L’India sta affrontando una delle peggiori siccità della sua storia recente, con gravi rischi per la sopravvivenza di milioni di suoi cittadini e per il futuro economico di alcuni dei suoi Stati più popolosi. Ma tale siccità è solo la spia di una crisi strutturale più profonda delle risorse idriche indiane, spesso gestite malamente dalle comunità locali e soggette a un costante degrado qualitativo. Senza un chiaro programma di salvaguardia del proprio sistema idrico nazionale, l’India rischia quindi di diventare un gigante perpetuamente assetato, incapace di concretizzare le sue ambizioni di grande potenza globale
UN’EMERGENZA SENZA PRECEDENTI – Il 19 aprile scorso, in una drammatica udienza di fronte ai giudici della Corte Suprema, il Governo indiano ha ammesso che l’attuale siccità che ha colpito diverse regioni del Paese sta mettendo a rischio la vita e la salute di 330 milioni di persone, pari a circa un terzo dell’intera popolazione nazionale. E che l’emergenza idrica riguarda ormai dieci Stati, tra cui gli economicamente rilevanti Maharashtra e Gujarat, e oltre 250 distretti amministrativi sparsi su tutto il territorio nazionale. La situazione appare quindi molto più grave ed estesa della precedente grande siccità del 2009, che vide prolungati razionamenti dell’acqua anche in grandi città come Mumbai, e una contrazione della produzione agricola annuale del 20%. E si tratta ancora di dati incompleti, perché molte rilevazioni degli effetti della siccità sulle comunità rurali vengono fatte in modo completamente non scientifico, basandosi su osservazioni personali e stime approssimative. La crisi potrebbe dunque essere ben peggiore di quanto riportato ufficialmente di fronte ai giudici della Corte Suprema, che hanno lamentato soprattutto la scarsa cooperazione e reattività dei Governi locali, colpevoli di non aver riconosciuto i primi segni dell’emergenza nell’autunno scorso e di non aver preso le dovute misure per soccorrere le popolazioni colpite dalla siccità. Lo Stato del Gujarat, per esempio, ha dichiarato lo stato d’emergenza solo agli inizi di aprile, nonostante diversi suoi distretti avessero seri problemi di approvvigionamento idrico sin da settembre. E il Maharashtra ha adottato misure pubbliche di risparmio dell’acqua, come la sospensione delle partite del campionato nazionale di cricket, solo nelle ultime settimane e a fronte di ripetute proteste popolari. Tutti fatti usati in parte dall’esecutivo di Narendra Modi per far passare in secondo piano le proprie responsabilità nella malagestione dell’emergenza, inclusa una certa insensibilità nei confronti dei principali problemi del mondo agricolo, visto come irrimediabilmente arretrato rispetto alla nuova immagine moderna e tecnologica dell’India propagandata dal Premier nei suoi viaggi all’estero.
Fig. 1 – Un contadino guarda sconsolato il suo campo inaridito nello Stato del Madhya Pradesh, febbraio 2016
Come sette anni fa, l’attuale siccità è stata provocata da una pessima stagione monsonica, con livelli di precipitazioni nettamente inferiori rispetto alla norma. In alcuni casi, tali livelli sono stati eccezionalmente bassi: secondo i rilevamenti dell’India Meteorological Department (IMD), per esempio, le precipitazioni in Maharashtra nell’ottobre 2015 (fase finale del monsone) sono state inferiori alla media di quasi il 40% e quelle nel vicino Gujarat addirittura del 90%. Solo alcuni Stati costieri hanno ricevuto una quantità di precipitazioni nella media, che li ha messi parzialmente al riparo dalla successiva siccità. Tutti gli altri hanno invece ricevuto pochissima pioggia, con risultati drammatici per le locali comunità rurali, già duramente provate dagli effetti di un altro monsone asciutto nell’estate del 2014. Con il passare delle settimane, pozzi, invasi e cisterne si sono infatti gradualmente svuotati, spingendo migliaia di contadini sull’orlo della rovina economica. Alcuni sono arrivati persino a togliersi la vita, impiccandosi o bevendo insetticida: nella regione del Marathwada, per esempio, si sono già contati 216 casi di suicidio dall’inizio dell’anno. Per soccorrere le comunità più colpite dalla siccità, molti Stati hanno organizzato regolari “treni dell’acqua” per distribuire scorte ai bisognosi, ma tale sforzo non è stato purtroppo sufficiente per alleviare le sofferenze della popolazione rurale. Allo stesso tempo la carenza d’acqua ha finito per imporre pesanti limitazioni anche a numerosi impianti per la produzione di energia elettrica, costringendoli spesso a sospendere temporaneamente le attività per preservare le proprie modeste riserve idriche. È il caso della grande centrale a carbone di Farakka nel Bengala occidentale, per esempio, chiusa per dieci giorni consecutivi perché priva di acqua sufficiente per il raffreddamento dei suoi generatori di corrente. La crisi idrica è quindi diventata anche crisi energetica, con frequenti cali di tensione e blackout lungo buona parte della rete elettrica indiana.
