Al via oggi il Consiglio Europeo. Dopo una prima fase nella cittadina belga di Ypres, il consesso si riunirà come di consueto a Bruxelles.
All’ordine del giorno un faccia a faccia su questioni riguardanti Spazio, libertà, giustizia, clima e soprattutto lavoro, crescita e occupazione; tematiche, quest’ultime, strettamente correlate alla composizione della futura Commissione. Potrebbe essere il giorno della consacrazione per Jean Claude Juncker. Facciamo luce sullo stato dell’ istituzione alla vigilia del summit
COMMISSIONE – Sembra fatta per Jean Claude Juncker, candidato alla nomina di presidente della commissione europea. L’ex Primo Ministro lussemburghese ha acquistato consensi anche tra le file socialiste, le quali -tramontata l’ipotesi Schulz, con ogni probabilità destinato a succedere a se stesso alle briglie del Parlamento Europeo- fanno sapere di voler rispettare l’esito elettorale dello scorso 25 maggio, dal quale i popolari sono usciti vittoriosi con un risicato 29,43% dei voti. Attualmente, i 422 seggi, frutto della somma di socialisti e popolari tra gli spalti di Strasburgo, assicurano a Juncker quella maggioranza dei membri necessaria all’ottenimento della nomina.
Un’alleanza prospettica tra popolari e socialisti pare quindi improcrastinabile. Tuttavia, in rottura con la tradizione politica, ad essere ambigui non sono le leadership europee, quanto i trattati. Il comma 7 dell’articolo 17 TUE lascia spazio a molteplici interpretazioni; per sopperire al deficit democratico di cui l’Unione è per definizione portatrice sana, con l’avvento del Trattato di Lisbona, l’individuazione, nonché la scelta di un candidato alla nomina di presidente della Commissione spetta ad una chimerica collaborazione tra Consiglio europeo e Parlamento Europeo.
NOMINA: COME FUNZIONA – Nello specifico è discrezione del Consiglio Europeo “tenere conto” del risultato elettorale. Ammesso che il Consiglio Europeo decida in maniera del tutto anacronistica di rispettare il voto popolare, il soggetto della delibera interna sarebbe proprio il democristiano Juncker. Per ottenere la candidatura alla nomina di presidente della Commissione, tuttavia, è necessario ottenere la maggioranza qualificata dei voti espressi dai capi di Stato e di governo dei 28. Per fortuna di Juncker i trattati, in sostanza gli stati firmatari, hanno fatto proprio un principio sintetizzabile con le parole del sociologo tedesco Ulrich Beck: “L’unanimità non funziona a tavola, figuriamoci in politica”. Dotandosi del principio maggioritario i paesi membri hanno scacciato lo spettro della sedia vuota, relegando il veto ad affare del passato. A poggiare la corona sul capo sarà il Parlamento Europeo il quale si esprime sul candidato a maggioranza dei membri che lo compongono.
IL DEFICIT DEMOCRATICO SI ALLARGA O SI RESTRINGE? – Diversamente, la mancata nomina del lussemburghese, allargherebbe la faglia che divide i cittadini e le élites. Ben inteso, l’affetto nei confronti di Juncker è pressoché inesistente. È improbabile una mobilitazione in suo favore nel caso in cui il Consiglio Europeo ne avallasse la candidatura. A tal riguardo il torto non sarebbe nei confronti del redivivo Juncker, che frequenta le vie di Bruxelles da oltre 25 anni, quanto verso coloro i quali, per trattato “cittadini europei”, hanno, presumibilmente, votato con la consapevolezza che per incidere sull’avvenire democratico di questa Europa non sia necessario essere membri di un generico Club del Coccodrillo.
A tener banco sono le “contropartite”. La candidatura di Juncker comprometterà ai popolari l’accesso a portafogli nevralgici della commissione, come gli esteri, nelle vesti dell’Alto Rappresentante. Lungi dal ritenere colui che succederà a Barroso il direttore d’orchestra di una comitiva fidelizzata dalle grandi famiglie politiche europee, non vi è dubbio che più di altre questa Commissione gioverà, o soffrirà, di una complessa e imperscrutabile discendenza democratica. Sebbene i partiti usciti malconci dalla tornata elettorale si stiano adoperando nella “ricerca di uffici”, è prerogativa delle leadership politiche la costruzione di una Commissione che sappia prescindere da logiche di potere strettamente interne al Consiglio Europeo. Ciò riflette quanto la candidatura di Junker da parte del Consiglio Europeo significhi legittimare il processo di nomine dei candidati Commissari nel rispettodegli esiti elettorali.
Daniele Morritti