L’Egitto sta oggi percorrendo la road map tracciata dopo la deposizione di Mohamed Morsi dal Presidente ad interim Adli Mansour e dal generale el-Sisi, capo delle Forze Armate e ministro della Difesa. Essa dovrà portare intorno al 20 novembre a un referendum sugli emendamenti alla Costituzione approvata nel dicembre 2012, alle elezioni parlamentari nei primi mesi del 2014 e in seguito a quelle presidenziali. Intanto la galassia di schieramenti, laici e non, che nel 2011 aveva contribuito alla caduta del rais si è evoluta tra errori strategici e riorganizzazioni, defezioni e novità positive, ma la confusione e le strumentalizzazioni riguardo al suo rapporto con gli altri attori in gioco sono molte.
LA TERZA VIA: CHI ERA… – Nei frenetici giorni di gennaio-febbraio 2011, l’opposizione al regime di Mubarak era costituita da forze eterogenee, l’unione delle quali ha permesso, anche a seguito della discesa in campo al loro fianco dei Fratelli Musulmani in un secondo momento, le dimissioni della figura all’ombra della quale milioni di giovani erano nati e cresciuti. I gruppi che più si sono distinti per l’inedita capacità di mobilitazione, l’innovativo uso dei social network e l’instancabile occupazione di piazza Tahrir sono stati Kullena Khaled Said (“Siamo tutti Khaled Said”), nato dopo l’uccisione del ventottenne Khaled Said per opera della polizia ad Alessandria il 6 giugno 2010, Kifaya (“Basta!”), sorto già nel 2004, e il Movimento 6 aprile, formatosi nel 2008 durante uno sciopero dei lavoratori nella città di el-Mahalla, dove alcuni attivisti erano stati chiamati per sostenere i dimostranti. Tra i partiti politici spiccavano i Socialisti Rivoluzionari, El-Wasat (“Il Centro”), fautore di un connubio tra Islam moderato e liberalismo, e Masr al-Qawiya, (“L’Egitto Forte”), guidato dall’ex membro dei Fratelli Musulmani Aboul Futuh.
…LA TERZA VIA: CHI È – A cavallo tra 2012 e 2013 il diffuso malcontento per la Presidenza di Morsi e i timori per un’ulteriore deriva autoritaria e islamista dopo l’introduzione della nuova Costituzione lo scorso dicembre hanno fatto sì che nascesse Tamarrod, “Ribellione”, enorme raggruppamento anti-Morsi in cui sono convogliati molti oppositori di Mubarak e altri gruppi nati più tardi, come la Tiyar Shabi (“Corrente popolare”) di Hamdin Sabahi, sindacalista ed ex leader del partito Karama (“Dignità”), che con le sue posizioni nasseriste ha sfiorato il passaggio al primo turno alle presidenziali del 2012. Tamarrod è nata con l’obiettivo di spingere Mohamed Morsi alle dimissioni attraverso una petizione che ha raccolto secondo l’organizzazione 22 milioni di firme. È probabile che il dato sia gonfiato, ma è indubbio che il 30 giugno la sua manifestazione sia stata la più imponente da inizio 2011.
I PUNTI DI DEBOLEZZA– Pochi giorni dopo, il 3 luglio, il primo Presidente democraticamente eletto della storia egiziana è stato deposto con quello che, a detta degli Ikhwan (i Fratelli Musulmani) e non solo, è stato un golpe militare. Da quel momento sono risultati sempre più evidenti errori di valutazione, contraddizioni e ingenuità di coloro i quali si erano fatti promotori di una terza via tra la Fratellanza e l’esercito. Innanzitutto, molti ex-rivoluzionari hanno semplicemente considerato esaurita la loro funzione e si sono schierati coi militari, dimenticandosi forse l’origine della Rivoluzione e sorvolando sui mezzi con i quali el-Sisi ha disperso i sit-in pro-Morsi nelle piazze Rabia al-Adawiya e Nahda il 14 agosto, giorno il cui bilancio è stato di centinaia di morti e migliaia di feriti tra militari e soprattutto civili. Un secondo fattore di profonda debolezza è stato la mancanza di progettualità, l’essere stati efficaci “contro” senza però proporre alternative credibili e politicamente mature. Indicativo di tale debolezza e del fatto che senza un deciso cambiamento di rotta Tamarrod non può più rappresentare una terza via convincente tra Ikhwan ed esercito è quanto si legge in arabo sulla home page del suo sito: «Tamarrod, per il ritiro della fiducia al regime degli Ikhwan. Grazie per la tua ribellione, per merito tuo il 30 giugno la Rivoluzione ha vinto». Per molti dunque, la Rivoluzione è conclusa.