Fig. 2 – Un’altra immagine simbolo della gravissima siccità che ha colpito l’India in questi mesi: un uomo cammina sul letto completamente asciutto di un bacino idrico nello Stato del Gujarat, aprile 2016
CAMBIAMENTI CLIMATICI – Secondo molti scienziati, l’attuale siccità in India è dovuta principalmente ai cambiamenti climatici, che hanno alterato in modo significativo le tradizionali dinamiche della stagione monsonica. Ciò sarebbe confermato anche dalla persistenza dei fenomeni siccitosi nel subcontinente indiano nell’ultimo quindicennio, con nove anni su quindici segnati da precipitazioni erratiche e inferiori alla norma. Secondo B.P. Yadav, vice-direttore generale dell’IMD, gli ultimi due anni sarebbero poi stati eccessivamente asciutti a causa della presenza di El Niňo nel Pacifico, che ha reso il monsone estivo secco e poco piovoso. El Niňo dovrebbe esaurirsi nel corso dei prossimi mesi, ristabilendo la normale circolazione monsonica nell’Oceano Indiano; non a caso l’IMD ha previsto un monsone più piovoso della media per quest’anno. La notizia ha chiaramente rallegrato l’opinione pubblica indiana, ma all’inizio della stagione monsonica mancano ancora diverse settimane, e tale periodo di attesa si prospetta letteralmente torrido, dominato da alta pressione e temperature superiori ai 40˚C. Una vera e propria ondata di caldo, quindi, sul modello di quella già affrontata dall’India nella primavera del 2015. E che promette di aggravare ulteriormente gli effetti della siccità, prosciugando le poche riserve idriche rimaste nel Paese e portando allo stremo le strutture sanitarie nazionali. Le eccezionali temperature degli ultimi giorni hanno infatti già ucciso oltre 150 persone e costretto diversi Stati a imporre misure d’emergenza per anziani e bambini, inclusa la chiusura delle scuole.
Il ruolo dei cambiamenti climatici nella crisi idrica ha inevitabilmente riacceso le polemiche sugli impegni presi dal Governo indiano alla recente Conferenza sul clima di Parigi, giudicati insufficienti da molti esponenti del mondo politico e della società civile. Pur non insensibile al tema, l’esecutivo di Modi non ha infatti mai nascosto di privilegiare l’obiettivo di una maggiore crescita economica su quello di un taglio significativo delle emissioni di CO2, mostrando spesso scetticismo o ostilità verso le richieste dell’ONU e dei Paesi occidentali. L’India ha comunque accettato di firmare l’accordo internazionale sul clima raggiunto a Parigi, che prevede un impegno generale per tenere ogni futuro incremento della temperatura media mondiale sotto i 2˚ C, e sta gradualmente adottando diverse misure per sviluppare un’economia ecosostenibile. A tale scopo Modi ha recentemente creato un nuovo Ministero per le energie nuove e rinnovabili (MNRE), affidato al fedelissimo Piyush Goyal, e ha promesso nel nuovo budget del 2016 una valanga di incentivi per il settore dell’ambiente e delle energie “pulite”. Ma le principali associazioni ambientaliste indiane restano diffidenti, e denunciano l’assenza di chiari protocolli governativi per la riduzione delle emissioni nazionali. Inoltre l’industria delle energie rinnovabili resta preoccupata dalla presenza di gravosi dazi doganali sull’importazione di molti materiali e strumenti tecnologici indispensabili per la costruzione dei propri impianti produttivi. D’altro canto i recenti accordi presi da Modi con il Presidente francese Hollande per la creazione di un’Alleanza Solare Internazionale (ISA) sembrano indicare una genuina volontà di cavalcare l’onda della green economy e di usarla a sostegno della crescita economica indiana. Una volontà fatta propria anche da diversi Governi locali, come quello dell’Arunachal Pradesh, che ha deciso di privilegiare progetti più sostenibili legati all’energia solare rispetto alla costruzione di nuove dighe per il settore idroelettrico.
