Caffè Americano – Avere il privilegio di seguire la nottata elettorale direttamente da Times Square è stata un’occasione più unica che rara, e lo è stato soprattutto farlo tra la gente, tra gli americani, tra gli immigrati e tra i giornalisti, pronta a contribuire con il tuo articolo all’informazione su questo momento storico: taccuino e penna alla mano (e anche il cellulare perché si sà, in redazione sono live e tu sei il loro strumento affidabile e sul campo dal quale ricevere informazioni e contenuti in real-time) per non perdere un aggiornamento
TIMES SQUARE SI PREPARA ALLA NOTTATA ELETTORALE – Times Square, New York, ospitava già da un paio di giorni il palco della ABC News, nota emittente televisiva statunitense, che per tutta la serata ha trasmesso in diretta lo spoglio elettorale e ha raccontato all’America l’atmosfera che si respirava a Times Square. Ed io ero lì per lo stesso motivo, ma per raccontarlo a voi, ai lettori de Il Caffe’ Geopolitico. Già dalle ore 18 (la mezzanotte in Italia), i newyorkesi cominciavano ad affluire verso la piazza, circondati da ingenti misure di sicurezza e polizia antiterrorismo schierata lungo tutto il perimetro. Nel giro di un’ora, alla chiusura quindi dei seggi a New York avvenuta alle 19 (ormai l’una di notte in Italia), la piazza era affollatissima e cominciavano a comparire i primi manifestanti: alcuni pro-Trump, altri pro-Clinton, altri ancora semplicemente inneggiavano a Dio o a qualche divinità suprema. Ma una cosa accomunava tutti: la più completa incertezza. Sino a quel momento infatti, i sondaggi davano come favorita Hillary Clinton, ma con un distacco percentuale così altalenante da non permettere alcuna proiezione parzialmente certa. È pur vero però che, mesi fa, diverse statistiche rivelarono che se a concorrere per la presidenza degli Stati Uniti con Trump fosse stata la Clinton piuttosto che Bernie Sanders allora sì, lo scenario che è oggi realtà, sarebbe stato più plausibile. Tralasciando per un attimo le statistiche, i sondaggi e l’ovvio risultato, vorrei tornare a Times Square. Le radiotrasmittenti di tutto il mondo erano lì: al mio fianco c’era la tv argentina, poco più a destra, proprio sotto la famosissima palla del New Years Eve, la tv giapponese, e poi qua e là le tv europee e gli inviati della Corea del Nord (Paese che a seguito dell’elezione ha convocato il proprio consiglio di sicurezza nazionale). Non ci è voluto molto perchè fosse possibile cominciare a raccogliere dei commenti a caldo. I primi risultati, arrivati alle 19:03 pm (1:03 in Italia) parlavano chiaro: 19 voti per il candidato Trump e 3 per la Clinton. Comincio così a parlare con una ragazza, che incuriosita dal mio prendere appunti velocemente, mi chiede in quale lingua stessi scrivendo. E così, risposi italiano. Lei, sorridendomi, mi chiede se avessi qualche suggerimento su dove affittare casa in Italia, dato che se vincerà Trump non avrà tanta voglia di rimanere a vivere a Brooklyn. Sulla sua felpa esibiva la bandiera del suo paese di origine, la Giamaica. Poco dopo, intorno alle 20, mi fermo a parlare con Lin, da Singapore. Mi racconta che come me si trova per lavoro a New York City ma che continua a scrivere qualche pezzo di politica internazionale per diverse riviste online proprio come faccio io. E così iniziamo a commentare i risultati. Trump sale a 68 e la Clinton rimonta a 67. Lin mi dice di essere preoccupata, lavora come social worker e vorrebbe tanto che il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America prendesse più a cuore le politiche sociali. Poco prima delle 21 (le 3 in Italia), cominciano ad arrivare i risultati sempre più consistenti dalla Florida, uno stato considerato strategico per la vittoria democratica. La Florida, sapremo dopo, si colora di rosso, lasciando nello scetticismo tutti quelli che, fino a qualche minuto prima, credevano e speravano nella vittoria democratica.
