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Putin 2024: Dove andrà la Russia dello Zar?

La vittoria di Vladimir Putin in queste elezioni presidenziali non è mai stata messa in discussione da nessuno. Da questa tornata elettorale emergono comunque dati e dichiarazioni che ci dicono molto su quello che sarà l’utlimo(?) mandato del Presidente russo. Nel contesto dei rapporti sempre più conflittuali tra Occidente e Russia, cosa ci aspetta nei prossimi sei anni?

GLI OBIETTIVI DI VLADIMIR PUTIN

Vittoria doveva essere, e vittoria è stata. Garantire circa il 70% di affluenza di voto era il primo obiettivo del vincitore di queste elezioni, il Presidente (non) uscente Vladimir Putin. L’affluenza di voto si è attestata attorno al 63% della popolazione, anche se sembra che in alcune grandi città come San Pietroburgo e Mosca sia stata di poco superiore al 50%. Dato preoccupante quest’ultimo e, in attesa di avere dati più certi sulle statistiche di voto, bisognerà capire se si tratti di disaffezione giovanile o degli strascichi della campagna di boicottaggio lanciata da Alexei Navalny nel momento in cui gli è stato impedito di partecipare alla competizione elettorale. La scarsa affluenza nelle regioni periferiche del Paese, o nei villaggi più lontani dai grandi centri urbani, in parte è dovuta anche a cronici problemi logistici e infrastrutturali che non agevolano i cittadini a recarsi alle urne. Ci troviamo quindi di fronte ad un lieve calo d’affluenza rispetto alle presidenziali del 2012 – 65% – ma ad un aumento rispetto alle parlamentari del 2016, sebbene quest’ultime, storicamente, abbiano sempre attirato ai seggi meno persone in confronto alle prime. Il bicchiere mezzo pieno è che la bassissima affluenza paventata da alcuni sondaggi, che prevedevano un’affluenza oscillante tra il 52% e il 55%, non si è verificata. Il secondo obiettivo era garantire una percentuale plebiscitaria alla vittoria annunciata di Putin. Questo secondo target è stato centrato in pieno, grazie ad una percentuale di gradimento del 76,68%. Putin ha così frantumato il suo personalissimo record stabilito nel 2012 del 71%. La forte campagna mediatica pro-governativa, la sistematica eliminazione delle figure d’opposizione scomode (estromesse dalle elezioni grazie a cavilli burocratici o processi ad hoc), la frammentazione dell’opposizione consentita e una campagna elettorale polivalente, composta da retorica nazionalistica per l’estero e da sguardo al futuro in campo economico, hanno garantito all’uomo forte della Russia le chiavi del Cremlino fino al 2024.

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Fig. 1 – Vladimir Putin parla ai suoi sostenitori dopo l’annuncio della sua vittoria nelle elezioni presidenziali, 18 marzo 2018

SITUAZIONE INTERNA

Il plebiscitario consenso di Putin avrà ripercussioni immediate sull’ordine interno in Russia. Nonostante non siano mancate le accuse di brogli, da parte dell’opposizione e in minima parte riconosciuti anche dalla Commissione centrale elettorale, i media occidentali faranno bene a valutare il quadro reale della situazione politica interna del Paese. Focalizzare l’attenzione sui brogli e sulle “spinte” governative a votare per la riconferma del Presidente uscente rischia infatti di far passare inosservato il fatto che circa 56 milioni di cittadini russi hanno votato per Vladimir Putin. Questo errore ci consegnerebbe un quadro politico interno del Paese fuorviante. Un dato simile, semmai, dovrebbe porre tutt’altre domande, di ben più difficile risposta. Come si giustifica un consenso così ampio e socialmente trasversale in un Paese attanagliato da una strisciante crisi economica? Come può passare inosservato, alla stragrande maggioranza dei cittadini, il fatto che solo il 10% della popolazione detenga circa l’87% della ricchezza? Sono queste le domande che l’Occidente deve iniziare a porsi, quantomeno se si vuole evitare un’ulteriore escalation della crisi con Mosca. Le sanzioni imposte dalla comunità internazionale alla Russia non hanno minimamente scalfito il consenso interno del Cremlino, anzi sembra che l’abbiano rafforzato. Ciò non vuol dire rinunciare a battere su questa strada, perché di certo l’intento delle sanzioni non è quello di fomentare disordine interni alla Federazione. Se così fosse, si sarebbe compiuto, dati alla mano, un clamoroso autogol. Piuttosto non si dovrebbe rinunciare al dialogo, nonostante permangano difficoltà di varia natura dovute non solo alla non volontà occidentale. Parte delle riforme economiche promesse dal Presidente si attueranno. Quella parte utile ad innalzare un po’ lo standard di vita dei cittadini, ma non abbastanza da intaccare i privilegi di quella parte di élite oligarchica e securitaria (i siloviki) che sostiene l’establishment. Si cambierà il necessario, per far sì che lo status quo permanga. Riformare si, ma non troppo. È quindi realmente plausibile aspettarsi dei lievi tagli alla difesa al fine di aumentare il budget per salute, istruzione e infrastrutture. L’unica incognita dovuta alla stabilità interna del Paese sembra essere quella riguardante la successione a Putin. Finora lo stesso Putin non ha ancora designato un suo erede, e nessuna personalità all’interno del suo entourage sembra che stia compiendo passi in questa direzione. È questa però, probabilmente, la più grande preoccupazione riguardante l’ordine interno. Sopravviverà un sistema autoritario forgiato ad immagine e somiglianza del leader che l’ha personalizzato sin dalla sua nascita quando questo verrà meno? O Putin, spinto anche da questa preoccupazione, deciderà per un colpo di mano istituzionale, prendendo spunto dal collega Xi Jinping, e troverà il modo per rimanere in sella anche dopo il 2024?

