Tradizionale forza egemone della politica indiana, il Partito del Congresso attraversa oggi la peggiore crisi della sua storia, segnata da gravi sconfitte elettorali e spietate faide interne. Nell’occhio del ciclone sopratutto la leadership debole di Sonia e Rahul Gandhi, incapace di modernizzare il partito in funzione delle nuove sfide socio-economiche dell’India attuale.
RIVOLTA CONTRO I GANDHI – Lo scorso 30 gennaio l’ex ministro dell’Ambiente Jayanthi Natarajan ha lanciato un durissimo attacco contro i vertici del Partito del Congresso, accusando soprattutto il vicepresidente Rahul Gandhi di gravi interferenze nella passata gestione del suo dicastero. Inizialmente tali accuse erano state formulate in una lettera privata a Sonia Gandhi, madre di Rahul e Presidente del Congresso dal 1998, ma la pubblicazione non autorizzata sulla stampa di parte del documento ha finito per costringere la Natarajan a venire allo scoperto, ventilando tutta la propria frustrazione contro gli organi direttivi del Partito. Al termine di un lungo intervento pubblico, ripreso dai media di tutta l’India, l’ex ministro ha dato ufficialmente le dimissioni da dirigente e membro attivo del Congresso, alimentando voci di un suo possibile passaggio nelle fila del BJP, il partito del premier Narendra Modi.
L’evento ha rappresentato un autentico shock per l’organizzazione guidata da Sonia Gandhi, che ha tentato nei giorni successivi di limitare il danno d’immagine attraverso una lunga serie di smentite e recriminazioni contro la stessa Natarajan, accusata di incompetenza amministrativa e malafede politica. Nonostante ciò, il colpo per il Congresso è stato comunque gravissimo: le dichiarazioni di Natarajan hanno infatti spinto altre personalità del Partito a criticare apertamente la leadership dei Gandhi, mentre il BJP ha colto l’occasione per sottolineare il carattere “dispotico” e “corrotto” dei suoi rivali politici, cogliendo un significativo successo propagandistico nella recente campagna elettorale per l’Assemblea legislativa di Delhi. Inoltre, l’hashtag #RevoltAgainstRahul ha letteralmente spopolato su Twitter e gli altri social media indiani, con richieste aperte di dimissioni per Sonia e Rahul Gandhi. Molti utenti hanno addirittura preso in giro Rahul per la scarsa intelligenza politica, usando spesso l’ironico nomignolo “Pappu” (scemo) nei loro messaggi.
Fig. 1 – Rahul e Sonia Gandhi durante un meeting del Congresso (gennaio 2014)
DECLINO ELETTORALE – Le dimissioni di Natarajan minacciano gravi conseguenze elettorali per il Congresso, già reduce da una catastrofica performance alle ultime elezioni nazionali dello scorso anno (solo 43 seggi parlamentari conquistati contro i 283 del BJP). L’ex ministro dell’Ambiente è infatti una figura politica di spicco nel Tamil Nadu e la sua defezione rischia di indebolire seriamente la posizione del Congresso in tale Stato, accentuando i conflitti interni tra i maggiorenti locali del partito. Un’eventualità che i Gandhi stanno cercando in tutti i modi di scongiurare, consci del ruolo negativo giocato dalle faide interne nel declino elettorale del Congresso in altri Stati importanti come l’Uttar Pradesh e il Maharashtra.
Nell’Uttar Pradesh, per esempio, il Congresso ha vinto appena due seggi alle scorse elezioni nazionali, soffrendo un drammatico tracollo rispetto alle passate consultazioni del 2009, quando ne aveva ottenuti circa una ventina. E nelle elezioni legislative in Maharashtra, tenutesi pochi mesi fa, il partito ha visto la propria rappresentanza parlamentare locale scendere da 82 a 42 seggi, a tutto vantaggio del BJP, che ha invece guadagnato ben 66 seggi rispetto alle passate consultazioni del 2009. Si tratta quindi di sconfitte pesantissime per il Congresso, che non può nemmeno presentarsi come opposizione ufficiale al Governo Modi in virtù della propria evidente debolezza elettorale. Tale ruolo sembra infatti passato solidamente nelle mani dell’Aam Admi Party (AAP) di Arvind Kejriwal, formazione anti-corruzione molto popolare tra i giovani indiani. Allo stesso tempo il Congresso sta perdendo il tradizionale supporto della minoranze etnico-religiose del Paese, spaventate dall’ascesa politica del nazionalismo indù e deluse dall’incapacità del partito di difendere i valori laici della Repubblica indiana. Nelle recenti elezioni per Delhi, ad esempio, la locale comunità musulmana si è schierata apertamente con l’AAP, ignorando i candidati del Congresso. Un serio monito per le future campagne elettorali del partito di Sonia Gandhi, ormai quasi relegato a un ruolo secondario nell’acceso duello politico tra i sostenitori di Modi e quelli di Kejriwal.
