In 3 sorsi – Avete mai sentito parlare di gerrymandering? Dal lontano 1800 fino ai giorni nostri, le distorsioni che possono verificarsi nel sistema elettorale uninominale maggioritario statunitense fanno ancora discutere ed una soluzione efficace sembra ancora lontana.
1. COSA È IL GERRYMANDERING?
Il gerrymandering è l’espediente, talvolta considerato poco trasparente e ingannevole, di ridisegnare i confini dei collegi elettorali in modo da favorire un determinato gruppo politico rispetto a un altro. Questo genere di manipolazione può diventare determinante in sistemi elettorali di tipo maggioritario, come quello statunitense, dove “chi vince prende tutto”. Il vincitore si aggiudica tutti i seggi governativi che spettano a quello Stato o territorio in funzione della sua popolazione. Il numero dei seggi viene stabilito in base a un censimento decennale della popolazione statunitense effettuato dal Bureau of the Census. A seguito di questo censimento la popolazione di ogni Stato viene ripartita in collegi elettorali, ossia in aree territoriali di voto che dovrebbero essere il più omogenee ed equilibrate possibile, in modo da garantire a tutti i candidati pari opportunità di essere eletti. In realtà può verificarsi che i confini che demarcano i vari collegi elettorali vadano a favorire uno dei candidati rispetto agli altri. Due sono le tattiche fondamentali attraverso le quali questo favoritismo o gerrymandering può avere luogo : il “cracking” e il “packing“. Il primo consiste nel diluire l’opposizione in collegi diversi accorpando negli stessi distretti aree rurali e aree urbane, in modo da frammentare le seconde, oppure isolare il capoluogo dalle periferie. Il secondo consiste invece nel raggruppare l’opposizione in pochi collegi cioè unire porzioni di territorio lontane geograficamente, ma con ideologie simili.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – I collegi elettorali per le presidenziali USA seguono la divisione per stati, con un numero di grandi elettori pari alla somma dei rappresentanti alla Camera e al Senato di ciascuno stato
2. LE ORIGINI DEL TERMINE E LA SUA EREDITÀ
Queste tecniche erano note fin dagli inizi dell’Ottocento, quando il Governatore del Massachusetts, Gerry Elbridge, capì come sfruttare a suo favore la distribuzione territoriale del consenso politico in modo da tradurla in un voto a lui favorevole. Propose così un disegno dei collegi elettorali particolarmente contorto che un cronista dell’epoca si divertì a ridisegnare satiricamente con le sembianze di una salamandra, corrispondente al termine inglese “salamander”. In questo modo, dall’unione del nome del suo inventore ”Gerry” e del vocabolo “salamander” è arrivato fino ai nostri giorni il termine “gerrymandering”. Termini antichi con significati ancora attuali. Sono infatti recenti due sentenze della Suprema Corte degli Stati Uniti che hanno confermato la delicatezza delle questioni inerenti ai confini dei collegi elettorali. La prima sentenza ha riguardato il caso Benisek vs Lamone, concernente il redistricting del Maryland che, secondo i ricorrenti, impedirebbe ai repubblicani di eleggere i rappresentanti da loro preferiti, favorendo sistematicamente i democratici. Opposto sarebbe invece il caso del Wisconsin, Gill vs Withford, dove i cittadini democratici sostengono che la mappa dei collegi faccia in modo che il loro voto vada sprecato. Si tratterebbe di due casi in cui è necessario esprimere un giudizio sulla capacità effettiva del gerrymandering di incidere negativamente su una questione strettamente politica, favorendo un partito politico piuttosto che un altro. In passato la Corte Suprema aveva già dichiarato la incostituzionalità di mappe elettorali che determinavano discriminazioni di tipo razziale, di etnia o religione dei votanti, ma, trattandosi qui della più complicata questione del “partisan gerrymandering”, le sentenze sono state meno nette. In sostanza la Corte ha evitato di prendere una posizione netta e di dichiarare la incostituzionalità delle mappe dei collegi degli stati in questione argomentando che mancano di fatto dei criteri oggettivi, stabiliti dal legislatore, che permettano di individuare oltre ogni ragionevole dubbio quando il partisan gerrymandering inficia effettivamente le elezioni. In sostanza la Corte ha ribadito la separazione dei poteri e ha sottolineato che decidere su questo punto non spetta a lei, ma al Governo eletto, che deve fissare delle regole sicure in base alle quali poter individuare la effettiva incostituzionalità o meno del redistricting.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Cittadini statunitensi al voto
3. IL COMPUTER SALVERÀ LA RAPPRESENTANZA?
Il fenomeno del gerrymandering offre diversi spunti di riflessione in merito a come garantire la rappresentanza dei cittadini nel mondo moderno, chi deve controllare e soprattutto in base a quali criteri. Considerando che le stesse persone che devono darsi delle regole sono anche coloro che poi possono andare a ridisegnare i confini dei collegi elettorali, determinanti per la propria elezione, non c’è da aspettarsi alcuna soluzione rapida ed efficiente dalla politica. Tuttavia in un mondo come quello nel quale viviamo, dove l’analisi dati e la potenza di calcolo dei computer hanno ormai raggiunto la massima efficienza, un’idea interessante potrebbe essere quella di, una volta individuati dei criteri rigidi in base ai quali stabilire quando un determinato partito politico è oggettivamente svantaggiato rispetto a un altro a causa del disegno dei confini dei collegi, affidare a un calcolatore il compito di redistribuire la popolazione di ogni Stato in collegi il più uniformi ed equi possibile. È quello che cerca di fare il team del prof. Samuel Wang nel Princeton Gerrymandering Project o il Duke Quantifying Gerrymandering Project. L’obiettivo di questi progetti è quello di riuscire a creare un campione abbastanza grande e affidabile di mappe distrettuali non distorte, cioè non ideate in modo da favorire sistematicamente un dato partito politico. Sono state ideate anche delle piattaforme online, completamente gratuite, alle quali tutti i cittadini possono accedere per verificare il grado di equità e giustezza delle divisioni distrettuali. Tra queste un esempio è la piattaforma Plan Score. Di questi software online possono servirsi sia comuni cittadini che legislatori e politici per valutare quanto un nuovo, eventuale, piano di redistricting porti a delle distorsioni nell’espressione del voto da parte dei cittadini, in modo da scegliere la mappa più equa e meno distorta. Sebbene l’effettivo uso di questi strumenti da parte dei legislatori sembri ancora lontano, la matematica potrebbe costituire un buon rimedio contro il gerrymandering.
Eleonora Fabbri