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Mindanao: tra il martello di Duterte e l’incudine della jihad

In 3 sorsiMercoledì il Governo filippino ha dichiarato la legge marziale in tutto il Mindanao, come reazione all’attacco di due gruppi affiliati a ISIS contro la città di Marawi, nel sud dell’isola. Si tratta di una decisione molto grave che promette di esacerbare ulteriormente la situazione nella regione. Nel frattempo gli abitanti di Marawi fuggono dai combattimenti, mentre il Presidente Durterte promette di usare il pugno di ferro contro i jihadisti

1. BANDIERE NERE SU MARAWI – È la crisi più grave dell’era Durterte, tanto da aver costretto il Presidente filippino ad abbreviare il suo importante viaggio in Russia per tornare velocemente in patria. Nella notte tra martedì e mercoledì un centinaio di militanti armati del gruppo Maute, affiliato ad ISIS, hanno lanciato un attacco su larga scala alla città di Marawi, nel sud dell’isola di Mindanao, occupando diversi quartieri e mettendo in fuga gli abitanti. Durante tale attacco i militanti hanno incendiato una chiesa, distrutto la prigione cittadina e issato le bandiere nere del Califfato nei punti nevralgici della città, la più grande del Mindanao meridionale e a maggioranza sunnita. Inoltre hanno preso in ostaggio una decina di fedeli cattolici, tra cui il sacerdote Chito Suganob, minacciando di ucciderli in caso di un’offensiva delle forze governative per riprendere Marawi. L’iniziativa di Maute, senza precedenti nella storia recente del Mindanao, è stata supportata da diversi militanti di Abu Sayyaf, l’altro principale gruppo jihadista della regione, ed è nata come risposta al tentativo delle autorità filippine di catturare Isnilon Hapilon, comandante di Abu Sayyaf e ricercato dall’FBI per i suoi legami con il terrorismo internazionale. L’azione delle due formazioni jihadiste è stata così fulminea da prendere totalmente di sorpresa l’Esercito filippino, che ha impiegato molte ore solo per creare un perimetro difensivo intorno alla città. Nonostante i successivi comunicati ufficiali, che annunciavano di avere ripreso il controllo della situazione, Marawi resta tuttora una città fantasma occupata dai militanti, mentre migliaia di suoi abitanti sono in fuga verso i più vicini villaggi e centri urbani, complicando ulteriormente il tentativo dei militari di sconfiggere e catturare gli insorti.

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Fig. 1 – Il Presidente delle Filippine Rodrigo Duterte annuncia l’imposizione della legge marziale nel Mindanao, 24 maggio 2017

2. LEGGE MARZIALE – In ogni caso, la reazione del Governo di Manila non si è fatta attendere: è stata proclamata la legge marziale in tutto il Mindanao e il Presidente Duterte ha promesso di applicarla “duramente” per sconfiggere i jihadisti. Durterte ha anche dichiarato di essere pronto ad accettare numerose perdite civili pur di riprendere il controllo dell’area di Marawi, cosa che ha inevitabilmente provocato le preoccupazioni delle organizzazioni dei diritti umani e delle principali associazioni legali del Mindanao. Molti esperti dubitano della serietà dei propositi di Duterte: la Costituzione filippina prevede infatti seri limiti all’applicazione della legge marziale, che dura solo 60 giorni e richiede l’approvazione diretta del Congresso per successive estensioni. Inoltre le disposizioni costituzionali non prevedono la sospensione delle normali attività giudiziarie e amministrative durante la legge marziale, ponendo volutamente un freno ai poteri dell’esecutivo e delle forze armate. Dal punto di vista militare, poi, il generale Eduardo Aňo, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito filippino, ha escluso l’adozione di tattiche troppo distruttive per la riconquista di Marawi, così da evitare eccessive vittime civili. Insomma, le dichiarazioni di Duterte sono parse poco credibili e hanno spinto diversi politici filippini a criticare l’estensione della legge marziale a tutto il Mindanao, giudicandola esagerata e rischiosa per i fragili equilibri dell’isola, da decenni teatro di una feroce guerriglia condotta da gruppi comunisti e islamisti contro il Governo centrale di Manila. Una situazione che era stata al centro del programma elettorale di Duterte, con la promessa di risolvere pacificamente i problemi sociali e politici che hanno contribuito all’accendersi delle violenze nella regione. Questi buoni propositi, però, sono presto naufragati di fronte all’intransigenza del neo-Presidente e all’incapacità del Governo filippino di stabilire un reale clima di fiducia con i guerriglieri. Allo stesso tempo l’impossibilità di scendere a patti con i gruppi più estremi, come Maute e Abu Sayyaf (sempre più vicini a ISIS), ha finito per compromettere gli ambiziosi piani di Duterte per una risoluzione negoziata della crisi del Mindanao. Ora l’unica opzione rimasta sembra essere quella del pugno di ferro, effettuato magari forzando i limiti costituzionali della legge marziale e dando campo libero ai militari per una brutale eradicazione delle formazioni jihadiste operanti sull’isola.