Fig. 1 – La diretta di ABC News direttamente da Times Square, New York
IL DISTACCO TRA I DUE CANDIDATI CHE PREOCCUPA NEW YORK – È alla soglia delle 22 che, con la progressiva chiusura dei seggi sul fuso orario centrale degli Stati Uniti, il divario tra i due candidati aumenta sensibilmente: 104 voti a favore di Hillary contro i 129 di Donald. Le dirette televisive cominciano così a susseguirsi e diversi giornalisti cominciano ad intervistare, chiedere opinioni, sensazioni e anche pronostici. Qualche segno di sconforto da parte dei democratici comincia ad arrivare e James, immigrato italiano di seconda generazione, asserisce alla mia domanda “Who’s gonna win?” (“Chi vincerà?”) con un secco “Trump”. E il pronostico comincia ad acquisire quanta più veridicità con lo spoglio degli stati centrali, roccaforti repubblicane oramai note e che, in queste elezioni, non si sono di certo smentite. Con la chiusura dei seggi alle 23 (5 am italiane), il numero dei voti a favore di Trump sale a 168, quelli per la Clinton a 131. Molte persone cominciano a mormorare un “We’re hundred votes away, and then…” (“Mancano un centinaio di voti, e poi…”). Quel “then” esprimeva preoccupazione, e qualche lacrima lo confermava. Quando oramai il ditacco tra i due candidati è forte, e siamo sulla soglia dei 212 per Donald e 202 per Hillary, un gruppo di manifestanti, al grido di “Blacks for Trump!” (“Neri per Trump!”) irrompe nel semi-silenzio, ma assordante, di Times Square. Curiosi e giornalisti si avvicinano, ma nessuno sembra dar loro troppo credito.
Fig. 2 – Times Square gremita di gente sino ai risultati finali
A MEZZANOTTE SIAMO VICINI AL RISULTATO – È attorno alla mezzanotte che con la chisura dei seggi in Arizona, Nevada e stati vicini, il divario sale contando 254 voti per Donald J. Trump e 209 per Hillary R. Clinton. Commento con un ragazzo, uno studente tedesco, che la percentuale di effettivo distacco è però minima – siamo al 47,2% per Hillary e al 48,3% per Donald – e che chi vincerà non potrà certo vantarsi di una vittoria schiacchiante, comunque vada. È un susseguirsi di notizie, nonostante Fox News interrompa la proiezione sui maxi-schermi di Times Square lasciando tutti con qualche dubbio. E così, pazientemente, ci spostiamo verso il palco della ABC News. È passata l’una (oramai le 7 in Italia) quando i voti sembrano volgere a favore del candidato Trump. Comincio a girare intorno a Times Square per rendermi conto delle sensazioni delle persone e quindi non solo di quelle degli addetti ai lavori: mi rendo conto che c’è sconforto, che chiunque parli spagnolo attorno a me ripete “No se puede, no es posible” (“Non si può, non e’ possibile”). Tre ragazze ripetono che non riescono a capacitarsi di come l’America sia così diversa e, riferendosi agli elettori di Trump aggiungono “What’s wrong with them?” (“Ma cosa hanno di sbagliato queste persone?”). Mi guardano prendere appunti, mi sorridono. Così, comincio ad avviarmi verso la metro, a quest’ora il servizio è ridotto e la strada verso casa è lunga. I risultati non cambiano. Alle 3 del mattino, sono ormai vicina a casa ed il risultato che vedo sugli schermi vede uno dei due candidati superare i 270 voti. E ad aggiudicarseli è Donald J. Trump, nuovo e 45° presidente degli Stati Uniti d’America. Dopo Barack H. Obama. Il risultato finale sarà di 276 voti a favore per Trump e di 218 per Clinton.
Fig. 3 – Emblematica la frase della giornalista di Fox News, Megyn Kelly “Quale sarà la reazione a tutto questo domani, Juan?”
IL RISVEGLIO DELLA CITTA’ CHE NON DORME MAI – New York never sleeps (New York non dorme mai) e non l’ha fatto neppure stanotte. Parliamo però di un risveglio platonico, un risveglio che ha visto rianimare le strade di Manhattan, della stessa Times Square, con un sapore nuovo, quello di un cambiamento – positivo o negativo è ancora presto per dirlo – che sembra, apparentemente, non piacere al newyorkese medio. E al newyorkese in generale. Questa città vive della diversità, della lotta al pregiudizio, della gentilezza, della voglia di rinascita e, tutto questo, anima lo spirito dei cittadini, dei residenti, degli studenti e di chi è anche solo di passaggio. New York però non rappresenta l’America, quella conservatrice che ha votato Trump. L’elettorato newyorkese, infatti, non rispecchia, dati alla mano, l’elettorato che ha votato per Donald Trump. Camminando per le strade della città, per le affollatissime strade di midtown vicino Penn Station, la gente scuote la testa nel leggere i titoli dei giornali gratuiti che vengono distribuiti per le strade. È mattina, sono le 8, è tempo di andare al lavoro, non c’è spazio per il complaint. New York oggi scuote la testa, ma resterà sempre e comunque la città che non dorme mai, dinamica e vivace, come lo sono le persone che la vivono. Che sia Trump il presidente, o che lo fosse stata Hillary R. Clinton.
Sara Belligoni
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Ripercorrete con noi le tappe che hanno portato alle Elezioni Presidenziali con il nostro speciale Caffe’ Americano.[/box]
Foto di copertina di ConstantinAB Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-NoDerivs License