Fig. 3 – Una donna di Hyderabad cerca di ripararsi dal sole durante l’eccezionale ondata di caldo del maggio 2015. Un evento che si sta ripetendo proprio in queste settimane in India, aggravando la crisi idrica del Paese
CRISI STRUTTURALE – Ma l’attuale crisi idrica dell’India non è dovuta solo agli effetti dei cambiamenti climatici, e la sua risoluzione richiederà anche un serio ripensamento della gestione delle principali fonti acquifere del Paese. Queste fonti sono infatti sfruttate eccessivamente, sia per usi agricoli che industriali, e la loro qualità generale continua a peggiorare di anno in anno. Da un certo punto di vista, la crescita economica indiana degli ultimi decenni è la principale responsabile di tale situazione, perché ha incentivato forme di produzione agricola e industriale sostanzialmente insostenibili per il delicato sistema idrico del Paese. Nel caso dell’agricoltura, per esempio, i contadini indiani sono stati spinti dalle autorità a privilegiare poche colture (cotone, cereali, soia) estremamente dispendiose d’acqua, arrivando a utilizzare oltre l’80% delle risorse idriche nazionali. Inizialmente questa decisione ha pagato, grazie anche al boom del mercato globale delle commodities, ma negli ultimi anni l’assenza di sistemi efficienti di irrigazione e la crescente competizione tra agricoltori (spesso indebitati fino al collo per cattivi investimenti o obblighi sociali) ha favorito gli sprechi idrici e aggravato i fenomeni siccitosi provocati dai cambiamenti climatici. Il risultato è che i tradizionali pozzi e invasi dei villaggi si esauriscono nell’arco di pochi giorni, spingendo i contadini a sfruttare intensivamente le falde acquifere sotterranee e portando a un generale inaridimento di vaste regioni del Paese. E lo sfruttamento intensivo per usi agricoli non risparmia nemmeno grandi fiumi come il Gange e il Brahmaputra, che hanno registrato negli ultimi anni significative riduzioni dei propri livelli idrometrici, con gravi danni per la pesca, il commercio fluviale e la produzione di energia idroelettrica.
Ma l’agricoltura non è l’unica colpevole della crisi idrica indiana. Anche la massiccia e disordinata industrializzazione degli ultimi decenni ha comportato un sostanziale dispendio di risorse idriche, causando in aggiunta il pesantissimo degrado di molti fiumi e laghi del Paese. Vasti tratti del Gange, per esempio, sono sempre più inquinati da materiali chimici e rifiuti industriali, mentre il fiume Jhelum in Kashmir ha registrato recentemente livelli preoccupanti di sostanze nocive nelle sue acque. Inutile dire che un simile inquinamento su larga scala aggrava la generale scarsità d’acqua nel Paese, rendendo sostanzialmente inutilizzabili considerevoli riserve idriche che potrebbero invece alleviare gli effetti dei fenomeni siccitosi.
Fig. 4 – Un uomo raccoglie pesci morti dalle acque inquinate del lago Ulsoor, vicino a Bangalore. Oltre alla siccità, il Governo indiano deve anche far fronte al costante deterioramento qualitativo delle proprie riserve idriche
RIFORME IN VISTA? – Al di là dell’attuale emergenza, il sistema idrico indiano appare quindi affetto da gravi criticità strutturali, che potrebbero sul lungo periodo avere serie conseguenze per le ambizioni economiche e internazionali di New Delhi. È infatti abbastanza difficile che un Paese affetto continuamente da una cronica e diffusa scarsità d’acqua possa mantenere una crescita annua del PIL superiore al 7%, come ripetuto frequentemente da diversi esponenti del Governo Modi. Per non parlare degli effetti di tale scarsità sullo sviluppo del settore energetico indiano o sui fragili equilibri politico-sociali di molte regioni del Paese, con il possibile scoppio di disordini e violenze su larga scala. L’India è un gigante sempre più assetato, e se non riuscirà a placare la sua sete in modo adeguato dovrà forse dire addio ai suoi sogni di grande potenza mondiale, restando confinata nel ruolo (sempre più fragile e scomodo) di egemone regionale in Asia meridionale.
La buona notizia è che, dopo molta colpevole indifferenza, il Governo di Delhi sembra avere finalmente riconosciuto il problema, prospettando varie riforme per un uso più consapevole delle risorse idriche nazionali. Si intendono incentivare, per esempio, diversi sistemi di micro-irrigazione e la coltivazione di prodotti meno dispendiosi a livello idrico, come legumi e piante oleose. Inoltre, il budget nazionale del 2016 prevede cospicui fondi per le operazioni di bonifica di fiumi e laghi inquinati, così da recuperare importanti riserve idriche per uso agricolo e energetico. Buoni propositi che però dovranno essere messi realmente in pratica, sfidando la potente rete di particolarismi locali e clientelismi politici che ha consentito il diffondersi e prosperare degli attuali sprechi idrici. E resta la necessità impellente di trovare validi accordi di cooperazione con i Paesi vicini per una gestione efficace e consapevole dei grandi fiumi che attraversano le pianure settentrionali del subcontinente indiano. Senza una chiara risoluzione diplomatica dei conflitti con Pakistan e Bangladesh per il controllo di tali imponenti vie d’acqua, qualsiasi riforma del sistema idrico indiano rischia infatti di non ottenere i risultati sperati.
Simone Pelizza
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il Gange è inquinato non solo da rifiuti industriali, ma anche da rifiuti “organici” come scarti di cibo e carcasse di animali domestici. In passato, questo tipo di rifiuti veniva smaltito dalle varie specie di avvoltoi che vivevano lungo il corso del fiume, ma la recente urbanizzazione massiccia dell’India settentrionale ha ridotto notevolmente il numero di questi “spazzini” naturali, costringendo le autorità locali a sviluppare soluzioni alternative (crematori per animali, impianti di depurazione fognaria ecc.) per il problema.[/box]
Foto: PraveenaSridhar