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Fig. 2 – Alexei Navalny commenta i risultati delle elezioni presidenziali, 18 marzo 2018. L’esclusione di Navalny dalla competizione è stata una delle poche controversie di una campagna elettorale a tratti noiosa e prevedibile

SITUAZIONE ESTERNA

Il forte consenso interno, molto probabilmente, terrà anche a freno la tentazione di Putin di ulteriori fughe in avanti sulla falsa riga di Siria e Ucraina. Questo non vuol dire che l’annessione della Crimea e l’intervento in Siria siano stati ideati al solo scopo di distogliere l’opinione pubblica dai problemi interni. Ma chiaramente non può essere neanche una casualità il fatto che l’intervento in Crimea sia coinciso con il minimo storico di consenso, da parte della popolazione, per l’inquilino del Cremlino. C’è da aggiungere, inoltre, che al momento sembrano mancare proprio gli spazi di manovra per eventuali mosse di questo tipo. Allo stato attuale delle cose non esistono alleati russi posti in minaccia esistenziale e i confini del Paese, Corea del Nord e Ucraina esclusi, non attraversano particolari periodi di crisi o instabilità. I forti attriti con la comunità internazionale dovrebbero, inoltre, spingere Putin a consolidare sempre di più il forte legame tra Cina e Russia e spingere quest’ultima a perseguire ulteriormente nel suo obiettivo di rendersi ponte tra le due estremità del continente eurasiatico. Vedremo se quella che, fino ad ora, è stata una forte collaborazione economica e diplomatica si accentuerà ulteriormente anche sul piano militare. In sostanza, mentre il precedente mandato è stato quello del grande ritorno della Russia sullo scacchiere internazionale, questo dovrebbe essere quello del suo consolidamento internazionale. I prossimi sviluppi in teatri di notevole interesse strategico per la Russia, come Libia, Afghanistan, Siria, Yemen, Ucraina e Corea del Nord dimostreranno se i panni riacquisiti da Global Player stanno ancora bene al Cremlino. Putin riuscirà a far recitare alla Russia il ruolo di battitore libero nel gioco a tre con USA e Cina? O dovrà ancorarsi definitivamente al carro cinese e giocare un ruolo da comprimaria? Domande che probabilmente troveranno una risposta solo alla fine di questo mandato presidenziale.

Valerio Mazzoni

 

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Con questa vittoria e con i conseguenti sei anni di presidenza, Putin diventa il secondo uomo, solo dietro a Josef Stalin, ad aver governato più a lunga nella storia della Russia.[/box]

Foto di copertina di Abode of Chaos Licenza: Attribution License

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Valerio Mazzoni
Valerio Mazzoni

Nato, cresciuto e residente a Roma classe 1989, laureando in Scienze politiche per le Relazioni Internazionali presso l’Università Roma Tre. Formato accademicamente da nottate passate a giocare ad Age of Empire e Risiko, nutre da sempre una smodata passione per la storia e per le relazioni internazionali, con particolare interesse per il fondamentalismo islamico, i servizi segreti e la loro controversa storia. Per il Caffè Geopolitico si occupa della Russia e delle ex Repubbliche Sovietiche. I viaggi e la Lazio sono le sue passioni più grandi, anche se non disdegna rapide incursioni nel mondo NBA.

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