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Fig. 2 – Civili in fuga dalla citta di Marawi occupata dai jihadisti di Maute e Abu Sayyaf, 24 maggio 2017

3. DUTERTE E IL FANTASMA DI MARCOS –  La crisi di Marawi rappresenta quindi un importante spartiacque per la presidenza Duterte. Se il leader filippino riuscirà ad avere ragione della minaccia islamista, potrebbe ridare fiato alla sua popolarità (parzialmente in declino dopo le tante controversie della “guerra alla droga”) e tentare di ampliare ulteriormente i suoi poteri presidenziali. Da questo punto di vista Duterte non ha mai nascosto la sua ammirazione politica e personale per l’ex dittatore Ferdinand Marcos, padre padrone delle Filippine dal 1972 al 1986, e potrebbe sfruttare la situazione nel Mindanao per imporre un autentico giro di vite contro critici e oppositori. Non a caso il Presidente ha legato idealmente le attuali disposizioni d’emergenza nell’isola a quelle adottate dal suo predecessore negli anni ’70, ventilando anche la possibilità di estendere la legge marziale a tutto il Paese per un periodo di tempo indefinito. Esattamente come fatto da Marcos durante i quattordici anni della sua presidenza autoritaria. Inoltre un successo nella lotta ai jihadisti potrebbe accrescere il prestigio internazionale di Duterte, specialmente in sede ASEAN, e renderlo sempre più una figura chiave per gli equilibri geopolitici dell’Asia-Pacifico. Viceversa, un fallimento nella battaglia di Marawi potrebbe infliggere un duro colpo alla credibilità interna e esterna del pugnace Rodrigo, ridando fiato alle tante forze politiche (e non solo) che vedono negativamente la sua brutale guerra al narcotraffico e la sua polemica rottura diplomatica con gli Stati Uniti, storico alleato di Manila nella regione.

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Fig. 3 – Duterte insieme a Vladimir Putin durante la sua visita lampo in Russia, 23 maggio 2017

D’altra parte, gli eventi dei prossimi giorni saranno decisivi anche per le formazioni jihadiste del Mindanao, che potrebbero tentare un pericoloso salto di qualità nelle proprie operazioni sul modello di quanto fatto da ISIS in Medio Oriente o da Boko Haram in Nigeria. L’assalto e l’occupazione di Marawi rappresentano quindi un serio campanello d’allarme per tutti i Paesi del Sud-est asiatico, che si apprestano anche a far fronte – come l’Europa – all’ondata di ritorno di decine di foreign fighters dai campi di battaglia del Siraq. Se i jihadisti di Maute e Abu Sayyaf riuscissero a tenere in scacco a lungo le forze governative, sfruttando il loro debole controllo del territorio, potrebbero ispirare simili azioni in tutta l’area ASEAN, mettendo a rischio la sicurezza dell’intera regione e aprendo la prospettiva inquietante di numerosi mini-Califfati fondamentalisti sparsi dalle coste dell’Indonesia a quelle delle Filippine. Quello che sta accadendo in Mindanao appare dunque di importanza cruciale per il futuro degli scenari politici e securitari dell’Asia sud-orientale.

Simone Pelizza

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Durante il suo breve viaggio in Russia Duterte ha chiesto a Putin sostegno nella lotta al terrorismo jihadista. In particolare, il Presidente filippino ha sottolineato la necessità di un sostanziale ammodernamento delle forze armate filippine, da effettuarsi con armi e equipaggiamenti forniti da Mosca. Si tratta di una richiesta significativa, che rappresenta un ulteriore tassello della graduale strategia di distacco diplomatico-militare dagli USA perseguita dall’amministrazione Durterte. Naturalmente la risposta russa è stata positiva e i due Paesi hanno firmato un accordo di cooperazione difensiva pochi giorni dopo la visita del Presidente filippino. Resta però da vedere se Manila riuscirà effettivamente a rimpiazzare Washington con Mosca come principale partner per le sue forniture militari.[/box]

Foto di copertina di Beegee49 Licenza: Attribution-NoDerivs License

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Simone Pelizza
Simone Pelizzahttp://independent.academia.edu/simonepelizza

Piemontese doc, mi sono laureato in Storia all’Università Cattolica di Milano e ho poi proseguito gli studi in Gran Bretagna. Dal 2014 faccio parte de Il Caffè Geopolitico dove mi occupo principalmente di Asia e Russia, aree al centro dei miei interessi da diversi anni.
Nel tempo libero leggo, bevo caffè (ovviamente) e faccio lunghe passeggiate. Sogno di andare in Giappone e spero di realizzare presto tale proposito. Nel frattempo ho avuto modo di conoscere e apprezzare la Cina, che ho visitato negli anni scorsi per lavoro.

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