In 3 Sorsi – Domenica 21 settembre la Guinea andrà al voto per approvare la nuova Costituzione. La giunta si prepara a legittimare il proprio potere attraverso una transizione pilotata, con il tacito assenso della comunità internazionale, interessata più alla stabilità che alla democrazia.
1. UNA NUOVA COSTITUZIONE PER LA GUINEA DEI MILITARI
Il Consiglio Nazionale di Transizione, guidato dal generale Mamady Doumbouya, aveva pubblicato un anno fa la bozza del testo costituzionale, come primo passo della transizione democratica dopo il golpe del settembre 2021. Programmato per la fine del 2024, il referendum è stato più volte rinviato – senza grandi proteste da parte dell’ECOWAS e degli attori internazionali – e pone le basi istituzionali per le elezioni di dicembre.
In seguito ad alcune riscritture, il testo sottoposto al voto popolare prevede un mandato presidenziale settennale, rinnovabile una sola volta (art. 44), e un sistema bicamerale, con l’introduzione del Senato. Viene quindi ripristinato il limite di mandati modificato dal Presidente deposto Alpha Condé nel 2020. D’altra parte, l’aumento della durata del mandato da cinque a sette anni rafforza ulteriormente la figura del Presidente, cui spetta anche la nomina di un terzo dei senatori (art. 110). Inoltre, viene posto un limite d’età per la candidatura presidenziale (art. 45): è necessario avere almeno 40 anni (proprio l’età di Doumbouya) e non più di 80 (il che esclude Condé, il cui partito è stato comunque sospeso).
La giunta ha tentato di promuovere la partecipazione popolare, attivando il mese scorso una piattaforma online con cui i cittadini possono scoprire la nuova Costituzione e informarsi attraverso un chat-bot. Tuttavia, l’iniziativa sembra rispondere più ad una strategia di maquillage che ad un sincero afflato democratico. Negli ultimi anni, infatti, la repressione è aumentata, con divieti alle manifestazioni, messa al bando di numerosi partiti e sparizioni di giornalisti e membri dell’opposizione. Non sono mancate anche purghe interne alla giunta e ristrutturazioni dell’Esercito volte a favorire elementi fedeli a Doumbouya.
Fig. 1 – Un cartellone del Presidente della Guinea, Mamady Doumbouya, sullo sfondo di un corteo a favore del “sì” nel referendum costituzionale previsto per domenica 21 settembre, Conakry, 18 settembre 2025
2. L’INCOGNITA DELLA CANDIDATURA DI DOUMBOUYA
La Carta della Transizione, adottata poco dopo il golpe, stabilisce che il Presidente e gli altri membri della giunta non possono candidarsi “né alle elezioni nazionali né alle elezioni locali che saranno organizzate per marcare la fine della Transizione”, specificando che questa disposizione “non è suscettibile di alcuna revisione”. Tuttavia, non se ne trova traccia nella nuova Costituzione, mentre Doumbouya non si è ancora espresso sulla possibilità di una sua candidatura, ritenuta altamente probabile.
La storia politica della Guinea, uno dei primi Paesi africani ad ottenere l’indipendenza, è caratterizzata da una certa tendenza autoritaria dei Presidenti che si sono succeduti, spesso attraverso colpi di Stato o elezioni contestate. Dal “padre della patria” Sekou Touré ad Alpha Condé, passando per i militari Lassana Conté e Moussa Camara: nessuno ha saputo resistere alla tentazione di prolungare indebitamente la propria permanenza al potere.
Il golpe del 2021 era stato motivato proprio dalla deriva dispotica e corrotta dell’allora Presidente Alpha Condé, che aveva modificato la vecchia Costituzione per potersi candidare ad un terzo mandato. L’ex Presidente, eletto nel 2010 in un clima opaco e teso, veniva anche accusato di favorire interessi stranieri, in particolare francesi. In questo senso, ci sono analogie con i golpe saheliani: militari che prendono il potere con largo supporto popolare, avvalendosi di retoriche antimperialiste e per certi versi “populiste”, contro élites politiche considerate inadeguate e corrotte.
Tuttavia, malgrado l’affinità con le giunte di Mali, Burkina Faso e Niger, la Guinea non ha adottato una postura altrettanto radicale. Pur sospesa dall’ECOWAS (e dall’Unione Africana), Conakry non ha troncato i legami con l’organizzazione regionale e, pur criticando il neocolonialismo, non ha rotto con la Francia, ottenendo nel 2024 la reintegrazione nell’Organizzazione Internazionale della Francofonia (da cui era stata sospesa dopo il golpe).
Fig. 2 – Un altro cartellone elettorale per il “sì” al referendum, Conagkry, 3 settembre 2025
3. CHI È SENZA GOLPE SCAGLI LA PRIMA PIETRA
La vicenda guineana assomiglia più a quella del Gabon. Nel 2023 i militari gabonesi hanno preso il potere con un colpo di Stato e il Paese è stato sospeso dall’Unione Africana. Poi la giunta ha avviato una “transizione democratica”, facendo approvare una nuova Costituzione, è stato eletto Presidente il generale golpista Brice Oligui Nguema e l’Unione Africana ha rimosso la sospensione. La “transizione” guineana sembra avviata verso un simile esito.
I colpi di Stato che dal 2020 si sono susseguiti nell’Africa subsahariana francofona vengono spesso trattati come un fenomeno unico. Tuttavia, si dovrebbe almeno distinguere tra la dinamica dei golpe in Mali, Burkina e Niger (Paesi saheliani, senza risorse, in difficoltà di fronte all’avanzata di ribelli e jihadisti) e quella dei colpi di Stato in Guinea e Gabon (Paesi sul mare, ricchi di risorse, i cui profitti sono iniquamente distribuiti da amministrazioni corrotte e predatorie).
I militari sono saliti al potere con le medesime modalità e con proclami simili, ma hanno poi imboccato strade diverse: le giunte del Sahel hanno optato per la rottura totale con il sistema regionale e l’ex-potenza coloniale; le giunte di Gabon e Guinea invece hanno scelto una linea prudente, gestendo dall’alto una transizione al governo civile che assicuri la loro permanenza al potere e tuteli gli interessi esterni, ottenendo l’approvazione di fatto degli attori internazionali, interessati più alla bauxite guineana e al petrolio gabonese che alla democrazia. Il rischio maggiore è che il modello “vincente” di Guinea e Gabon possa ispirare militari di altri Paesi a seguire le orme di Doumbouya e Nguema.
Giovanni Tosi
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