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Le risorse energetiche della Cina passano da Mosca

Le relazioni energetiche tra la Russia e la Cina sembrano aver trovato un giusto binario su cui muoversi, ma la prospettiva di una solida e trasparente cooperazione rimane ancora un lontano miraggio per i due Paesi, i quali puntano in primis a fortificare la propria posizione nel quadrante Asia-Pacifico

UN PO’ DI NUMERI – Il settore energetico costituisce per Russia e Cina una componente strategica del budget nazionale, considerando che in base ai dati del Ministero russo per lo Sviluppo Economico, l’interscambio in termini di carburanti e prodotti petroliferi tra i due Paesi nel 2013 era di 26,8 miliardi di dollari. Per la Russia, primo esportatore mondiale, l’energia rappresenta più del 50% del budget nazionale e nello specifico la quota di esportazioni di petrolio e gas ha raggiunto i 304,6 miliardi di dollari nel 2013, pari al 57,9%, delle esportazioni totali e al 12% del PIL. La Cina, nonostante sia diventato da poco un importatore netto di energia, ha una produzione energetica nazionale abbastanza alta. Se la produzione di petrolio vede un incremento del 6,3% nel 2015, si prevede che entro il 2035 la percentuale della domanda salirà del 63%, ma la produzione subirà un ribasso del 5%. Invece, la produzione del gas si aggira intorno ai 5 miliardi di metri cubi, nel 2015, con un incremento esponenziale previsto del 136% nel 2035. Per quanto riguarda invece l’import-export di petrolio e gas, è necessario fare un distinguo tra le due commodities. A fronte di un export di minerali e prodotti petroliferi dalla Russia alla Cina in netta crescita tra gli anni 2009-2014, con un ammontare di circa 27 miliardi di dollari, a partire dal 2015 le esportazioni totali russe di energia hanno iniziato a subire un rallentamento, sebbene la sola voce petrolio nelle esportazioni abbia tuttora un trend positivo (il World Energy Outlook 2015 dello IEA ha stimato la crescita della domanda di petrolio cinese intorno ai 14.7mmbdp nel 2030). Per quanto riguarda invece il gas, la cui domanda cinese ha iniziato a crescere in maniera rilevante soltanto a partire dal 2010, secondo l’analisi dello Statistical Review of World Energy 2016 della BP, la richiesta di Pechino si attesta al 6% dell’intera domanda energetica nel 2015, anche se tale percentuale è destinata a crescere esponenzialmente grazie alle importazioni che arriveranno dalla Russia tramite i tre  principali canali Power of Siberia, Altai e Yamal LNG.

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Fig. 1 – Il Presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo russo Vladimir Putin

