Non si placano gli scontri tra Egiziani ed Algerini a seguito dello spareggio infinito tra le rispettive nazionali di calcio per i Mondiali in Sudafrica. I retroscena di una battaglia. La geopolitica dietro al calcio. E Mubarak può esultare
IL CAFFE’ C’ERA – Purtroppo era tutto scritto, noi l’avevamo preannunciato soltanto una settimana fa dalle colonne del nostro Caffè. Ci dispiace fare il ruolo della Cassandra, quello di chi dice “io l’avevo detto”, a margine di eventi paventati che, poi, risultano accadere davvero. Eventi spiacevoli, si intende, irrazionali. In ogni caso, è quanto accaduto, e in parte sta ancora accadendo, nelle strade del Cairo, a seguito dell’incontro di calcio tra Egitto ed Algeria valido per le qualificazioni alle fasi finali dei Mondiali di calcio di Sudafrica 2010.
LA MADRE DI TUTTI GLI SPAREGGI – In realtà, nel resoconto dato qualche giorno fa, alla vigilia dell’ultima partita del girone di qualificazione, un’eventualità non l’avevamo ricordata: quella che l’Egitto vincesse con due gol di scarto (ci eravamo limitati a dire che l’Egitto, per superare il girone e, quindi, l’Algeria in classifica, avrebbe dovuto vincere con almeno tre gol di scarto). In tale eventualità, dal momento che le due squadre sarebbero andate in una situazione di perfetta parità, sia dal punto di vista dei punti in classifica, che da quello della differenza reti, si sarebbe dovuto giocare uno spareggio finale, nella città di Khartoum (o meglio, nella sua “gemella” Omdurman, dall’altra parte del Nilo). E così è andata. La settimana scorsa vittoria dell’Egitto al terzo minuto di recupero ed entrambe le squadre in Sudan per lo spareggio di mercoledì scorso, quello che è stato definito “la madre di tutti gli spareggi”. Per la geopolitica del calcio, l’Egitto, la nazione africana e araba più popolosa, avendo molta più influenza politica della cugina Algeria, aveva ottenuto che si giocasse in Sudan, Paese sensibile al soft power egiziano, per entrare nel quale gli egiziani non hanno bisogno neanche del visto, a differenza degli algerini. Questi ultimi avrebbero voluto che si giocasse a Tunisi, ma la Federazione africana ha deciso per il Sudan, di fatto facendo un piacere al Cairo. Anche questo piccolo retroscena aveva fatto presagire una facile vittoria per l’Egitto, che giocava quasi in casa.
CRISI DIPLOMATICA – La partita si è giocata e l’Algeria ha vinto, a sorpresa, 1-0. Algerini in Sudafrica ed Egiziani a guardare anche questo Mondiale, l’ennesimo (dal 1990 l’Egitto non partecipa ai Mondiali di calcio), dalle poltrone di casa al Cairo. E la guerriglia divampa nuovamente. Niente ha potuto fermare la rabbia dei tifosi, probabilmente in parte rabbia sociale repressa per tanto tempo e sfociata in questo modo. Prima era stata la volta della rabbia algerina, all’indomani della vittoria beffa del Cairo: ad Algeri la sede dell’Orascom (gigante delle telecomunicazioni egiziana) è stata presa d’assalto e i dipendenti egiziani dell’azienda sono stati rimpatriati per motivi di sicurezza, insieme ad altri 200 connazionali presenti in Algeria. Poi, dopo la vittoria definitiva di mercoledì scorso, è stata la volta della rabbia egiziana: per due giorni di seguito la folla inferocita ha marciato verso l’Ambasciata algerina al Cairo, provocando disordini e scontri con la polizia. Nel frattempo, l’Egitto ha addirittura richiamato il proprio Ambasciatore in Algeria Abdelkader Hajar ed il Presidente Mubarak ha dichiarato guerra a chi “tenta di umiliare gli Egiziani fuori dell’Egitto”. Ad Algeri, intanto, 18 persone sono morte per i “festeggiamenti” e, secondo agenzie di stampa locali, 145 persone hanno avuto un attacco cardiaco a seguito della vittoria della propria nazionale. Follia pura.
GEOPOLITICA, NON SOLO CALCIO – E la geopolitica? C’entra eccome. L’Algeria è un Paese in cui è ancora presente una forte tendenza alla radicalizzazione ed in cui la presenza di “al-Qaeda nel Maghreb” (filiale di al-Qaeda nella regione Nord-africana) è molto forte. Ne sono testimonianza i molti attentati terroristici che, nel silenzio della stampa occidentale, continuano a colpire obiettivi governativi e di polizia nel Paese, causando decine di vittime. Un retaggio della guerra civile degli anni ’90, in cui i fondamentalisti islamici del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) vinsero le elezioni ma non furono riconosciuti, facendo sì che si creasse una situazione di lotta intestina non dissimile da quella che vede testimoni oggi i Palestinesi, da quando Hamas non è stato riconosciuto dalla Comunità Internazionale come il legittimo vincitore delle ultime elezioni del 2006 ed ha scelto la via della lotta armata contro i fratelli di Fatah. Algeria ancora canalizzatrice di fondamentalismo islamico e, dall’altro lato, Egitto che viene accusato di appoggiare le politiche israeliane in Palestina. Il mix è micidiale. L’Egitto, insieme alla Giordania, è l’unico Paese arabo ad intrattenere rapporti diplomatici con Israele e, in un clima in cui la Palestina è assurta a battaglia madre e simbolo di tutti gli arabi e musulmani, è facile capire come gli animi possano scaldarsi. La geopolitica continua a farla da padrona: l’Algeria è la più grande produttrice ed esportatrice di gas naturale nell’area e l’Egitto comincia a fungere da competitore, nella misura in cui alimenta l’Arab Gas Pipeline, rete di distribuzione di gas naturale in Medio Oriente, e incrementa le infrastrutture dedite all’esportazione di GNL (Gas Naturale Liquefatto). E Mubarak, nel frattempo, gongola: i suoi concittadini sono distratti dal calcio e non pensano ai reali problemi sociali dell’Egitto. Ecco gli interessi reali, altro che panarabismo. Il panarabismo muore sotto le macerie di una partita di calcio e la competizione tra i “fratelli arabi” si fa sempre più forte. Benvenuto calcio, nel mondo della geopolitica.
Stefano Torelli