Analisi – Su iniziativa russa, si è tenuta una telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin, alla vigilia del vertice tra il Presidente USA e Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca. Una sequenza che rivela l’irrilevanza strategica dell’Europa nella crisi ucraina.
L’EUROPA VISTA DA MOSCA E WASHINGTON: IL VASO DI COCCIO TRA DUE LOGICHE IMPERIALI
Alla vigilia del vertice bilaterale tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky previsto oggi alla Casa Bianca, si è tenuta, su iniziativa russa (come rivelato da Yuri Ushakov, consigliere del Presidente russo), una telefonata tra il Presidente degli Stati Uniti e Vladimir Putin. Il gesto consolida un atteggiamento politico chiaro: aggirare le Istituzioni transatlantiche e riproporre un’architettura bilaterale di potenza, al di fuori dell’Europa.
In questo contesto, la minacciata concessione condizionata da parte degli USA dei missili Tomahawk all’Ucraina – tema che sarà centrale nel vertice di oggi – aggiunge un ulteriore strato di tensione. Il messaggio lanciato da Trump è di tipo strategico: spingere Putin a negoziare aumentando i costi della guerra, senza ricorrere a una vera escalation. Ma ancora una volta, l’Europa scompare. Non è oggetto della diplomazia, né soggetto di deterrenza.
La logica è chiara: Mosca guarda solo a Washington come interlocutore. Per Washington, l’Europa è un teatro secondario, rilevante solo in quanto anello debole della catena atlantica. E anche la scelta di Budapest come sede del futuro incontro bilaterale Putin-Trump, conferma questa marginalizzazione: un terreno (apparentemente) neutro, non perché frutto di un equilibrio condiviso, ma perché privo di reale peso politico. In realtà l’unico luogo possibile sul continente europeo per la vicinanza ungherese alla Russia e che si preannuncia come un’ulteriore spina nel fianco della UE.
Questo ridimensionamento strategico ha due conseguenze:
- Esternalizzazione della sicurezza europea: il futuro dell’Ucraina – e con essa dei confini orientali dell’Europa – si decide a Washington, non a Bruxelles.
- Strategia della pressione laterale: gli Stati Uniti non chiedono all’UE di decidere, ma di adattarsi a un contesto di rischio crescente che loro stessi contribuiscono a generare. L’eventuale concessione dei Tomahawk diventa così una prova di maturità indiretta: un modo per verificare se l’UE saprà mantenere coesione e lucidità strategica oppure se finirà per frammentarsi, schiacciata dalla minaccia nucleare agitata dal Cremlino.
Fig. 1 – Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump (a destra) saluta il Presidente russo Vladimir Putin al loro arrivo alla Joint Base Elmendorf-Richardson il 15 agosto 2025 ad Anchorage, in Alaska.
DIPLOMAZIA MUSCOLARE E AMBIGUITÀ EUROPEE
Il messaggio lanciato da Trump a Mosca – “o trattate, o i costi aumentano” – nel chiaro intento di assicurarsi un altro trofeo sul fronte ucraino dopo la “pace” ottenuta su quello mediorientale e disimpegnarsi nell’area per concentrarsi piuttosto sull’Indo-Pacifico, mette a nudo le ambiguità irrisolte della postura europea:
- L’Europa vuole la pace, ma non sa come ottenerla: invoca la fine del conflitto, ma senza una strategia coerente su come arrivarci, se non affidandosi alla buona volontà americana.
- Difesa comune e autonomia strategica restano slogan: il vertice di Washington dimostra quanto l’UE sia ancora lontana da una capacità autonoma di deterrenza. I missili che contano non sono europei, le minacce neppure.
- Mediterraneo come specchio del paradosso europeo: da potenziale area d’influenza, il Mediterraneo è stato declassato a vulnerabilità strutturale. La stabilità, per decenni, è stata delegata agli USA, mentre l’Europa si rifugiava nella gestione umanitaria delle crisi. Oggi, con Washington oscillante tra disimpegno strategico e iperattivismo tattico, la perdita di tempo strategico europeo nel comprendere la natura sistemica delle crisi (Gaza, Mar Rosso, Iran) appare drammaticamente evidente.
Fig. 2 – Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante il vertice straordinario dei capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea (19–20 dicembre), tenutosi giovedì 19 dicembre 2024 a Bruxelles.
IL FUTURO DELLA SICUREZZA EUROPEA TRA DISACCOPPIAMENTO E DELEGITTIMAZIONE
Il punto più delicato è quello che riguarda l’effetto di lungo periodo:
- Separazione strategica USA-Europa: la logica statunitense è rivolta al Pacifico, alla Cina, al confronto sistemico. L’Europa deve farsi carico della propria sicurezza, ma senza strumenti. Questo vuoto potrebbe produrre una “finlandizzazione dell’UE” – una neutralità imposta dai limiti strutturali, non scelta.
- Disarticolazione interna all’UE: la guerra in Ucraina ha agito da acceleratore di fratture già esistenti: Est e Ovest, atlantisti e sovranisti, Paesi guida e Paesi dipendenti. Se non accompagnata da una ristrutturazione profonda, questa crisi geopolitica potrebbe trasformarsi in una crisi di legittimità interna all’Unione.
La diagnosi è brutale, ma ineludibile: l’UE è irrilevante perché rifiuta di esercitare il potere che già possiede. Non è questione di mezzi: risorse economiche, tecnologia, reti diplomatiche – tutto è già disponibile. Quel che manca è una volontà politica capace di unificare queste forze in una direzione strategica comune. La convinzione che basti essere i principali donatori per contare è un’illusione. In un mondo sempre più strutturato intorno a logiche coercitive, conta la capacità di decidere e far valere la propria decisione. Il presidio dello spazio marittimo dal Mar Rosso al Mediterraneo, la difesa del fianco orientale, la coerenza di una politica estera nel Mediterraneo, restano obiettivi irraggiungibili senza un salto di maturità strategica capace di trasformare l’UE da spettatrice a protagonista della propria sicurezza.
Ginevra Dolce
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