Mentre il Pakistan inizia una nuova era con il nuovo-vecchio Primo Ministro Nawaz Sharif , il colosso indiano si appresta ad affrontare le elezioni del 2014 in un clima di rinnovamento e velata instabilità. Al di là di semplicistici commenti sull’incerta situazione indiana che potrebbero portare a derive di instabilità in politica estera se non a soprusi nel campo del diritto internazionale, un attento tentativo di analisi dell’argomento non può prescindere dall’osservazione del rapporto con il Pakistan. La Repubblica islamica del Pakistan, nata come costola islamica dall’India tra il 14 e il 15 agosto 1947 è rivale storico, vicino scomodo, ma anche motore della politica estera dell’India da sempre.
IL PAKISTAN DI NAWAZ SHARIF – Il vecchio leader pakistano, è stato rieletto al suo rientro dall’esilio dorato in Arabia Saudita ed essersi ricostruito una verginità politica ha conquistato il Pakistan con le promesse. Per dare fondamento alle promesse di una ripresa economica (il Pakistan si trova in una fase di stasi dal 2012 dovuta anche alla crisi politica innestatasi sulla crisi sistemica del 2008) Sharif ha utilizzato i crediti acquisiti durante il suo precedente mandato. Sharif si presenta come l’uomo che diede al Pakistan un grande sviluppo economico, una stagione di ricchezza e di importanza nella politica internazionale (con la costruzione della prima arma atomica “islamica”) e una statura di potenza regionale negli anni dal 1998 al 1999. Poi venne l’equilibrio internazionale di risposta al terrorismo e, con la reggenza di Pervez Musharraf, sotto l’ala protettrice degli Stati Uniti, la nazione islamica ebbe buon gioco e fu preservata dai problemi congiunturali grazie agli ingenti finanziamenti americani. Dopo il governo di Asif Ali Zardari, il vedovo di Benazhir Bhutto, nel 2012 arrivò una crisi economica e di legittimità di fronte all’opinione pubblica. Il governo è risultato sempre più corrotto, sino ad i più alti funzionari, come dimostrato dalla crisi del gabinetto Gillani. Gli amici americani ora non sembrano più tanto amici (nel 2008 in calo e sospesi dal 2011) e l’opinione pubblica non approva al cento per cento l’ossessiva presenza delle migliaia di droni statunitensi che dalle basi pakistane nelle Federally Administered Tribal Areas compiono incursioni in Afghanistan, ma anche in Pakistan, contro cittadini pakistani.Eppure, grazie alla diplomazia di Sharif,
l’amicizia degli USA potrebbe tornare viva, come lo dimostrano le dichiarazioni di Kerry durante la visita di Sharif in America e la richiesta di 1,62 miliardi di dollari che Obama ha fatto al congresso come aiuti da fornire al Pakistan in qualità di Stato collaboratore nella lotta al terrorismo. Anche perché il terrorismo di matrice estremista ha ripreso a farsi sentire in maniera massiccia, specialmente in periodo elettorale. In un clima del genere avverrà il ritiro della NATO dall’Afghanistan ed il Pakistan, con un vuoto di potere a Nord, quasi sicuramente cercherà di alzare la sua voce a Sud Est, come spesso e volentieri ha fatto durante la sua storia cercando di sfruttare varie finestre di opportunità (reali o presunte) per espandersi in Kashmir. Avvisaglie di una probabile crisi si sono già avute a fine anno con dei movimenti di guerriglieri filopakistani nell’area della provincia contesa, concretizzatisi il 13 gennaio con uno scontro a fuoco lungo i bordi della Line of Control (LoC). Paradossalmente il 24 dicembre 2013 si era tenuto un incontro della commissione congiunta per la monitorizzazione della LoC, che aveva ribadito una generica volontà di dialogo fra le parti, come unico mezzo per rallentare l’escalation del numero di violazioni dal cessate il fuoco.