GLI ACCORDI SINO-RUSSI Un primo (fallimentare) tentativo di raggiungere un’intesa energetica tra i due Paesi avenne nel giugno 1997, quando il Primo Ministro Viktor Cernomyrdin incontrò a Pechino il suo omologo Li Peng per concludere un accordo di 7 miliardi di dollari che comprendeva la costruzione di pipelines e lo sviluppo di alcuni giacimenti  petroliferi e gassiferi nella Siberia orientale. Dopo numerose sedute consultive il contratto non fu firmato e i rapporti caddero in una fase di stagnazione lunga un decennio. Nel 2010 la russa Gazprom, insieme all’altra compagnia statale Rosneft e al gestore statale degli oleodotti Transneft, ha intrapreso un dialogo con Pechino sulla possibilità di trasportare il petrolio russo in Cina. Con la realizzazione dell’oleodotto East Siberia-Pacific Ocean, la Russia ha potuto in parte recuperare liquidità e la Repubblica popolare cinese è riuscita ad alimentare le dinamiche regioni nord orientali e a portare il petrolio fino all’Estremo Oriente, grazie al terminal di Kuzmin sul Pacifico. Fiduciosi di questa relativa distensione, nel 2014, a seguito del IV summit della Conference on Interaction and Confidence-Building Measures tenutosi il 20-21 maggio (e a quasi dieci anni di trattative dal primo incontro), Putin e Xi Jinping hanno siglato un accordo del valore di 400 miliardi di dollari, grazie al quale Gazprom fornirà 38 miliardi di m3 di gas alla China National Petroleum Corporation a partire dal 2018 per trent’anni. È anche previsto un corollario di progetti, come la costruzione del gasdotto Power of Siberia, di oltre 4.000 km per collegare i bacini di estrazione all’area metropolitana di Beijing-Tianjin-Hebei e al delta dello Yangtze, e lo sviluppo di un’ulteriore arteria di collegamento in grado di alimentare i terminal per la liquefazione del gas nei siti di Sakhalin e Vladivostok. Nel settore elettrico, invece, due sono stati i principali accordi firmati nel 2014: il contratto di fornitura di 110 miliardi di kWh, fino al 2036, tra la compagnia russa Rosseti e la SGCC; e il pacchetto di due accordi di cooperazione tra RusHydro e PowerChina e Dongfang Electric. Recentemente, invece, Sinopec e Rosneft hanno avviato le trattative per la realizzazione di un impianto nella Siberia Orientale, con inizio dei lavori nel 2017, per lo studio sui polimeri e per sviluppare nuove tecnologie per la produzione di polietilene e polipropilene.

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Fig. 2 – Un impianto petrolifero di Bashneft a Ufa, nella Repubblica di Bashkortostan

IL CASO ALTAI – Durante l’incontro di maggio 2014, Putin ha ripreso in mano i documenti (già presentati nel 2009) per la creazione di un ulteriore corridoio energetico, l’Altai, il quale – percorrendo oltre 2600 km – dovrebbe portare oltre 30 miliardi di m3 di gas dai giacimenti della Siberia occidentale alla Cina occidentale, evitando la Mongolia e il Kazakhstan. Con questa nuova proposta la Russia ha cercato di consolidare la propria presenza nell’orbita del vicino cinese, puntando, se non a sostituire, a sfidare il Turkmenistan, principale fornitore energetico di Pechino (17.7 milioni di t di gas nel 2013). Inoltre, questo corridoio potrebbe portare diversi benefici alla Russia, in quanto le permetterebbe di aggirare le restrizioni imposte da Europa e USA, consolidando il sodalizio energetico con la Cina, e risparmiare sugli investimenti, poichè molti tratti dell’Altai, e le relative infrastrutture, sono già esistenti. Nonostante queste premesse, però, Putin ha deciso di rimandare il taglio del nastro per l’inizio del lavori, ritenendo prioritario il Power of Siberia.

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Fig. 3 – I signori dell’energia russa: Igor Sechin (a sinistra), Presidente di Rosneft, scherza con Alexei Miller, CEO di Gazprom

