Dopo la prima puntata della scorsa settimana, in cui abbiamo spiegato perchè Il Caffè ha deciso di parlare dell'Abruzzo, continua il nostro viaggio all’Aquila, in cerca di notizie diverse da quelle dei media tradizionali, per approfondire una questione di cui tanto si parla e poco si sa…
PIAZZA D’ARMI – L’esplorazione dell’Aquila continua attraverso l’approfondimento di una vicenda molto ben pubblicizzata e sponsorizzata, ma poi attentamente trascurata nei suoi risvolti a distanza di sole tre settimane. Lo scenario è quello della tendopoli di Piazza d’Armi, la più grande della città, che ospitava fino a 1.800 sfollati. Ad inizio settembre la tendopoli è stata (quasi) del tutto smantellata, dando seguito alla promessa del Presidente del Consiglio Berlusconi durante il G-8 dell’Aquila di luglio (“entro settembre tutti fuori dalle tende”). Nel mezzo di un’ondata di entusiasmo nazionale, il Premier ed il Capo della Protezione Civile, sottosegretario Guido Bertolaso, annunciavano così l’inizio della nuova vita per gli aquilani, fieri di aver mantenuto l’impegno di tirare quelle persone finalmente fuori dalle tende, dopo cinque mesi dal sisma del 6 aprile. Ma allora perché abbiamo scritto sopra che la tendopoli è stata in effetti “quasi” del tutto smantellata? Perché qualcuno c’è ancora. Ed è di quel qualcuno che oggi parleremo.
MODALITA’ DI SMANTELLAMENTO – Prima parliamo della storia della signora Pina (non scriviamo il cognome per rispetto della privacy). Con un’abitazione cui i sopralluoghi hanno dato la classificazione di “classe E” (vedi il “chicco in più” per maggiori dettagli), dunque inagibile perché con danni strutturali, Pina era stata assegnata al campo tende di Piazza d’Armi. Il giorno in cui la Protezione Civile ha cominciato le operazioni di smantellamento, ha dato anche indicazioni agli sfollati su dove andare come prossima destinazione. Non una consultazione prima. Non un sondaggio per capire le necessità degli sfollati. Nessuna possibilità di replica: o accettare la nuova destinazione decisa per loro, oppure arrangiarsi. Solo una cosa era sicura: il campo era da smantellare (come voleva la promessa). Pina è stata assegnata in una sistemazione a Castellafiume: paese in provincia dell’Aquila a 70 km dalla città. Pina ha un lavoro all’Aquila e non ha patente di guida, eppure le avevano assegnato una destinazione così fuori mano, nonostante la signora avesse fatto presente più volte la sua condizione a chi di competenza. Risultato: niente da fare, o Castellafiume o niente. E’ a questo punto che la signora Pina ha preso la decisione di occupare la propria abitazione inagibile (una decisione disperata, dal momento che le scosse continuano: ieri la più forte degli ultimi mesi, 4.1 sulla scala Richter) in segno di protesta, in quanto trasferendosi non avrebbe potuto continuare a lavorare (mentre i disoccupati dal 6 aprile sono saliti a circa 16.000 su 70.000 abitanti). Il finale positivo c’è, nel senso che la Protezione Civile ha poi dichiarato di “aver sbagliato” nell’assegnazione, provvedendo a dare alla signora una sistemazione in città. Rimane il fatto di una strategia operativa del tutto calata dall’alto, senza consultazioni sul territorio e, per di più, che produce effetti non graditi alla popolazione di cui i media tacciono.
IL DEGRADO – Vi è poi la situazione dei circa 30 “irriducibili” (tra cui due disabili) che, per motivazioni simili a quelle della signora Pina, hanno deciso di rimanere nelle tende. Lo scenario stavolta è al limite dello slum. Il degrado è totale. Immondizia abbandonata dovunque, in quello che fino al 5 aprile era il campo atletico della città dell’Aquila. Rifiuti di un migliaio di sfollati che hanno lasciato il campo mai tolti da nessuno. L’odore è quello di una discarica, un testimone ha visto dei topi che camminavano tra i rifiuti: uscivano dai bagni. Bagni cui è stata staccata anche l’acqua calda. Nessuno che provvede al cibo per queste persone che, tra l’altro, non hanno più le lavatrici per provvedere all’igiene dei propri indumenti. Una donna fa entrare un cameraman dentro la propria tenda e mostra degli squarci provocati da una lama di coltello, non si sa quando, non si sa da chi. Anche la sicurezza è diventata un optional, ora che i riflettori mediatici si sono spostati. La Protezione Civile (che nelle tendopoli ha una sorta di potere legislativo, esecutivo e giudiziario insieme) afferma di non avere più responsabilità per Piazza d’Armi, adesso che è stata smantellata. Ora la responsabilità, dice una signora che ancora è lì, è del Comune, ma nemmeno il sindaco Massimo Cialente si è fatto vedere nella (ex) tendopoli. Sono gli sfollati dimenticati. Quelli di cui non ci si occupa, mentre si dice che “tutti sono sotto un tetto” e “abbiamo tolto le persone dalle tende”. Non pensavamo di vedere angoli dell’Aquila, un tempo amena e tranquilla cittadina medievale di montagna del Centro-Italia, simili a vere e proprie baraccopoli (qui si possono vedere due testimonianze video: http://www.youtube.com/watch?v=QbE6QaeJcm8; http://tv.repubblica.it/dossier/terremoto-in-abruzzo/gli-irriducibili-di-piazza-d-armi/37206?video=&pagefrom=1), mentre la città è ancora piena di macerie. Il 29 settembre il Presidente del Consiglio è atteso nuovamente in città per consegnare le prime case del progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili) ai cittadini. Per l’occasione ci si aspetta di ascoltare di nuovo le trombe in festa e di vedere sorrisi e abbracci. Ed è giusto che sia così. Ciò che non ci pare giusto e corretto è eliminare la presenza di casi drammatici (che pure sono tantissimi), tramite la negazione di spazi pubblici per i loro racconti e le loro testimonianze. Non è tutto oro quel che luccica all’Aquila.
Stefano Torelli 25 settembre 2009 [email protected]
Nelle foto: immagini dalla tendopoli di Piazza D'Armi