Analisi – Il College elettrotecnico di Zaporizhzhia è un ottimo esempio della resistenza e del coraggio degli ucraini di fronte all’aggressione russa. Christian Eccher ha visitato l’istituto e parlato con il suo direttore, Ruslan Kosheljuk.
IL COLLEGE ELETROTECNICO DI ZAPORIZHZHIA
Zaporizhzhia si snoda come un serpente lungo i 10 chilometri del prospetto Soborny che collega la stazione ferroviaria al ponte sul fiume Dnipro. A metà del prospetto, gli edifici in stile stalinista che si susseguono ininterrottamente si aprono a uno spiazzo, piccolo ma arioso, graziosamente contornato da alti ippocastani e chiuso in fondo da un edificio in stile neoclassico, che ospita una scuola superiore statale, il College elettrotecnico di Zaporizhzhia. Il college può essere paragonato a una scuola superiore europea; il sistema scolastico ucraino, però, è diverso da quello occidentale (anche se è in corso una riforma per assimilarlo a quello dell’UE), per cui il college non è solo una scuola frequentata da chi ha finito le elementari e le medie (che in Ucraina sono un’unica scuola), ma offre alcuni indirizzi pre-universitari dedicati a studenti che abbiano già una qualche formazione superiore. Senza addentrarci troppo nei meandri del sistema scolastico ucraino (che, ripetiamo, presto verrà semplificato), possiamo affermare che il college offre una svariata serie di indirizzi legati, ovviamente, a materie scientifiche.

Fig. 1 – L’aula rifugio dove si recano gli studenti quando suonano gli allarmi antiaerei | Foto: Christian Eccher
UN ESEMPIO DI RESISTENZA
Affascinato dalla bellezza dell’edificio e incuriosito dal sistema scolastico ucraino, ero entrato nel College durante il mio primo viaggio a Zaporizhzhia nel settembre scorso e per caso avevo conosciuto il direttore della scuola, Ruslan Kosheljuk, con cui ho avuto una breve ma intensa chiacchierata. Ho così deciso di tornare a Zaporizhzhia appositamente per visitare il College, che non è soltanto una scuola, ma un valido e universale esempio di resistenza. Zaporizhzhia, infatti, si trova a una ventina di chilometri dal fronte ed è soggetta a continui attacchi da parte dell’esercito russo. Ogni notte, e spesso anche di giorno, la città è colpita da droni Shahed e da missili di vario genere. Sembrerebbe impossibile far scuola in queste condizioni e invece il College funziona normalmente.
Ruslan, il direttore, giovane, vestito elegantemente e con una barba corta e curata, mi accoglie con estrema cordialità all’ingresso del College. Andiamo nel suo studio, al secondo piano dell’edificio. Ruslan è originario di una zona dell’Ucraina ora occupata dai russi, ma ha studiato a Zaporizhzhia, al Politecnico, il quale collabora fianco a fianco con il College; chi si diploma in questa scuola, infatti, spesso sceglie proprio il politecnico per continuare gli studi. “I miei genitori mi hanno raggiunto a Zaporizhzhia perché non volevano vivere sotto occupazione“. Abita con la moglie e la figlia piccola. Gli chiedo se abbia mai pensato di andarsene. “Sì, e per un periodo mi sono anche trasferito a Kyiv con la famiglia – risponde Ruslan, – quando Zaporizhzhia era oggetto di continui bombardamenti (a inizio guerra, n.d.R.). Poi però è prevalso il desiderio di tornare. Io, in quanto maschio, non avrei comunque potuto lasciare il Paese e la mia famiglia non voleva andare profuga chissà dove. Abbiamo deciso di rimanere uniti: l’unità è la chiave fondamentale per resistere in guerra. Una famiglia unita e una città unita fanno anche dell’Ucraina un Paese unito”. Gli chiedo come sia lavorare in un continuo stato di allarme, con le bombe che cadono quotidianamente: “Sai, – mi dice, – si resiste ogni giorno. Domani potrei arrivare al lavoro e non trovare più la scuola, oppure potrei non esserci più io. Si va avanti. È una forma di resistenza”. Ruslan è fiero che lo Stato ucraino gli abbia affidato un compito così delicato come quello di dirigere il College. Dopo due anni di lezioni online, Ruslan e i professori hanno deciso di adottare un sistema misto e di lavorare a settimane alterne in presenza (non ci possono essere tutti gli studenti contemporaneamente, diventerebbe difficile evacuare la scuola durante gli attacchi aerei). “Anche questa è resistenza – sostiene Ruslan, – fare lezione dal vivo è un modo per trattenere qui gli studenti, altrimenti se ne vanno. Online si può studiare ovunque. Per non parlare poi della gioia di stare insieme! Il più grande riconoscimento per il mio lavoro è vedere, durante l’intervallo, gli occhi degli allievi che brillano mentre parlano e giocano fra loro. Questa è una generazione che ha conosciuto prima l’isolamento a causa del Covid, poi quello dovuto alla guerra. È importantissimo tornare alla socialità dal vivo e noi l’abbiamo fatto. Siamo qui, tutti insieme, e questa è una motivazione anche per chi sta al fronte”. “In che senso?”, chiedo stupito: “I soldati che tornano in città in licenza vedono i ragazzi, spesso i loro figli e i loro nipoti, che vanno a scuola. Vedono la normalità della vita quotidiana e capiscono perché combattono e difendono l’Ucraina. Per quale ragione dovrebbero continuamente rischiare la morte al fronte se Zaporizhzhia fosse deserta e se ce ne fossimo andati tutti?”.
Insieme, andiamo a visitare la scuola: gli studenti e le studentesse sono in questo momento a lezione, nel corpus principale. I corridoi sono freddi: Zaporizhzhia, a causa dei continui attacchi russi alle infrastrutture energetiche, spesso rimane senza riscaldamento. Le aule però sono calde, la direzione della scuola si impegna affinché i ragazzi possano studiare in condizioni normali. Il College è costituito da più edifici: oltre al corpus principale, ci sono anche un’ala adibita ai laboratori e una casa dello studente. Al centro, un ampio parco, con gli ippocastani e un campo da gioco, che verrà ultimato a primavera. “Abbiamo notato che i ragazzi amavano giocare a pallone su una piazzola di asfalto al centro del parco. Grazie a una ruspa che ci hanno regalato gli americani di USAid, abbiamo tolto l’asfalto e l’abbiamo sostituito con della sabbia perché gli studenti non si facciano male. Abbiamo molti altri progetti per questo parco e per la scuola, vorremmo fare molto, molto di più, ma siamo in guerra e i soldi sono quello che sono…” La ruspa è ora parcheggiata vicino al grande generatore elettrico, un altro dono di USAid, che garantisce corrente alla scuola quando viene a mancare quella distribuita dallo Stato. Il secondo corpus, quello dei laboratori, ha ancora le assi di compensato alle finestre, a causa di un missile caduto a pochi metri dalla scuola nel 2022. Da un’aula escono festosi dei bambini; rivolgo uno sguardo interrogativo a Ruslan che sorride e dice: “Questi bambini sono di una scuola elementare in esilio: la loro città è sotto occupazione russa e noi li ospitiamo. Quando i nostri ragazzi non hanno lezione, vengono questi bambini con i loro maestri. Sono scappati tutti insieme per non rimanere sotto i russi e fanno scuola qui da noi”. Molti di questi bambini hanno storie difficili alle spalle e le loro famiglie all’inizio sono state ospitate nella casa dello studente del College. Un altro modo per evitare che la gente se ne vada e per continuare a vivere e a lavorare insieme. Quello che vorrebbero i russi è proprio piegare il popolo ucraino, costringerlo a lasciare non solo le proprie case, ma anche distruggere ogni tipo di relazione sociale. Dove non c’è socialità, non ci sono neppure resistenza e comunità. Senza la comunità, la guerra è persa.