I RECENTI SVILUPPI – Lo Yamal LNG è un progetto sviluppato dalla russa Gazprom e finanziato principalmente dal Silk Road Fund (SRF), che comprende due banche cinesi, la China Development Bank e la Export-Import Bank of China. Grazie ad un investimento di circa 12 miliardi di dollari, Mosca potrà sviluppare un impianto di liquefazione del gas naturale proveniente dalla regione di Sabetta, nel nord-est della penisola dello Yamal. La Novatek, la società russa maggiormente coinvolta nel progetto, con il 60% delle azioni, è riuscita a concludere le trattative con i partner cinesi dopo un lungo, e non semplice, iter cominciato nel 2009, ma che vedrà l’effettiva apertura dei rubinetti solo nel 2018. Il processo per giungere ad un accordo definitivo è stato minato dalle sanzioni occidentali che hanno colpito la Novatek: infatti a causa di queste sanzioni la società russa non ha potuto portare a termine alcun progetto finanziato in dollari, perdendo così l’appoggio degli eventuali finanziatori occidentali. L’unica via d’uscita era dunque Pechino. Con l’acquisizione del 9.9% della Novatek e con due successivi prestiti di circa 12 miliardi di euro, la Cina è riuscita ad occupare una posizione di rilievo nel processo decisionale dell’azienda. Per quanto riguarda invece il settore petrolio, escludendo una trattativa tra Beijing Enterprises e Rosneft per l’acquisizione di una quota azionaria del 20% da parte della compagnia cinese, tra il 2015 e il 2016 non sono stati firmati ulteriori progetti rilevanti, ma sono stati emessi dei memorandum per la futura collaborazione tra i due Paesi. In questo panorama cosi complesso e sfaccettato l’ago della bilancia potrebbe propendere in larga parte verso la Cina. La necessità di non rimanere bloccati in un contesto energetico monodirezionale, essendo la strada per l’Occidente bloccata dalle sanzioni europee e americane, rappresenta oggi una priorità per la Russia. La posizione guadagnata dalla Cina, grazie ai numerosi investimenti, sia monetari che di infrastrutture, ha permesso a Pechino di poter avanzare pretese sicuramente svantaggiose per la Russia, e allo stesso tempo di rafforzare la propria autorità nello scacchiere asiatico. Le prospettive future, quindi, dipendono molto dalle scelte che la Cina farà sia dal punto di vista energetico che finanziario; se vorrà mantenere un equilibrio con gli USA, stabilizzando i suoi scambi sul dollaro, o se vorrà rafforzare il proprio legame con la Russia e tutti gli altri player dell’Asia-Pacifico, per poter proporre un sistema economico concorrente basato sulla moneta cinese.

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Fig. 4 – Operai al lavoro su un gasdotto nei dintorni di Shanghai

Isabel Pepe

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

L’ago della bilancia degli accordi energetici sino-russi è sicuramente il prezzo. La diatriba sul prezzo di vendita del gas russo e sulla scelta della valuta da utilizzare hanno infatti creato parecchi problemi. Se da una parte la spinta a velocizzare gli accordi da parte della Russia è scaturita dalla situazione ucraina e dalla volontà di diversificare i partner energetici, la volontà di utilizzare come parametro il prezzo del petrolio, e quindi il dollaro, ha sicuramente irrigidito le posizioni cinesi. Per la Cina, invece, la necessità di modernizzare la propria economia e di slegarsi dalla forte dipendenza dal carbone (il carbone rappresenta ancora la principale fonte energetica cinese con il 66% del consumo energetico a fronte di un consumo dell’1,8% di petrolio e del 5% di gas) hanno fatto si che Pechino in alcune occasioni abbia concesso qualcosa a Mosca. Per esempio, nonostante le clausole del contratto della fornitura del gas siano rimaste segrete, le stime parlano di un prezzo che potrebbe aggirarsi intorno ai 350-400 dollari per mille m3 di gas; viceversa, per i più recenti accordi e investimenti, la Cina ha fatto pressioni affinché i pagamenti avvenissero in yuan, guadagnando in questo modo potere d’acquisto. [/box]

Foto di copertina di greg westfall. Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License

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Isabel Pepe
Isabel Pepe

Sono nata in un piccolo paesino della Basilicata. Dopo la maturità scientifica mi sono trasferita a Venezia per studiare lingua cinese alla Ca’ Foscari e specializzarmi in Relazioni Internazionali Comparate. Quest’ultimo percorso di studi e il lavoro di tesi magistrale, “La geostrategia marittima della Repubblica Popolare Cinese: dalla Via della Seta al Filo di Perle”, mi hanno spinta a trasferirmi a Roma per coltivare questi due interessi. Ho frequentato un Master in Geopolitica e Sicurezza Globale, e dopo aver frequentato dei corsi sull’Energia, sono approdata alla Business School del Sole 24 ore per un Master in Management dell’Energia e dell’Ambiente. Quando non mi occupo di questi temi, cerco di coltivare le mie passioni tra cui ci sono libri e vini.

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