Fig. 2 – Arvind Kejriwal (centro) durante la campagna elettorale per il Governo di Delhi (gennaio 2015)
UN PARTITO ANTIQUATO – Come dimostrato dal caso Natarajan, le pesanti sconfitte elettorali hanno scatenato durissimi conflitti all’interno del Congresso, mettendo la vecchia guardia del partito contro le nuove generazioni di attivisti supportate dai Gandhi. Negli ultimi anni Rahul ha infatti tentato più volte di riformare la struttura del partito, aprendo le candidature a personalità esterne e promuovendo funzionari più giovani a livello locale, ma tali mosse sono state facilmente neutralizzate dai leader storici dell’organizzazione, preoccupati che cambiamenti troppo rapidi possano danneggiare le basi del loro potere personale. Inoltre, molti funzionari del Congresso nutrono dubbi sulle reali capacità di leadership di Rahul, giudicandole deboli o inadeguate alla gravità del momento. Questa sfiducia generalizzata nei confronti del figlio costringe Sonia Gandhi a rimanere alla testa del partito, nonostante il graduale declino della sua figura pubblica colpita da vari scandali e pettegolezzi privati. Un declino testimoniato di recente dal successo editoriale de Il sari rosso di Javier Moro, biografia romanzata della leader del Congresso, che ha creato grave imbarazzo tra i coIlaboratori più stretti della famiglia Gandhi. Il libro discute infatti in dettaglio le origini italiane di Sonia, da sempre ferocemente criticate dai nazionalisti indù, e mostra lati inediti della sua vita privata, intaccando la sua immagine ufficiale di vedova austera del compianto Rajiv Gandhi, assassinato dalle Tigri Tamil nel 1991.
Incapaci di pensare a un Congresso senza i Gandhi, protagonisti della storia del partito e di quella dell’India sin dagli inizi del Ventesimo secolo, molti indiani sperano che Rahul venga sostituito dalla sorella Priyanka come erede politico di Sonia, anche se le possibilità di tale soluzione paiono al momento assai remote. Ma i problemi del Congresso esulano da una semplice questione di leadership, svelando le profonde trasformazioni della società indiana negli ultimi decenni. La stessa ideologia storica dell’organizzazione – fatta di socialismo, neutralismo e secolarismo – appare ormai antiquata rispetto a un Paese proiettato verso un intenso sviluppo economico di tipo capitalistico e desideroso di giocare un ruolo attivo sulla scena internazionale. Inoltre, l’ascesa politica del nazionalismo indù, espressa principalmente dal BJP di Modi, sta gradualmente polarizzando l’elettorato indiano su linee etnico-religiose, incrinando la tradizionale laicità delle Istituzioni indiane e fomentando gravi tensioni sociali in Stati come l’Assam o il Kashmir. Di fronte a tali sviluppi il Congresso sembra incapace di proporre una nuova strategia politica, rifugiandosi stancamente nei miti e nei valori del passato. Ma sono miti e valori in cui l’elettorato indiano dimostra di credere sempre meno, preferendo l’orgoglio patriottico o il pragmatismo economico di altre formazioni partitiche, BJP in testa.
Fig. 3 – Narendra Modi con Barack Obama (gennaio 2015)
L’attuale panorama politico favorisce dunque il protagonismo diplomatico di Narendra Modi a livello internazionale, visto all’opera di recente nella sontuosa visita del Presidente americano Barack Obama a New Delhi. In maggio il premier indiano è atteso anche in Cina, dove cercherà nuovamente di negoziare una larga intesa politica ed economica col Presidente Xi Jingpin. Considerata la propria debolezza interna, è improbabile che il Congresso possa presentare critiche valide o proposte alternative a tali iniziative del Governo, mostrandosi irrilevante anche in tema di politica estera. I gloriosi tempi di Jawaharlal Nehru e della figlia Indira Gandhi, leader indiscussi del Movimento dei Paesi non allineati durante la Guerra Fredda, sembrano ben lontani. Ed è improbabile che si ripresentino presto sotto l’egida di Sonia e Rahul Gandhi, leader sfortunati di un Partito in profonda crisi d’identità.
Simone Pelizza
[box type=”shadow” ]Un chicco in più
Originario di Siwani, nello Stato dell’Haryana, Arvind Kejriwal è l’autentica rivelazione della politica indiana degli ultimi anni. Dopo una lunga militanza in movimenti civili contro la corruzione e l’autoritarismo governativi, egli ha infatti fondato nel 2012 l’Aam Admi Party (AAP), formazione partitica anti-sistema dalle forti venature legaliste e populiste. Nel 2013 Kejriwal ha sconfitto a sorpresa il candidato del Congresso Sheila Dikshit ed è diventato Primo Ministro dello Stato di Delhi, ma il suo Governo è durato meno di due mesi, battuto dall’ostruzionismo parlamentare del BJP. Costretto alle dimissioni, Kejriwal ha poi guidato con alterne fortune la campagna dell’AAP durante le elezioni nazionali della primavera 2014, nelle quali il partito ha vinto quattro seggi parlamentari. Nel 2015 si è ripresentato come candidato per la posizione di Primo Ministro di Delhi. È vegetariano e pratica regolarmente yoga. [/box]
Foto: U.S. Embassy New Delhi