I RAPPORTI COL VECCHIO REGIME – Congiuntamente alle varie defezioni di chi è soddisfatto dello status quo creato dall’esercito e alla mancata formulazione di proposte concrete, un ulteriore aspetto che non permette di considerare Tamarrod pienamente credibile è il suo rapporto con i cosiddetti feloul. I feloul sono gli uomini del vecchio regime, sostenitori del Partito Nazionale Democratico di Mubarak che alle elezioni presidenziali del 2012 avevano votato Ahmed Safiq, ex dirigente dell’Egypt Air e ultimo premier sotto il rais. Molti di loro erano convogliati in Tamarrod, che in parte per ingenuità e in parte per aumentare il numero di manifestanti li aveva accolti, sebbene risultasse difficile credere che la loro scelta di aderire al movimento fosse determinata da autentiche istanze democratiche e non dall’ostilità a Morsi. Tamarrod, specialmente nelle sue componenti più laiche, si è infine dimostrato scarsamente capace di dialogare con le opposizioni religiose moderate, prestando il fianco alla politica militare del divide et impera tra le varie forze in piazza nel 2011.
VERSO LE ELEZIONI: LE POSSIBILI STRATEGIE PER RECUPERARE TERRENO – Superare la polarizzazione tra esercito e Fratellanza sembra l’unica scelta possibile. Qualcuno l’ha compreso, e il 24 settembre al Cairo si è tenuta la prima conferenza stampa degli attivisti del nuovo Revolution Path Front, composto da giovani rivoluzionari già oppositori di Mubarak e di Morsi che temono una nuova deriva autoritaria e che non considerano conclusa la Rivoluzione. Personalità come l’attivista Ala Abd el-Fattah, il socialista rivoluzionario Haitham Mohamedeen e il rappresentante del sindacato studentesco Wessam Atta hanno abbandonato la fase disfattista, proponendosi di agire per la creazione di dispositivi legali per l’effettiva uguaglianza tra i cittadini, l’introduzione di un salario minimo e la lotta alla disoccupazione, oggi oltre il 15%. Uno degli elementi innovativi e potenzialmente vincenti del nuovo raggruppamento è poi l’apertura ad alcuni membri della gioventù dell’Hezb al-Hurriyat wa al-Adala, Partito di Libertà e Giustizia, braccio politico dei Fratelli Musulmani. All’interno di quest’ultimo, infatti, le posizioni sul ruolo politico della Fratellanza non sono probabilmente monolitiche come esercito e televisioni filogovernative proclamano, e il dialogo tra le due parti potrà essere più proficuo di quanto non si sia portati a credere. Se questa nuova terza via si dimostrerà in grado di avanzare proposte concrete e di dialogare con gli altri attori in gioco, religiosi moderati in primis, avrà un ruolo di crescente rilievo nell’Egitto in fieri. Si dovrà altresì comprendere che una deislamizzazione della vita politica e sociale non imposta dall’alto, ma, invece, risultato di processi democratici, necessiterà di tempi assai più lunghi di quelli della road map oggi in corso, e che il grido di Tamarrod, «Irhal ya fashil!» («Vattene, fallito!») non è stato sufficiente a creare il tanto agognato Egitto democratico.
Sara Brzuszkiewicz