Analisi – Dopo decenni di conflitti e incertezze politiche, la Somalia continua a doversi confrontare con la complessa sfida del federalismo. Le spinte autonomiste e, in alcuni casi, indipendentiste di alcuni Stati federati stanno mettendo sotto pressione gli equilibri del Paese, costringendo il Governo di Mogadiscio a cercare una sintesi che garantisca coesione nazionale e un assetto istituzionale piĂą solido.
LE RADICI DEL FEDERALISMO
Nel 1950, in un curioso rovesciamento della storia, le Nazioni Unite affidarono all’Italia sconfitta in guerra la gestione della Somalia come amministrazione fiduciaria per dieci anni. Nacque così l’AFIS, l’Amministrazione Fiduciaria italiana della Somalia, con il compito di preparare il Paese all’indipendenza. In quel decennio si gettarono le basi delle prime Istituzioni locali sulle quali, in linea con il mandato ONU, si doveva costruire e organizzare un Paese unito non più con un concetto tribale, ma di nazione. Dopo che la Somalia divenne indipendente nel 1960 fu perseguita una politica unitaria che, tuttavia, dovette confrontarsi con il riemergere di un forte sentimento regionale. Con l’ascesa al potere del Generale Siad Barre nel 1969, in Somalia fu imposta un’impronta socialista ispirata al modello sovietico, nella quale l’esercito rappresentava un forte collante nazionale. Il crollo del regime di Barre, diventato sempre più dispotico e accentratore, aprì nel 1991 la strada alla guerra civile e alla disgregazione del Paese, caratterizzata da anni di instabilità politica e di sostanziale assenza di qualsivoglia tipo di Istituzioni. Solo nel 2000 fu possibile avviare un Governo Nazionale di Transizione e, successivamente, un Governo Federale di Transizione: entrambi organismi deboli, basati nella città di Baidoa, incapaci di garantire l’esercizio di un’autorità effettiva, ma che comunque posero le basi per una futura ricostruzione. Finalmente nel 2012 il Governo poté insediarsi a Mogadiscio e nacque così la Repubblica Federale di Somalia, sancita dall’adozione della Costituzione provvisoria e dal tentativo di costruire un equilibrio tra potere centrale e autonomie regionali. Dal 2012, tuttavia, non è stato ancora raggiunto l’obiettivo di emendare la Costituzione provvisoria, laddove le infinite discussioni e consultazioni politiche non sono riuscite a trovare un punto di equilibrio, principalmente sulla struttura e le prerogative federali.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Mogadiscio nel 1960, l’anno dell’indipendenza
IL MODELLO FEDERALE NEL SOMALILAND E NEL PUNTLAND
Nell’attuale assetto istituzionale, la Somalia ha cercato di adattare la complessa e instabile realtà politica e sociale in un sistema federale per quanto possibile coerente, fondato sulla condivisione del potere tra centro e periferia. Tuttavia, la Costituzione provvisoria non ha definito in modo chiaro l’articolazione e le prerogative dei Governi locali, lasciando agli Stati federati il compito di strutturare le proprie amministrazioni regionali e distrettuali. Questa ambiguità ha prodotto un federalismo a più velocità , in cui ogni Stato ha intrapreso percorsi differenti nella costruzione delle proprie Istituzioni. Per coordinare il processo, nel 2016 è stato introdotto il Wadajir National Framework, un piano volto a uniformare la formazione dei consigli locali e a promuovere la partecipazione delle comunità . Ad oggi, il territorio somalo è suddiviso in sei entità principali: i cinque Stati federati riconosciuti – Puntland, Galmudug, Hirshabelle, Somalia Sud-Occidentale e Jubaland – e il Somaliland, che si è autoproclamato indipendente, ma non è riconosciuto a livello internazionale. A questi si è aggiunto nei mesi scorsi il nuovo Stato del Nord-Est. Il complesso scenario, caratterizzato dalle costanti tensioni claniche nelle quali la Somalia vive ormai da anni, dalla minaccia del radicalismo islamico di Al-Shabaab e dalla fragilità delle Istituzioni, ha spinto alcune regioni a intraprendere percorsi di autonomia che hanno assunto varie gradazioni di distanziamento da Mogadiscio, fino ad arrivare a vere e proprie rivendicazioni separatiste. Tra queste, Somaliland e Puntland rappresentano i casi più emblematici del complesso equilibrio tra autogoverno e unità nazionale. Nel Nord-Ovest, il Somaliland ha proclamato la propria indipendenza nel 1991, dopo la drammatica caduta di Barre e le violenze subite durante la feroce repressione militare iniziata alla fine degli anni Ottanta. Con la dissoluzione del regime, nel 1991, il Governo centrale della Somalia, intimava a tutte le regioni di passare i poteri legislativi e militari ai vari fronti di liberazione. Le etnie del nord si erano riunite, nel maggio 1991, a Burao, dove la tribù degli Isaaq, la più equipaggiata militarmente, aveva costretto le altre tribù del Somaliland (in prevalenza Darood) ad accettare la proclamazione di indipendenza della Somalia e l’inizio di una pulizia etnica di altri gruppi clanici che da anni convivevano con loro. Le tribù Darood passarono dalla dittatura di Barre alla “dittatura” degli Isaaq, circostanza peraltro alla base dell’attuale divisione con la creazione del nuovo Stato del Nord-Est. Da allora, con Hargeisa capitale, il Somaliland ha costruito un sistema politico autonomo fondato tuttavia su un equilibrio clanico precario, ma caratterizzato comunque da un sistema di rappresentanza democratica. Pur non riconosciuto a livello internazionale, ha consolidato una relativa stabilità e Istituzioni