Le “maras” sono gang criminali implicate nei vari traffici illeciti che percorrono l’America Centrale, seminando terrore e violenza. Il Governo del Salvador sta cercando di combattere questa piaga sociale, utilizzando anche l’aiuto della Chiesa cattolica. Ecco come
LE “MARAS”: UNA PIAGA DEL CENTROAMERICA – Non solo spiagge, palme e sole splendente: l’America Centrale è purtroppo una regione caratterizzata da povertà, crimine e violenza. Un recente rapporto divulgato dal centro studi Estado de la Región ha confermato che il Centroamerica è ancora la regione con il più alto tasso di violenza al mondo, che dal 2000 al 2011 è raddoppiato passando da 22 a 40 omicidi ogni 100mila abitanti. In particolare, la grande maggioranza degli omicidi compiuti negli otto Paesi della regione sono avvenuti tra Honduras, Guatemala ed El Salvador, mentre un’eccezione positiva giunge dalla Costa Rica, dove il numero di assassinii è decisamente più basso, pari a 9 ogni 100mila persone. In questi Paesi il crimine è in mano a delle bande organizzate chiamate “maras”, rivali tra di loro e gestori di diversi traffici illegali, principalmente droga e prostituzione. Gli affiliati alle maras portano dei tatuaggi che fanno evidenti riferimenti alla propria banda di appartenenza, obbedendo a un vero e proprio codice di comportamento. Tra le maras più pericolose vi sono le tristemente famose “Salvatrucha” e “Calle 18”.
EL SALVADOR: UN PAESE SULL’ORLO DEL BARATRO? – El Salvador è nel “triangolo” della più intensa violenza centroamericana, dove le difficoltà economiche sono maggiori: circa il 40% della popolazione, infatti, vive sotto la soglia di povertà. Una fetta sostanziosa del reddito nazionale “ufficiale” proviene dalle rimesse degli emigranti, mentre i traffici illegali prosperano. Il tasso di omicidi era nel 2012 di 14 al giorno e la situazione sembrava giunta a un punto di non ritorno. Nel giro di un solo anno, tuttavia, il numero di morti violente è sceso in maniera sensibile fino a 5. Sono i frutti di un lavoro di mediazione intrapreso dal Governo di Mauricio Funes, in carica dal 2009 ed esponente del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale, nato come opposizione di natura guerrigliera alla dittatura militare degli anni Ottanta. I dettagli di tale mediazione rimangono tuttora poco chiari, ma hanno portato a una sorta di tregua tra bande che ha avuto come conseguenza una notevole riduzione degli omicidi.
IL RUOLO DELLA CHIESA NELLA MEDIAZIONE – Non mancano tuttavia le polemiche relative a questa azione di trattativa. Pare infatti che lo Stato si sia servito dei boss delle maras che si trovano in carcere, accettando le loro condizioni purché imponessero la cessazione delle violenze. Va infatti notato che il tasso di crimini non “efferati”, come estorsioni e traffici illegali, non è diminuito di pari passo con gli omicidi. È stato messo in discussione anche il ruolo che ha giocato la Chiesa cattolica locale, sotto l’azione del vescovo Fabio Colindres, che è stato l’artefice del dialogo tra le maras più violente attive nel Paese. Colindres ha saputo guadagnare il rispetto dei leader delle bande, ma dall’altro lato ha esposto la Chiesa all’accusa di scendere a patti con i criminali. In realtà, il Vescovo ha negato ogni coinvolgimento politico e ha ribadito come fosse necessario agire per preservare la vita e la dignità umane, sottolineando l’importanza di offrire delle alternative credibili agli individui che decidono di abbandonare le maras e la vita criminale.
UN MODELLO DA ESPORTARE? – Soltanto pochi giorni fa, il Vescovo ausiliare di San Pedro Sula, in Honduras, ha rivolto un appello al Governo di Porfirio Lobo affinché fosse avviata una trattativa di mediazione con le gang per ridurre la violenza all’interno del Paese. Che il modello di El Salvador possa essere replicato anche nei Paesi limitrofi? Certamente il problema è molto complesso e servono più attori in campo per trovare una soluzione. La Chiesa, per la sua importante azione sociale, è in grado di ottenere un rispetto maggiore in confronto allo Stato. Lungi dall’offrire giustificazioni ai criminali, la strada da seguire per sconfiggere una simile “piaga” non è soltanto la sanzione, ma la prevenzione e la capacità di offrire alternative. Una maggiore cooperazione tra gli Stati della regione in tema di lotta ai traffici criminali potrebbe inoltre portare a un ulteriore miglioramento delle situazioni interne. La Chiesa si configura dunque come un attore che potrebbe giocare un ruolo importante per la sua opera a livello locale, inserita però in un contesto regionale dove servono azioni coordinate.
Davide Tentori