Il nostro editoriale dedicato all’attentato di Parigi. Riproponiamo alcune riflessioni che hanno fatto da premessa alla compilazione dello speciale Hot Spot – L’Europa e l’Islam contro il terrorismo
“Mi chiedi di parlare, stavolta”. Senza entrare qui nel merito di tutto quello che scrive dopo, mi ha sempre colpito l’incipit della Fallaci, quando su invito del direttore del Corriere scrive “La rabbia e l’orgoglio” poco dopo l’11 settembre. “Di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto (…). E lo faccio”.
Gli eventi di Parigi ci toccano da vicino e ci coinvolgono direttamente, è inevitabile e naturale. Quanto avvenuto è nel nostro mondo, e non possiamo esserne indifferenti. Davanti a questo, è come se per tanti di noi la realtà ci avesse detto “mi chiedi di parlare”. Quante parole, in questi giorni. Social network (dove siamo tutti volta per volta commissari tecnici, esperti di riforme elettorali, e a questo giro luminari di geopolitica o storia delle religioni), blog, giornali online, trasmissioni, live minuto per minuto. Il mondo dell’informazione fa il suo mestiere, ma mai come a questo giro, nel vortice del “bisogna dire qualcosa, tutto purché lo si dica subito” si è azzerata la distanza, anche temporale e cronologica, tra fatti e opinioni, conoscenza e giudizio. Non è una novità assoluta, ma questo percorso che porta ad una pressochè totale mancanza di riflessione genera, ha generato, tante parole vuote e prive di senso.
E al di là delle parole di politici che portano avanti aprioristicamente le posizioni dei propri partiti, soffiando sul fuoco per loro convenienze, tra gente comune e opinionisti abbiamo provato a leggere che tutti i terroristi sono musulmani, facilitando un’equazione che indignerebbe tra gli altri Ahmed, agente di fede islamica ucciso nell’assalto al Charlie Hebdo mentre tentava di fermare i terroristi, così come a suo modo Andres Breivik, autore della strage norvegese del 2011 con 77 morti.
Abbiamo letto di un 11 settembre europeo, che fa tanto sensazionalismo ma di fatto è un paragone che fatica a reggere (tra l’altro, dimenticandoci così degli attentati di Madrid 2004, 191 morti, e Londra 2005, 56 vittime).
Abbiamo letto difese assolute della satira, tanto che chi ha osato mettere in dubbio l’opportunità di questa su alcuni argomenti (religione, sì, ma anche omosessualità , razza, episodi con vittime) è stato tacciato di connivenza con i terroristi, spesso dai primi che si sono da indignati o hanno censurato la satira quando questa ha toccato il proprio gruppo sociale.
Abbiamo letto di guerre di religione, e allora anche su questo diventiamo tifosi: da una parte dicendo che l’Islam “non c’entra nulla con questo”, rischiando di nascondere questioni interne a questa religione e ad estremisti ad essa collegati, dall’altra con titoloni a 9 colonne che fotografano e descrivono una religione solo con i fatti di Parigi, come se ad esempio identificassimo il Cristianesimo solo con le crociate, e con buona pace dei tantissimi musulmani che ancor più di altre volte stanno dicendo pubblicamente #notinmyname.
Sui fatti di Parigi ci è mancata un po’ la dimensione del silenzio. Abbiamo subito detto la nostra, sentenziato, forse lavandoci così un po’ la coscienza, ma senza un vero momento di tristezza e com-passione, per quanto avvenuto. Ma per silenzio intendiamo anche altro. Quando vivevo a Gerusalemme, una frase ascoltata mi ha molto colpito: “Chi rimane a Gerusalemme una settimana torna e scrive un libro, chi rimane un mese torna e scrive un articolo, chi rimane per più tempo ritorna e non scrive nulla”. Sembra un paradosso, ma proprio davanti a quanto accaduto, occorre trovare spazio per momenti che vadano oltre un vociare isterico che dà pugni nell’aria, ma che siano possibilità per ascoltare, approfondire, formarsi una opinione, consapevoli anche che più si entra in un tema, più ci si rende conto che questo è complicato, ci sono tanti aspetti da considerare, tutt’altro che semplici da riassumere in due tweet che dicano bianco piuttosto che nero.
Infine, e per certi versi soprattutto, c’è un altro silenzio di cui vogliamo parlare. Boko Haram, Nigeria. Per quanto suoni sempre un po’ cinico fare paragoni sul numero di vittime, per l’ennesima strage si parla di 2000 morti. 2000. Duemila. Dovremmo parlare di genocidio organizzato, dovremmo muoverci per fermarli, e invece qui c’è un gran silenzio, che a questo giro vuol dire menefreghismo, disinteresse. Troppo lontano. Mesi fa, una persona conduttrice di un noto talk show italiano disse: “Catturate Boko Haram”, convinta che fosse un uomo e non una organizzazione terroristica: basti questo. Quanti Tg ne hanno parlato, ieri sera? Anche questo, di silenzio, ci fa dire che nel nostro parlare c’è qualcosa che non torna.
Come Caffè, ci siamo detti di aspettare un giorno prima di scrivere, anche per quanto abbiamo sottolineato qui. 30 ore dopo l’assalto al Charlie Hebdo, abbiamo pubblicato una analisi in cui con 5 domande e 5 risposte abbiamo provato a capirne di più, su cosa sta dietro ai fatti di Parigi. Oggi allarghiamo lo sguardo e proviamo a condividere le nostre conoscenze e competenze, con uno speciale sul Jihad in Europa. Il nostro prossimo approfondimento, poi, sarà proprio su Boko Haram.
Perché quel silenzio, a noi, fa un po’ venire voglia di urlare, e con i nostri mezzi e capacità vogliamo provare a dirlo.
Alberto Rossi
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Un chicco in piĂą
Questo articolo è parte dello speciale Hot Spot – Europa e Islam contro il terrorismo, uno speciale a 360 gradi in cui 7 autori diversi analizzano vari aspetti a partire dai fatti di Parigi.
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