IL “RINNOVO” INDIANO NEL 2014 – La federazione indiana viene da un periodo di stabilità, grazie anche allo spostamento del baricentro della crisi in Afghanistan. Infatti la principale potenza regionale, nonché tradizionale nemico (nell’eterna contesa per il Kashmir) del Pakistan ha visto lo “Stato dei puri” impegnarsi a fondo in una crisi spesso interna ai propri confini ed ha avuto allo stesso tempo una stabilità politica per organizzare le proprie forze al meglio contro le ricadute della crisi sistemica del 2008. L’attuale primo ministro, Manmohan Singh (nato a Gah nel 1932) è un economista e politico indiano, fu eletto il 22 maggio 2004, ha dato in questi dieci anni stabilità e continuità alle sue riforme soprattutto in ambito economico e della giustizia. È membro del Partito del Congresso Indiano guidato da Sonia Gandhi, storico partito artefice dell’indipendenza e da sempre in lotta con il partito dei bramini, il Bharatyia Janata Party. Predecessore di Singh fu appunto Vajpayee, un longevo primo ministro del BJP che vide in India una stagione di conflitti interni dovuti a motivazioni religiose. Basti accennare ai massacri di musulmani compiuti da frange di estremisti indù intorno agli anni 2000.
La vera novità dell’elezione di Singh fu la natura tecnica del nuovo primo ministro: i vertici dello stato indiano sono da sempre stati nelle mani di politici tout court , se si esclude appunto Singh. La ventata di riforme e novità portate dall’economista è stata imponente, soprattutto in campo economico e giuridico (pensiamo a i passi avanti fatti nei diritti femminili). Inoltre, la stabilità generale sembrerebbe essere alimentata dallo spostamento dell’attenzione Pakistana a nord, in Afghanistan, e quindi in minor misura verso il nemico storico indiano.
Ciononostante, le elezioni si presentano molto incerte, perché, oltre a i candidati del Congresso e del BJP, il candidato della nuovissima formazione democratica del Aam Aadmi Party (AAP), fondato da Arvind Kejriwal nel 2013, sembra avere una certa credibilità. Si tratta di un elemento di rottura, insolito e rivoluzionario nel sistema indiano, un elemento totalmente nuovo in una società dalle ferree regole e ancora dominata dalla suddivisione in caste. Infatti i due partiti principali hanno da sempre incarnato questa stretta suddivisione: il Congresso di Sonia Gandhi rappresenta le caste intermedie e il BJP i (teoricamente) conservatori bramini, mentre le caste inferiori, e segnatamente i paria, non hanno mai avuto una credibile rappresentazione elettorale. L’AAP è un partito democratico che nasce ispirandosi ad un associazionismo trasversale fra le caste (anche se in verità raccoglie poi i voti degli elementi medio bassi). Un altro e importante elemento interrogativo è la successione che si potrebbe verificare a breve al vertice del partito del Congresso dove la Gandhi è già provata dalla convalescenza per un tumore e dalla lunga direzione del partito per quattro mandati. Le elezioni del 2014 saranno quindi un punto di svolta che potrebbe tradursi in un terremoto politico per la popolosa potenza nucleare dell’Asia del sud. Al contempo la guerra in Afghanistan cesserà la sua fase prettamente militare e le attenzioni “cinetiche” del Pakistan potranno nuovamente rivolgersi al Kashmir.
IL KASHMIR – Nella questione delle relazioni fra le due potenze nucleari della regione (arma atomica nel 1985 per l’India e nel 1998 per il Pakistan) è focale il conflitto del Kashmir, che continuerà a rappresentare il motivo di crisi principale per i due Stati nel prossimo futuro. Il Pakistan si proclama attualmente alla ricerca di una pacificazione definitiva, come ha più volte ribadito Nawaz Sharif in campagna elettorale, ma si tratta, molto probabilmente, di promesse elettorali fini a se stesse. I dati sembrano altri.
Il primo dato è un crescente aumento statistico di violazioni del cessate il fuoco, circa 60 nel 2011, 96 nel 2012, circa 140 nel 2013.
Il secondo indicatore è il fatto che i ribelli filopakistani kashmiri sono tendenzialmente pashtun, o almeno, fino ad oggi le loro fila sono da sempre state nutrite da pashtun. I pashtun hanno retto per undici anni l’impegno intestino del conflitto nella loro terra: la regione transfrontaliera che comprende Afghanistan, Federally Administered Tribal Areas (Pakistan), e North Western Former Province (Pakistan). Oggi però, con la drastica diminuzione delle attività di guerra in Afghanistan, sono pronti a spostare la gravità della loro influenza verso altri lidi, non lontani dal confine indiano.
Francesco Valacchi