Analisi – Le relazioni tra la Russia e l’Islam sono plurisecolari e costituiscono una parte significativa della politica del Cremlino. I conflitti, sia nella Federazione Russa che in altre realtà, sono stati molteplici. Dopo il 2022, tuttavia, Mosca ha bisogno dei Paesi islamici per la propria economia e deve conciliare il tradizionale ruolo di difesa della cristianità con il pragmatismo realista.
BREVE STORIA DEL RAPPORTO RUSSIA-ISLAM, DA BISANZIO ALLA CRIMEA
Russia e Islam sono due mondi che tendono al conflitto. Mosca, infatti, proietta se stessa come la Terza Roma, erede del cristianesimo di Bisanzio, i cui confini sono stati minacciati da popoli di religione islamica, dai tartari ai turchi ottomani, in due aree cruciali per i suoi interessi, Balcani e Mediterraneo. Queste regioni hanno visto anche dopo la Guerra Fredda l’impegno diretto del Cremlino in molteplici occasioni, come la guerra civile siriana.
Le circostanze storiche hanno portato la Russia al conflitto con l’Islam sia per l’importanza politica e spirituale del clero ortodosso nella società russa, un collante nazionale per le classi meno abbienti persino in epoca sovietica, sia per accreditarsi presso il mondo occidentale come Stato difensore della cristianità.
Va, infatti, ricordato, di come i confini dell’Impero russo a sud abbiano diretta frontiera con popoli islamici e la conquista delle regioni caucasiche sia stata anche un modo per espandere la cristianità, con i monasteri ortodossi come luoghi di frontiera attorno ai quali i fedeli potevano unirsi sotto un comune credo.
Uno degli scontri più celebri tra russi e popoli islamici, ad esempio, fu la guerra di Crimea di metà Ottocento, nata da una disputa sull’accesso dei russi ai luoghi santi del Medio Oriente, allora controllato dall’Impero Ottomano, storico rivale di San Pietroburgo per l’accesso ai commerci nel Mediterraneo e nel Mar Nero.
Nonostante la sconfitta, la guerra contribuì a cementare lo spirito nazionale russo, con celebri autori come Tolstoj che ne raccontarono gli eventi, ancora oggi sfruttati dalla propaganda del Cremlino per giustificare l’annessione illegale della penisola nel 2014 e la storica russofonia della penisola, a scapito dei tartari di Crimea, abitanti originari del luogo di religione islamica perseguitati da Stalin e discriminati dal Cremlino dopo l’annessione.
Fig. 1 – Membri della comunità tartara a Kyiv commemorano l’anniversario della deportazione del proprio popolo dalla Crimea ordinata da Stalin, 18 maggio 2025
I MUSULMANI DI RUSSIA: I CASI CECENIA E TATARSTAN
La popolazione musulmana in Russia è composta da milioni di cittadini che si concentrano, soprattutto, nella Repubblica autonoma del Tatarstan e nel Sud del Paese. I rapporti con le Autorità governative non sono facili a causa della politica putiniana, che non tollera deviazioni dal centralismo di Stato.
La guerra in Cecenia, infatti, negli anni Novanta ha rappresentato per la Russia uno dei momenti più difficili, con alcuni gruppi islamisti che, oltre a compiere attentati e a voler creare uno Stato autonomo dalla Russia, avevano legami con organizzazioni terroristiche come la nascente al-Qaida.
La repressione con Eltsin fu dura ma inefficace e la Cecenia fu il primo banco di prova per l’allora Primo Ministro Putin, che tra retorica, repressione e capacità di formare relazioni con clan politici come quello Kadyrov, che ha assicurato stabilità a scapito dei diritti umani, ha testato le proprie abilità politiche e di controllo del territorio.
La popolarità del Presidente tra il popolo russo è iniziata, infatti, proprio dalla capacità di riprendere il controllo della Cecenia evitando che il separatismo si diffondesse in altre regioni come il Daghestan e mettendo in secondo piano le violazioni dei diritti umani e le vittime civili, elementi sottaciuti dai media russi posti sotto ferreo controllo dal Cremlino.
Nel Tatarstan, una delle regioni più ricche della Russia, lo scontro si è limitato all’assetto amministrativo, con la dichiarazione nel 1992 che ne sanciva lo stato di una Repubblica autonoma con diritto all’indipendenza. Tale principio fu un compromesso per evitare che, nei burrascosi anni del dopo-URSS, si avesse un effetto domino in tutti gli oblast a maggioranza islamica del Paese.
