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Per un nuovo paradigma geopolitico

Il “Caffè” intervista Emidio Diodato, professore di Scienza Politica all’Università per Stranieri di Perugia. Nel suo ultimo libro, Diodato traccia quali potrebbero essere i nuovi scenari geopolitici, alla luce della divisione del mondo in blocchi e della crescita inarrestabile di potenze asiatiche come la Cina. In tutto questo, come si caratterizza il ruolo dell’Unione Europea?

Il paradigma geopolitico”, nuovo libro di Emidio Diodato, docente di Scienza Politica presso l’Università per Stranieri di Perugia, svela al suo interno una grande novità, frutto della rivisitazione della lettura tradizionale delle relazioni internazionali: la multipolarità creatasi dopo il crollo dei due blocchi alla fine della Guerra Fredda può essere interpretata come la garanzia di un nuovo equilibrio e di maggior ordine nell’assetto politico attuale.

“Sì, accanto al ruolo dirompente della Cina e all’osservazione dei grandi spazi di civiltà, utili a comprendere meglio il ruolo dell’Occidente e dell’Islam, si aprono nuovi scenari anche per l’Unione Europea, che potrebbe divenire un attore decisivo per una maggiore multipolarità nel sistema internazionale, ovviamente attraverso una politica estera più incisiva, anche in considerazione o a fronte del processo di allargamento”.

Crede che i Balcani e in particolare la Serbia possano essere inclusi geograficamente, politicamente e storicamente nello spazio europeo, oppure appartengano ancora alla sfera turca?

“L’iniziativa dell’UE di divenire un soggetto politico nell’area balcanica si è rivelata fallimentare durante gli anni ’90, ma ha ottenuto dei successi negli anni successivi. Molto spesso si tende a guardare alla politica estera europea in maniera pessimistica: sappiamo tutti che la politica estera europea è un fantasma, ma bisogna anche osservare l’altra faccia della medaglia. Forse è un errore pensare che l’allargamento europeo possa e debba procedere sempre allo stesso modo, magari con accelerazioni più o meno brusche, come è accaduto durante la Guerra Fredda, con paesi abbastanza omogenei tra loro. Per questo vedo nei Balcani un’area nella quale l’UE può svolgere una propria politica estera, e quest’ultima è importante per definire l’identità europea. L’Europa potrebbe cercare di definirsi proprio dandosi un ruolo rispetto al suo “spazio di relazione” nei Balcani. Non mi aspetto che i paesi della ex Jugoslavia entrino a far parte dell’Europa trasformandola in un luogo sempre più grande e accogliente, ma che ci sia una politica estera europea in grado di instaurare un dialogo diretto e costruttivo. Non ne parlo nel libro, ma penso che la Serbia possa sicuramente essere la protagonista di questo processo”.

Alla luce del processo di allargamento, come si configura il ruolo di grande potenza dell’UE a fronte del deficit di rappresentanza e di coesione identitaria che affligge il suo sistema?

“Nel libro faccio due ragionamenti: il primo è che l’UE deve definire se stessa anzitutto nel       Mediterraneo, intendendo per tale quello che negli anni ’80 nei circoli militari italiani chiamavamo “Mediterraneo allargato”, e che include anche i Balcani. Il secondo ragionamento è che questa Europa può giocare una partita nell’Africa Sub-sahariana in aperta concorrenza con gli Stati Uniti e la Cina. Naturalmente sono consapevole del doppio limite, e dell’effettiva capacità dell’UE di attuare una propria politica estera. A questo si lega il problema interno dell’identità europea e del deficit di rappresentanza. Tuttavia credo che la democrazia in Europa sia totalmente trasformata: oramai sono gli esecutivi che hanno in mano il potere legislativo. È una polemica tutta italiana che l’attuale Governo usi i decreti per smuovere il Parlamento, ma oramai tutte le riforme importanti passano con la fiducia nei Parlamenti attraverso un potere automatico e diretto di tipo legislativo da parte degli esecutivi. Allora il problema del deficit democratico europeo è che a livello europeo il potere decisionale legislativo è in mano agli esecutivi. Ma cosa cambia rispetto agli Stati nazionali? Siamo certi che il deficit di rappresentanza europeo sia diverso dal deficit di rappresentanza degli Stati? Il problema della ristrutturazione delle istituzioni e della qualità della democrazia si affronterà a livello europeo, l’unico livello possibile”.

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Zigmut Bauman ha scritto: “Chi è pronto a morire per Solana?”. Un quesito che mette in luce l’assenza di coesione tra i popoli europei. I Balcani sono un crogiolo di etnie e di religioni: quali effetti può avere sull’UE, e sulla sua coesione, l’inclusione di popoli così diversificati tra loro?

