Caffè Lungo – A fine luglio la chiesa cattolica di Komanda, nella Repubblica Democratica del Congo, è stata attaccata dai jihadisti delle Allied Democratic Forces (ADF), appartenenti al ramo centrafricano dell’ISIS.
1. IL SANGUINOSO ATTENTATO ALLA CHIESA DI KOMANDA
La situazione nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) rimane catastrofica, nonostante il recente accordo mediato dall’Amministrazione Trump col Ruanda. Gli scontri con l’M23 continuano senza sosta nelle province orientali del Paese, ma il Governo centrale si trova a occuparsi in contemporanea anche del terrorismo islamico. Nella notte tra il 27 e il 28 luglio un commando di ribelli delle Allied Democratic Forces (ADF) ha attaccato la chiesa cristiana di Komanda (Ituri), dove era in corso una funzione religiosa. I terroristi, armati di machete e armi da fuoco, avrebbero ucciso decine di fedeli e, successivamente, avrebbero incendiato diverse abitazioni e negozi. L’attentato, il cui bilancio è stimato in almeno una quarantina di vittime, è solamente il più recente di una serie di crimini da parte delle ADF negli ultimi anni, ed è stato rivendicato dai canali di propaganda dell’ISIS.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Un’immagine della strada RN4, che unisce Beni, nel Nord Kivu, e Komanda, nell’Ituri, un collegamento spesso preso di mira dalle ADF
2. L’EVOLUZIONE STORICA DELLE ADF: DA INSORTI POLITICI…
Il gruppo ADF è comparso nel Congo orientale, ma la ragioni che hanno portato alla sua creazione sono da ricercarsi nell’opposizione armata al Presidente ugandese Yoweri Museveni. La città di frontiera di Bunia, nel 1995, era stato il punto di ritrovo dei sopravvissuti dell’Uganda Muslim Freedom Fighters (UMFF), un movimento armato che aveva l’obiettivo di rovesciare il Governo ugandese, al quale non veniva riconosciuta l’autorità sulla minoranza musulmana cui appartenevano i suoi membri. Quel che restava dell’UMFF si è riorganizzato sotto la leadership di Jamil Mukulu, prendendo la denominazione attuale. Sempre Bunia è stato il teatro dell’alleanza con un’altra milizia anti-governativa ugandese, il National Army for the Liberation of Uganda (NALU), passata ben presto in secondo piano.
Inizialmente supportate dal dittatore congolese Mobutu, dopo la sua caduta si sono inimicate il successore Joseph Kabila. Buona parte della storia delle ADF-NALU è caratterizzata dall’alternarsi di azioni militari alla frontiera congolese-ugandese e di massicce controffensive degli eserciti di Kampala e Kinshasa, talvolta con il coinvolgimento delle missioni delle Nazioni Unite MONUC/MONUSCO. Il movimento è così giunto per più di una volta a un punto critico, senza mai essere sconfitto del tutto.
Fig. 2 – Militari ugandesi e congolesi in pattugliamento nell’ambito di un’operazione congiunta contro le ADF, Nord Kivu, dicembre 2024
3. …A TERRORISTI ISLAMICI
È importante notare come, nella prima fase della propria esistenza le ADF non fossero un gruppo terroristico, ma un movimento di insorti con un obiettivo politico ben preciso. I semi del cambiamento furono piantati tra il 2014 e il 2015, quando l’operazione congolese Sukola I e l’arresto di Mukulu in Tanzania inflissero un duro colpo alle fondamenta delle ADF. Il passaggio al comando di Musa Seka Baluku segna un cambiamento sostanziale nella direzione strategica: la radicalizzazione del fattore religioso, e quindi un tentativo di allineamento con la rete del terrorismo islamico, tanto sul fronte propagandistico, quanto su quello operativo (seppur con delle peculiarità). Già nel 2017 la guida di Baluku sembrava aver portato frutto: dapprima ingenti flussi di finanziamenti (principale obiettivo per la sopravvivenza della milizia), poi il riconoscimento delle ADF come ramo nell’Africa Centrale dello Stato islamico (ISCAP, che inizialmente comprendeva anche l’al-Shabaab mozambicano) da parte del califfo Al-Baghdadi nel 2018. Il primo attentato delle ADF rivendicato dall’ISIS risale all’aprile del 2019.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – L’ex capo delle ADF, Jamil Mukulu, durante la prima udienza di fronte all’Alta Corte dell’Uganda, Kampala, 14 maggio 2018
4. PREVISIONI: LE POSSIBILI CONTROMISURE DELLA RDC E A LIVELLO INTERNAZIONALE
Oggi l’ISIS come entità territoriale non esiste più. La sua immagine passa dalle manifestazioni di forza degli affiliati, proiettandosi in contesti anche molto distanti dal Medio Oriente. Le ADF, grazie ai contributi economici ricevuti dalla intricata rete finanziaria di cui si serve lo Stato Islamico, contribuiscono in questo modo al mantenimento del “prestigio” del Califfato che fu. Non è un caso se dati del Dipartimento di Stato americano riferiti al 2023 evidenziano come il gruppo terroristico congolese sia tra i più attivi e letali al mondo.La RDC, inoltre, si posiziona dodicesima in assoluto per il livello più alto del Global Terrorist Index 2025.
Il denaro sporco, assieme all’importazione di miliziani dai Paesi come Kenya, Tanzania e Burundi, sono alla base della forza dell’ISCAP-DRC. Push factors dell’exploit terroristico nel Paese sono il debolissimo controllo statuale di Kinshasa a est e la lotta con il centinaio di gruppi armati nell’area.
Il Presidente Felix Tshisekedi, in carica dal 2018, ha ricercato un aiuto diretto dall’esterno, in particolare dagli Stati Uniti, cercando di strumentalizzare l’affiliazione delle ADF con l’ISIS: nel giugno del 2019 la RDC è entrata ufficialmente nella Coalizione internazionale anti-ISIS. Conseguentemente, forze speciali americane e truppe regolari congolesi si sono impegnate per sconfiggere il gruppo terroristico. Tuttavia, l’alto tributo di sangue non è bastato per ottenere la vittoria definitiva: ancora oggi gli attentati continuano a dilagare e con ogni probabilità la situazione rimarrà la stessa nel breve periodo.
Probabilmente, anziché focalizzarsi esclusivamente sulla dimensione militare, sarebbe più efficace un approccio ibrido: provare a tagliare i canali di finanziamento provenienti dall’ISIS; cooperare coi Paesi di origine dei foreign fighters per un controllo capillare delle frontiere e limitare l’arruolamento di nuove reclute. In questo modo si colpirebbero i due punti di forza dell’ISCAP-DRC e si riuscirebbe a contenerne di molto il potenziale.
Antonio Magnano
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