza generazione e ora è in grado di portare la guerra in casa. Si tratta di un conflitto ormai assai complicato in cui non è facile scegliere gli obiettivi, gli alleati e persino i nemici. Ma è reso ancora più complesso dal fatto che scorrerà sul filo sottile che separa la lotta al radicalismo islamico e lo scontro tra civiltà. La trappola è scattata”. Quanto è vero questo: di scontro di civiltà oggi ci riempiamo la bocca un po’ tutti. Non si può certo negare l’esistenza di un terrorismo e di un estremismo di matrice islamica, però tocca a noi dire anche con forza che non è una guerra di religione. Non c’è proprio un “Islam intero” che ci dichiara guerra. Le vittime del terrore dello Stato Islamico sono per la stragrande maggioranza musulmani. E aprire un giornale titolando “Bastardi islamici” è soffiare proprio su quelle paure che un’azione terroristica genera, facendo il gioco di chi quella azione la compie.
Alberto Rossi
[box type=”info” align=”aligncenter” class=”” width=””]Potete seguire le nostre riflessioni e leggere i nostri articoli su questa pagina dedicata.[/box]
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Potete trovare qui una raccolta di nostri articoli precedenti sul tema, per allargare il cerchio e andare oltre i fatti di ieri, per capire meglio cosa c’è in gioco.
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Foto: jamesdean56