“Credo che l’aspetto culturale sia centrale, ma non sia l’unico. Sicuramente l’Europa deve esprimere una propria identità culturale per poter agire sul piano strategico ed economico, ma questi processi sono simultanei. Però sono d’accordo, penso che l’attuale Europa dei 27 sia un’istituzione giuridica che non tiene. L’Europa deve pensarsi come uno spazio di tipo “imperiale”, quindi uno spazio niente affatto omogeneo, che ha un suo nucleo forte e una serie di regioni che volontariamente — e ciò la distingue da un vecchio impero del passato — ruotano intorno a questo nucleo. Quindi i Balcani, e la Serbia, non sono uno spazio di relazione che deve essere assorbito dall’Europa, ma una “jugosfera” che ruota liberamente intorno all’Europa. Il nucleo d’origine dell’Europa, il nucleo propulsore, resta l’asse franco-tedesco. I francesi e i tedeschi sono due popoli che hanno una grande responsabilità, e hanno oggi un compito molto importante. A mio giudizio hanno smesso di contrapporsi nei termini con cui  von Clausewitz li ha descritti, e tuttavia sono lontani dall’essere capaci di produrre quel salto di qualità del quale l’Europa ha bisogno. Sicuramente Kohl e Mitterrand hanno avuto un grande merito. Oggi Sarkozy e Merkel hanno un profilo e una statura politica decisamente inferiore. Però non è detto che non possano emergere dei leader europei, a partire da Francia e Germania, in grado di accogliere sfide ancora più complesse rispetto a quelle che già stiamo affrontando, quindi capaci di parlare con la Gran Bretagna per stabilire un dialogo anche con gli Stati Uniti e decidere del futuro dell’Europa”.  

La popolazione cinese è sparsa in tutto il mondo: in Serbia, ad esempio, ci sono 50mila cinesi. Nel libro parli di tre archi della Cina, di cui il secondo rappresenta la diaspora della popolazione cinese. Come si può collegare questa questione con i parametri geoculturale, geostrategico e geoeconomico (di cui parla sempre nel libro) in uno scenario di polarità complessa in cui la Cina potrebbe assurgere al ruolo non solo di potenza regionale, ma anche di potenza globale?

“Uno scenario non è una previsione, almeno per il linguaggio scientifico che io adotto. Nel libro non faccio previsioni, poiché non credo che oggi siano possibili previsioni per un periodo più lungo dei due, tre mesi. Allora a cosa serve lo scenario? Lo scenario è un esercizio intellettuale. Ho scelto di lavorare su uno “scenario plausibile” e non su più scenari, perché così si costringe la mente ad una riflessione più precisa e quindi ad un confronto. Io suggerisco il seguente scenario: non c’è alcun dubbio che gli Stati Uniti restino oggi l’unica superpotenza del mondo. Hanno una capacità di governo del mondo decisamente superiore a quella degli altri paesi, soprattutto da un punto di vista militare. Eppure il potere degli USA è in diminuzione, soprattutto nei territori a loro più prossimi, e cioè quelli che sono stati storicamente i principali spazi di relazione tanto in Europa, quanto in America Latina, quanto in Giappone. In Asia, in particolare, assistiamo a una decisa, dirompente crescita della Cina, o meglio sarebbe dire della Cina della costa del sud, quindi di un paese virtuale di 200milioni di abitanti. Ecco perché ho adottato un modello composto da “archi”, dato che ragionando in termini di Stati si capisce ben poco. Ho cercato di includere anche un arco che include il Giappone e l’India nello scenario plausibile che vede la Cina come il nuovo polo alternativo agli USA. Naturalmente la strategia della Cina è diversa da quella degli USA, perchè nel caso della Cina vedo soltanto una sfida di tipo geostrategico e territoriale nell’Asia Centrale, e conseguentemente nel rapporto con la Russia all’interno della SCO (Shanghai Cooperation Organization). Per il resto la Cina si sviluppa e si dispiega attraverso la sua diaspora in tutto il mondo, dal Perù al Cile, fino alla Serbia. Penso che in questo scenario ci possa essere una grande finestra di opportunità per l’Europa: se l’UE sarà in grado di darsi un aspetto imperiale potrà giocare un ruolo di terzo tra Stati Uniti e Cina, anche se i primi non vedono di buon occhio questo divenire della Cina come polo globale, e agiscono per evitarlo. L’Europa potrebbe opportunamente favorire l’emergere della Cina, per giungere ad un maggiore riequilibrio planetario, non nei termini del vecchio balance of power, ma nei termini di equilibrio geopolitico planetario”.

Alessia Chiriatti

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Alessia Chiriatti
Alessia Chiriatti

Ho conseguito la Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi sul conflitto in Ossezia del Sud ed il titolo di Master per le Funzioni Internazionali presso la SIOI. Ho inoltre conseguito il titolo di Analista delle Relazioni Internazionali con Equilibri S.r.l. Ho infine collaborato con la rivista Eurasia e presso la sede centrale del Forum della Pace nel Mediterraneo dell’UNESCO. I miei principali interessi di ricerca riguardano la politica estera della Turchia ed i suoi rapporti con Siria e Georgia, e si collocano nell’ambito della gestione dei conflitti, della cooperazione alla pace e dei Peace studies.

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