funzionanti, distinguendosi dal resto della Somalia come uno Stato de facto autosufficiente. Nel Nord-Est, invece, il Puntland ha percorso una via diversa, seguendo dal 1998 la strada che si potrebbe definire del “nazionalismo regionale”, caratterizzato dalla predominanza di un unico ceppo tribale, con la presenza di sottoclan uniti in una convivenza pacifica che ha consentito a quella parte di Somalia di non sprofondare nei conflitti civili che hanno devastato soprattutto il Sud del Paese e Mogadiscio. A differenza del Somaliland, non ha mai rivendicato l’indipendenza, ma è rimasto parte integrante di una Somalia federale. Pur caratterizzato da relativa stabilità , il Puntland ha attraversato fasi di tensione armata ed è stato al centro delle cronache internazionali per gli attacchi di pirateria lungo le rotte commerciali dell’Oceano Indiano. Oggi ospita un consistente numero di sfollati provenienti dal Sud della Somalia, ma anche dalle regioni etiopi di etnia somala (Oromo), e continua a giocare un ruolo cruciale negli equilibri politici del Paese, sebbene nel 2024 abbia annunciato l’intenzione di operare come Stato autonomo di fatto, in segno di protesta contro le riforme costituzionali promosse da Mogadiscio.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Una donna al voto durante le elezioni presidenziali del Somaliland, Hargeisa, 13 novembre 2024
JUBBALAND: UN BANCO DI PROVA PER MOGADISCO
Un’ulteriore sfida per l’unità statale è rappresentata dalla situazione politica del Jubbaland, da tempo in rotta di collisione con il Governo federale, in un quadro che negli ultimi mesi ha fatto temere addirittura un confronto armato tra forze federali e forze locali. Nonostante i tentativi di mediazione promossi dall’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD), le tensioni legate alla distribuzione delle risorse, alla rappresentanza clanica e al controllo del territorio non sono mai state risolte. Nel 2024, i rapporti tra il Governo federale e la leadership di Ahmed Madobe si sono ulteriormente deteriorati dopo il fallimento dei negoziati con il Presidente Hassan Sheikh Mohamud nell’ambito del National Consultative Council, piattaforma di dialogo immaginata per discutere e preparare la nuova Costituzione, trasformatasi in arena politica inutilizzabile a causa dei continui boicottaggi incrociati. Venendo meno a un accordo che prevedeva la proroga di due anni dei mandati in scadenza di alcuni Presidenti degli Stati federati per dare tempo per organizzare le elezioni passando dal metodo tradizionale indiretto – con un ruolo centrale dei capi clan – a un sistema elettorale diretto a suffragio universale, il Presidente del Jubbaland ha ottenuto nell’ottobre del 2024 il terzo mandato. La risposta di Mogadiscio è stata di non riconoscere la sua elezione – sancita da una settantina di “anziani” – e di spiccare un mandato di arresto. Per superare lo stallo, il Governo centrale ha avviato un piano per creare e riconoscere una nuova Amministrazione parallela con cui collaborare, soprattutto per affrontare e risolvere i problemi di sicurezza in una regione considerata strategica per il controllo del Sud e osservata con legittimo interesse e preoccupazione anche dai confinanti Kenya ed Etiopia.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Il Presidente dell’Amministrazione del Jubbaland, Ahmed Mohamed Islam
UNA SOMALIA SOSPESA TRA DIVISIONI E INCERTEZZE
Alle tensioni che attraversano le regioni sopracitate, si aggiunge oggi una nuova fonte di incertezza politica: la recente creazione del nuovo Stato federale nel Nord-Est della Somalia, che comprende i distretti di Sool, Sanaag e Ayn, da anni contesi tra Somaliland e Puntland. Si tratta di aree che già godevano di una autonomia di fatto e che a fronte dell’indipendentismo del Somaliland e dell’autonomismo sempre più spinto del Puntland hanno scelto l’opzione “unionista” con Mogadiscio. Questo sviluppo rischia però di riaccendere le dispute territoriali e accentuare la frammentazione del Paese. In assenza di un processo realmente condiviso e inclusivo, inoltre, il pericolo è complicare ulteriormente la già instabile architettura federale. A questo scenario si sommano le crescenti tensioni tra il Governo federale e gli Stati membri sulla gestione del processo elettorale e sul passaggio da un sistema indiretto a uno a suffragio universale, peraltro già in uso in Somaliland e Puntland. Mentre il Governo federale punta a consolidare la propria autorità e a introdurre il suffragio universale diretto come tappa pragmatica fondamentale della propria piattaforma politica, molte Amministrazioni regionali temono che la riforma possa ridurre la loro autonomia – e il loro potere, – compromettendone equilibri clanici alla base delle strutture politiche esistenti. Alle preoccupazioni politiche si aggiungono poi accuse di irregolarità e di accentramento del potere, tra nomine controverse, presunte violazioni procedurali e pratiche di clientelismo, polemiche che sembrano riflettere maggiormente agende e ambizioni politiche personali, ma che finiscono per indebolire la fiducia nelle Istituzioni. In vista delle prossime elezioni questo clima rischia di alimentare ulteriormente la frammentazione interna, rendendo ancora più difficile costruire un percorso condiviso verso la stabilità e la coesione nazionale.
Livia Daccò Coppi
“Queuing for registration in the heat of the sun” by DFID – UK Department for International Development is licensed under CC BY


