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Game over

Dopo quasi tre mesi di negoziati, Saad Hariri rinuncia alla formazione di un nuovo governo in Libano. E mentre il ruolo di Hezbollah diventa ancora più importante, il Paese dei Cedri vede nuovamente il baratro…

FINE DELLA CORSA – Dunque l'illusione, per ora, è finita. Del resto, che le cose non andassero proprio per il verso sperato da molte potenze occidentali e sunnite, lo avevamo già annunciato in un articolo dello scorso luglio. Saad Hariri, il figlio dell'ex Premier libanese ucciso il giorno di S. Valentino del 2005 da un'autobomba nelle strade di Beirut, designato nuovo Primo Ministro dopo le elezioni dello scorso giugno che hanno assegnato la maggioranza parlamentare al suo schieramento sunnita e pro-occidentale al-Mustaqbal (a discapito della minoranza sciita capeggiata da Hezbollah), ha infine gettato la spugna. Dopo 73 lunghi giorni di estenuanti negoziati allo scopo di arrivare alla formazione di un governo che desse rappresentazione a tutte le anime del Paese, Hariri ha rassegnato ieri le dimissioni al Presidente della Repubblica Michel Suleyman, cui ora spetta la nomina di un nuovo Primo Ministro incaricato di formare un esecutivo che possa governare il Paese per i prossimi cinque anni. Lo strappo è avvenuto dopo il boicottaggio della coalizione di minoranza parlamentare circa la nuova squadra di governo e, adesso, nel Paese dei Cedri vi è uno strisciante e malcelato terrore di fare un passo indietro, di tornare al clima di guerra civile che si respirava nel maggio 2008, quando per le strade di Beirut violenti scontri tra i miliaziani sciiti di Hezbollah e fedeli al movimento sunnita di Hariri, portarono alla morte di decine di persone, facendo nuovamente crollare il Paese nel clima di vera e propria guerra intestina verificatasi tra il 1975 ed il 1990.

L'OMBRA DI AOUN – Eppure Saad Hariri sembrava aver fatto tutte le mosse che andavano fatte per ottenre un ampio consenso nazionale intorno al nuovo governo. La decisione era stata quella di riservare alla sua maggioranza 15 ministri, alla minoranza sciita-cristiana (l'ala maronita dell'influentissimo Michel Aoun) 10 ministri e, infine, di far scegliere altri 5 ministri alla figura super partes del Presidente della Repubblica. Ciò non è bastato. Probabilmente in il punto in cui le trattative si sono rotte ruota proprio intorno alla figura di Michel Aoun, il quale rivendicava dei posti chiave per il proprio movimento, tra cui il Ministero degli Interni e, soprattutto, quello delle Comunicazioni, secondo Aoun da riconfermare al genero Gibran Bassil. Ciò in un Paese in cui il controllo delle telecomunicazioni risulta essere fondamentale per quello del mondo politico e in cui i due aspetti si intrecciano a doppio filo: basti pensare che Najib Mikati, l'uomo più ricco del Paese (e tra i 500 più ricchi del mondo) e possessore dell'impero di telecomunicazioni Investcom, rappresenta uno dei pilastri su cui si regge il potere di Hariri e, lo stesso Mikati, era indicato come possibile Primo Ministro prima delle elezioni.

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EVITARE IL PEGGIO – Adesso la palla torna al Presidente Suleyman, anche se in realtà saranno nuovamente proprio Hezbollah ed il suo maggiore alleato cristiano-maronita Michel Aoun a decidere le sorti del Paese. Vengono al pettine dunque tutti i nodi formatisi con il cosiddetto accordo di Doha (dal nome della città del Qatar in cui, a seguito del maggio 2008, si trovò un accordo per ricomporre le divisioni interne), che lasciava di fatto una sorta di potere di veto alla minoranza sciita di Hezbollah su tutte le decisioni governative, nonostante fosse all'opposizione. Non è escluso che Suleyman decida nuovamente di incaricare Saad Hariri come Primo Ministro, ma la mossa risulterebe alquanto priva di significato, nella misura in cui proprio Hariri esce da una prova fallimentare. Nel frattempo le altre potenze regionali stanno tentando delle mediazioni, prime su tutte la Turchia, il cui Ministro degli Esteri Ahmet Davutolgu è stato a Beirut due settimane fa per dare il suo sostegno al processo di formazione del nuovo governo. Sicuramente siamo in una fase delicatissima del processo politico interno libanese, una fase in cui tutti gli attori devono allo stesso tempo tentare di arrivare ad una soluzione mediata per il bene e la stabilità del Paese, ma devono anche evitare che un compromesso troppo “flessibile” li faccia scomparire dalla scena politica o ne faccia perdere influenza. Uno dei problemi da risolvere è legato alle milizie armate e irregolari dei Hezbollah: dopo le elezioni in molti hanno sperato che il Partito di Dio potesse disarmare il proprio arsenale, ma Nasrallah, capo del movimento, ha opposto un rifiuto categorico, rivendicando il ruolo decisivo di Hezbollah nella “guerra di liberazione” contro lo Stato di Israele. Il timore è che da un lato proprio Israele, come molte indiscrezioni sostengono da mesi, possa tentare un nuovo colpo di mano in Libano contro Hezbollah e, dall'altro, che le armi del Partito di Dio possano tornare a sparare contro i “fratelli” sunniti nello stesso Libano

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