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Sotto gli artigli delle tigri

Cosa c'è dietro gli scontri allo stadio di Genova? Vediamo perchè la Serbia rischia di essere uno Stato ostaggio di un folto gruppo di ex miliziani ed ultras calcistici, che tramite atti d’inconcepibile e becera violenza vorrebbero indebolire il governo di Belgrado, distruggere il sogno europeo dei moderati serbi e sbandierare orgogliosamente i fasti di un pericoloso ultranazionalismo. Con un fantasma malcelato che si agita sullo sfondo: la questione Kosovo

IL CALCIO COME PRETESTO – La riprova di quanto realmente siano pericolose queste frange estremiste si è palesata martedì scorso, prima, durante e dopo la partita di calcio Italia – Serbia valida per le qualificazioni ai prossimi campionati europei di calcio. Gli ultras al seguito della nazionale balcanica hanno impedito il regolare svolgimento dell’incontro scegliendo la miglior vetrina mediatica a disposizione per far parlare di se stessi e delle proprie azioni: scontri con le forze dell’ordine, gesti inneggianti all’ultranazionalismo anti-kosovaro ed inni antisemiti hanno riportato in auge lo spettro di un oscuro passato non troppo lontano nel tempo.

LA RIVENDICAZIONE DEL KOSOVO – Durante lo spettacolo indecoroso avvenuto nello stadio di Genova, ai più attenti non sarà sfuggito un gesto abbastanza eloquente; gli ultras serbi hanno bruciato una bandiera dell’Albania, un atto che indirettamente rimanda al Kosovo, Paese da tempo alla ricerca di una dimensione definita all’interno della cosiddetta “polveriera balcanica”. Le Tigri di Arkan, è questo l’appellativo con cui vengono chiamati i gruppi paramilitari comandati all’epoca della guerra civile da Zeljko Raznatovic detto Arkan, non hanno mai colto di buon grado l’indipendenza e l’autodeterminazione del popolo kosovaro poiché storicamente considerano quell’area geografica come vera e propria culla della propria civiltà. La regione del Kosovo infatti, va sottolineato, presenta una forte multietnicità. Il nord è a schiacciante maggioranza serba, il sud è per lo più d’origine albanese ed inoltre vi sono numerose e differenti etnie sparse per il Paese. Si tratta dunque di un territorio duramente conteso che, soltanto da pochi anni e grazie all’amministrazione straordinaria dell’Onu è riuscito a dichiarare unilateralmente la propria indipendenza (nella cartina sotto: in verde gli Stati che hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, in rosso gli Stati che non l'hanno riconosciuta, in grigio i Paesi che non s sono pronunciati; cerchiate in giallo regioni europee con tendenze separatiste).

GAY PRIDE E GUERRIGLIA– Anche le strade di Belgrado, soltanto pochi giorni fa, sono state scenario di un ulteriore spettacolo inqualificabile. Il Gay Pride, organizzato nella capitale serba, a detta di molti, sarebbe dovuto essere un test di maturità democratica e di tolleranza sociale. Ma l’esito della manifestazione è stato pessimo, consegnando alle cronache numeri da guerriglia urbana: 141 feriti, dei quali 124 poliziotti e 17 manifestanti, 207 persone in stato di fermo ed oltre 100 arresti. Scontri e tafferugli avvenuti a poche ore dall’arrivo nei Balcani del segretario di Stato americano Hillary Clinton, grande sostenitrice di una rapida integrazione della Serbia nell’UE.

ANNESSIONE A RISCHIO – Circa un anno fa, il Presidente serbo Boris Tadic, l’uomo che tenta tra mille difficoltà a proiettare il proprio Paese verso l’Europa, ha sciolto ogni riserva presentando la domanda ufficiale per l’annessione della Serbia nell’UE. Tuttavia, la questione cela aspetti molto delicati e di non semplice risoluzione. A differenza di Slovenia e Croazia, membro UE dal 2004 la prima e nazione ufficialmente candidata la seconda, la posizione della Serbia come d’altronde quella di Bosnia e Kosovo è da valutata attentamente e passo dopo passo dai vertici comunitari. La mancanza di forti garanzie di democrazia ed alcuni chiari segnali d’intolleranza potrebbero rappresentare, infatti, ostacoli quasi insormontabili in vista di una ipotetica ma auspicata annessione di Belgrado.

Andrea Ambrosino [email protected]

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