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Nagorno-Karabakh, la versione di Baku

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera dell’Ambasciatore dell’Azerbaigian in Italia, Sua Eccellenza Mammad Ahmadzada, in seguito all’articolo del Caffè “Quale sarĂ  il destino del Nagorno-Karabakh?“, pubblicato il 31 dicembre scorso. Al contempo, teniamo a ribadire che il nostro articolo non intendeva aprire discussioni sulla sovranitĂ  della regione, ma solo far luce sugli sviluppi politici intercorsi nella regione occupata dall’Armenia.

Spett.le Redazione, 

scriviamo in riferimento all’articolo a firma di Chiara Soligo “Quale sarĂ  il destino del Nagorno Karabakh?”, pubblicato nel vostro giornale il 31 dicembre 2019. 

Vorremmo con la presente chiarire alcune questioni.

Il Nagorno Karabakh è un territorio storico dell’Azerbaigian ed è internazionalmente riconosciuto come parte del nostro paese. Il trasferimento degli armeni nel Nagorno Karabakh è il risultato della fine della guerra Russia-Iran (1826-1828), con un notevole aumento nel corso della prima guerra mondiale. Nel 1978 fu eretto un monumento in Karabakh a riprova del 150mo anniversario dell’arrivo degli armeni nella zona, deliberatamente distrutto dagli stessi armeni a seguito del conflitto. Il 5 luglio 1921 il Bureau Caucasico del Comitato Centrale del Partito Bolscevico decise di mantenere il Nagorno Karabakh all’interno della RSS dell’Azerbaigian, non di “trasferirlo” o “assoggettarlo” alla normativa azerbaigiana, contrariamente da quanto tipicamente affermato da fonti armene. Il 7 luglio 1923, il Comitato Esecutivo Centrale della RSS dell’Azerbaigian emanò un Decreto “Sulla formazione della Provincia Autonoma del Nagorno Karabakh” (NKAO) all’interno dell’Azerbaigian. I confini amministrativi della provincia vennero definiti in modo che gli armeni ne rappresentassero la maggioranza. Al momento dello scoppio del conflitto la percentuale di popolazione di origine armena e azerbaigiana era rispettivamente il 70% e il 30%.

L’aggressione militare da parte dell’Armenia contro l’Azerbaigian ha portato, da ormai quasi 30 anni, all’occupazione militare del 20% dei territori dell’Azerbaigian, inclusa la regione del Nagorno Karabakh e i sette distretti adiacenti, il 100% della cui popolazione era azerbaigiana, e ha avuto come conseguenza una pulizia etnica contro gli azerbaigiani nei territori occupati – con circa 1 milione di rifugiati e profughi interni, e la distruzione di tutti i monumenti storici azerbaigiani presenti nel territorio. L’Armenia ha violato gravemente il diritto internazionale umanitario e commesso numerosi crimini di guerra, tra cui il genocidio di Khojaly, l’evento piĂą drammatico del conflitto, che ha visto l’uccisione di 613 civili azerbaigiani, per mano dell’esercito dell’Armenia, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1992.


L’articolo fa riferimento alla così detta “Repubblica dell’Artsakh”, ma per quanto esposto è chiaro che non esista un’entità così chiamata, poiché non è stata riconosciuta da nessun paese al mondo, inclusa la stessa Armenia: questo è un regime fantoccio creato dall’Armenia per mascherare l’aggressione militare da parte sua verso l’Azerbaigian. Ne consegue che tutte le così dette “elezioni”, organizzate in questo territorio occupato, sono state considerate illegali e duramente criticate da parte della communità internazionale, incluse le pertinenti organizzazioni internazionali. Per questo, i riferimenti da parte dell’autore a così dette “elezioni”, “referendum” o “partiti politici” risultano ingannaevoli per i lettori.

Nonostante questo conflitto, l’Azerbaigian negli ultimi anni ha ottenuto importanti risultati nello sviluppo socio-economico, e ha realizzato rilevanti progetti strategici di trasporto e di energia, che hanno contributo alla crescita, integrazione e benessere nella regione. Invece l’Armenia, per la sua politica ostile nei confronti dei suoi vicini e l’aggressione militare contro l’Azerbaigian, è rimasta esclusa da tutti questi progetti strategici e vive una situazione di grande povertà e forte spopolamento da parte dei suoi cittadini, che abbandonano il proprio paese per una vita normale all’estero. Allo stesso tempo, la nuova dirigenza politica del paese, dopo aver ottenuto il potere come conseguenza delle forti proteste in Armenia per la grave situazione socio-economica, ha rilasciato una serie di dichiarazioni contradittorie, minacciando il processo di pace e sorprendendo la comunità internazionale, che si aspettava una presa di posizione positiva rispetto alla dirigenza precedente. Per le nuove autorità dell’Armenia, la soluzione dei gravi problemi socio-economici deve passare innanzi tutto dall’ottenimento di un accordo con l’Azerbaigian e perché ciò avvenga è necessario il ritiro delle forze armate dell’Armenia dai territori occupati dell’Azerbaigian: la presenza delle truppe di occupazione rappresenta il principale ostacolo alla pace.

Senza il loro ritiro e il ripristino della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian nei suoi confini internazionalmente riconosciuti e senza il ritorno alla situazione demografica pre-conflitto – e quindi il rientro dei rifugiati e profughi azerbaigiani nei propri territori, incluso il Nagorno Karabakh, non sarà mai possibile risolvere il conflitto.

Quanto esposto è in linea con numerosi documenti delle organizzazioni internazionali, incluse le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite,  il diritto internazionale e l’Atto finale di Helsinki.

Sperando di aver fatto chiarezza per i vostri lettori, e restando a disposizione per fornire ulteriori dettagli,

Cordialmente, 

Mammad Ahmadzada

Ambasciatore

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’UniversitĂ  “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualitĂ  di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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