Durante il primo mandato di Putin la Costituzione della Repubblica autonoma del Tatarstan è stata emendata, eliminando ogni possibilità di autodeterminazione. Un decreto presidenziale ha poi fissato la nomina diretta dei governatori regionali da parte del Presidente russo.
Fig. 2 – Il leader ceceno Ramzan Kadyrov insieme a Putin durante una recente visita di quest’ultimo a Grozny, agosto 2024
I RAPPORTI TRA CREMLINO E PAESI ISLAMICI DOPO L’INVASIONE DELL’UCRAINA
I rapporti tra il Cremlino e i Paesi islamici dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022 sono stati improntati al pragmatismo, poiché questi, non aderendo alle sanzioni economiche occidentali contro Mosca, consentono di aggirare i divieti commerciali per beni come diamanti, oro e idrocarburi.
In secondo luogo, Stati come Turchia e Qatar sono attori di mediazione tra le due parti, importanti soprattutto nello scambio tra prigionieri, una delle poche trattative tra Russia e Ucraina coronate da buoni risultati.
Per tali ragioni, nell’ambito del conflitto Israele-Palestina Mosca ha preso le parti palestinesi, nonostante le storiche relazioni con Israele, al fine di blandire i Paesi islamici sul conflitto russo-ucraino e porsi come attore in grado di mediare sulla scena internazionale. L’obiettivo è stato anche quello di mettere in secondo piano il conflitto in Ucraina, dove la Russia non ha intenzione di trattare se non alle proprie condizioni.
È da rilevare, recentemente, la storica apertura delle relazioni diplomatiche tra russi e talebani, che chiude una pagina di storia del tormentato Afghanistan cominciata con il regime filo-sovietico a fine anni Settanta. In contrasto, le relazioni con i Paesi centroasiatici ex sovietici, islamici e con secoli di dominazione russa, si sono raffreddate, con tali realtà che si aprono commercialmente agli influssi occidentali, portando a una competizione economica con la Russia per la presenza nella regione.
Il rapporto Russia-Islam rimane, quindi, significativo nella politica estera e interna del Cremlino, che accetta il dialogo con i Paesi musulmani a condizione di poter avere, a livello interno, un ferreo controllo sui gruppi islamici presenti del Paese e anche su chi, a livello religioso, ne guida le relative comunità, per il pericolo che le ideologie più radicali possano prendere piede e aumentare rischi di separatismo.
Fig. 3 – Erdogan e Putin, a capo delle rispettive delegazioni nazionali, durante l’ultimo summit della SCO in Cina, 1° settembre 2025. I rapporti di Mosca con la Turchia rimangono relativamente saldi, nonostante il conflitto in Ucraina
LA CONFERENZA ISLAMICA DI GROZNY DEL 2016: LA REAZIONE POLITICO-RELIGIOSA RUSSA ALLA MINACCIA SALAFITA
La conferenza islamica di Grozny del 2016 avvenne nel periodo di maggiore espansione dello Stato Islamico, contrastato dai russi durante la guerra civile siriana, in cui Putin intervenne a favore dello storico alleato Assad. L’ISIS reagì con attentati su suolo russo o contro cittadini russi all’estero, come nel caso dell’abbattimento del volo turistico a Sharm el-Sheikh.
La conferenza fu rivolta al mondo sunnita e officiata da Ramzan Kadyrov, che selezionò con cura i partecipanti, escludendo dalla conferenza i rami più conservatori e controversi dell’Islam, come la corrente wahabita, che fa capo all’Arabia Saudita, e quella salafita, nelle sue derivazioni più estreme seguita da gruppi terroristici come al-Qaida e ISIS.
Nonostante le proteste dei sauditi, la conferenza promosse confronti con eminenti pensatori del diritto islamico, come il gran muftì di al-Azhar, uno delle massime autorità nel mondo sunnita, e venne dichiarata la non appartenenza delle correnti wahabite e salafite al mondo islamico.
Tale mossa fu volta, soprattutto, a promuovere all’interno della Russia la necessità di un Islam scevro delle correnti più radicali facenti capo all’ISIS e la riduzione delle influenze economiche saudite sulla comunità islamica russa, ragione per cui si promosse l’idea di un centro studi ceceno sull’Islam e la creazione di un canale di comunicazione alternativo ad Al Jazeera.
La Conferenza rappresentò, quindi, per il Cremlino anche una occasione di supporto ai capi di Governo dei Paesi islamici alleati, come l’egiziano al-Sisi, che in patria hanno ingaggiato da anni una dura lotta contro la corrente salafita e il suo braccio politico rappresentato dai Fratelli Musulmani, avversati dal Cremlino e visti come una minaccia per la stabilità interna del Paese.
Lorenzo Pallavicini
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