Fig. 2 – Un murales fatto dagli studenti nell’aula rifugio | Foto: Christian Eccher
LE SIRENE
Come spesso accade a Zaporizhzhia, durante la mia visita cominciano a urlare le sirene antiaeree. Gli studenti, insieme ai professori, scendono ordinatamente nel rifugio sotterraneo, attrezzatissimo. Ci sono banchi, sedie, un proiettore e i ragazzi hanno provveduto a decorare le pareti con murales di qualità pregiata. In una zona del rifugio ci sono anche i letti: di notte, gli abitanti del quartiere possono riposare qui invece di tremare a casa e sperare che il drone non li colpisca. Chiedo a Ruslan come reagiscono i genitori dei ragazzi in caso di attacco, se siano in apprensione e se abbiano mai pensato di non mandare più i ragazzi a scuola. “Al contrario – mi dice convinto, – i genitori sono tranquilli perché sanno che qui i loro figli vengono seguiti e vanno volentieri nel rifugio. Sai come sono gli adolescenti… Quando sono a casa non ascoltano i genitori, rimangono negli appartamenti e non vanno nei rifugi. Qui invece scendono subito giù insieme ai compagni”. Nel rifugio si svolgono le più svariate attività; si studia, sì, ma si gioca anche, si guardano film e qualcuno dà anche sfogo alla propria vena artistica e dipinge o crea opere d’arte, come le sculture che vedo all’ingresso. La scuola offre anche assistenza psicologica: è sempre possibile parlare con uno psicologo e i ragazzi si rivolgono a lui ogni volta che ne sentano il bisogno. Le lezioni sono dal vivo, ma contemporaneamente online, perché può accadere che, dopo un attacco russo, qualcuno abbia paura di andare a scuola e preferisca rimanere a casa. Al College, nessuno deve rimanere indietro.

Fig. 3 – L’ala del Politecnico danneggiata dall’attacco russo con gli Shahed | Foto: Christian Eccher
IL POLITECNICO
Con Ruslan vado anche al Politecnico, dove mi accoglie il prorettore, il professor Sergii Shilo. Mi mostra i punti in cui l’estate scorsa sono caduti due Shahed russi. Il rettore ha dato ordine di ristrutturare subito le parti colpite, “perché gli studenti devono sentire che noi ci preoccupiamo; la ristrutturazione, che magari di per sé non è necessaria perché ha danneggiato solo poche aule, è un segno. Se lasciassimo le rovine, la gente perderebbe fiducia nell’Ucraina; no, noi siamo qui e ci preoccupiamo dei nostri studenti e dell’Università”, dice il professor Shilo. Anche il Politecnico lavora in parte online e in parte in presenza. Dato che le materie richiedono una parte pratica, l’Università dà la possibilità di svolgere la pratica stessa a Kyiv o all’estero, grazie ad accordi ad hoc con aziende pubbliche e private.
Insieme a Ruslan, lascio l’Università per il College, che si trova a qualche chilometro da qui. Ruslan torna al lavoro. Spesso rimane fino a tarda sera in ufficio insieme ai collaboratori e ai professori. Organizzano le lezioni e le attività future per gli studenti. “D’altra parte – mi dice con un saggio sorriso, – se non diamo loro stimoli, i ragazzi gli stimoli li trovano da soli, per la strada. Qualcuno magari comincia a studiare una lingua e si appassiona ad altre culture, ma è raro che ciò accada; la maggior parte si ritrova di solito in cattiva compagnia e finisce male. Noi educatori dobbiamo evitare che questo accada”.
Christian Eccher
Foto di copertina: Christian Eccher


