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2014: l’anno del commercio internazionale?

Oggi ‘diamo i numeri’: dalla più piccola alla più grande, ecco le cinque cifre chiave per l’evoluzione degli accordi commerciali che sono sul tavolo dei negoziati. Dalla TPP alla TTIP, passando per il ruolo di grande escluso, ma sempre più ‘ingombrante’, della Cina

DODICI – E’ il numero dei Paesi coinvolti nella Trans Pacific Partnership (TPP), un accordo regionale che comprende (in ordine alfabetico) Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam. Più ovviamente gli Stati Uniti, che sono attualmente il pivot di questa nuova ‘ondata’ di liberalizzazione economica globale grazie anche al ruolo determinante nella Transatlantic Trade and Investment Partnership (vedi terzo paragrafo). Abbiamo parlato di liberalizzazione economica non a caso: la TPP è infatti ben più di un semplice accordo commerciale in termini di abbattimento di dazi e altre barriere non tariffarie, ma include misure di facilitazione per investimenti, armonizzazione di standard e regolamenti, definizione di standard comuni per la tutela della proprietà intellettuale. Un accordo che dovrebbe concludersi quest’anno (in realtà l’intenzione degli USA era quella di chiudere entro il 2013) e che, oltre ad avere importanti conseguenze economiche per grandi Paesi come Messico, Cile e Giappone (che finalmente potrebbe aprire la propria economia al commercio e agli investimenti stranieri), ha una connotazione geopolitica determinante. Determina infatti la volontà di Washington di guardare a Ovest e di puntare con sempre maggior decisione al Pacifico come regione strategica per il futuro. E la Cina? Andate all’ultimo paragrafo.

379 – Sono gli accordi commerciali regionali (Regional Trade Agreements, RTAs) attualmente in vigore e registrati presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Si tratta di trattati bilaterali o, in alcuni casi, ‘mini-laterali’ nel senso che coinvolgono un numero ridotto di Stati a differenza dei grandi accordi globali partoriti prima dal GATT e poi dal WTO (che, dopo diversi anni di stallo, ha cominciato a ridare timidi segni di vita a dicembre con l’accordo raggiunto a Bali sulla semplificazione delle norme burocratiche doganali). Sono forse troppi? C’è chi pensa che gli RTAs siano comunque il  ‘meno peggio’ (second best) dato che il WTO ha dimostrato nell’ultimo decennio di non riuscire a funzionare in maniera soddisfacente, e che un approccio alla liberalizzazione di tipo incrementale sia comunque da ritenersi positivo. I detrattori invece sostengono che questa “spaghetti bowl”, un complicato intreccio di accordi, produca effetti negativi come inutili sovrapposizioni o aumenti le inefficienze, portando i Paesi che firmano accordi bilaterali a scambiarsi prodotti che potrebbero ottenere a prezzi più vantaggiosi da altri partner. Unione Europea e Stati Uniti sono i “campioni” di questa strategia, nella quale sono vincitori potendo contare su un maggior potere contrattuale.

545 – Euro. Si tratta dei vantaggi economici attesi in media per ogni famiglia europea dall’accordo tra Unione Europea e Stati Uniti sulla TTIP, un accordo di libero scambio che, qualora andasse in porto, rappresenterebbe il più importante risultato – in termini quantitativi – in termini di liberalizzazione commerciale e di investimenti. La TTIP porterebbe 120 miliardi di euro aggiuntiviall’economia della UE e 90 a quella statunitense, con vantaggi per i consumatori stimati in oltre cinquecento euro annuali. Tali stime si prestano tuttavia a facili critiche, dal momento che è ostico, se non impossibile, considerare globalmente tutte le variabili in gioco (profondità dell’accordo finale, professione esercitata dal consumatore, profilo di consumo e preferenze della famiglia…).

Il direttore generale del WTO, Roberto Azevedo, reduce da un piccolo successo al vertice di Bali
Il direttore generale del WTO, Roberto Azevedo, reduce da un piccolo successo al vertice di Bali

2015 –  L’anno in cui la TTIP potrebbe entrare in vigore, se i negoziati procedono senza intoppi. I negoziati tra UE e USA sono giunti al terzo round e l’intento è di concludere entro un anno. Obiettivo difficile, ma possibile. L’accordo potrebbe davvero offrire prospettive interessanti non solo per le parti in causa, ma anche per terzi soggetti, che trarrebbero vantaggio dalla definizione di regole e standard comuni ed accedere così più facilmente ai mercati europeo ed americano. Inoltre, l’effetto congiunto TPP + TTIP potrebbe davvero aprire ad una nuova fase di liberalizzazione che vedrebbero Washington come il perno centrale, rilanciandone il ruolo come primo attore geoeconomico.

3.87 (TRILIONI) – E’ il volume degli scambi commerciali effettuati dalla Cina nel 2013. Numeri che hanno permesso a Pechino di divenire il primo attore nel commercio mondiale, scalzando per la prima volta gli Stati Uniti. Tale dato rivela non solo la potenza della Cina come attore economico, ma anche la sua dipendenza dal resto del mondo: dato che il PIL cinese è ancora la metà di quello statunitense, è evidente come la domanda estera sia un fattore determinante per la crescita del gigante asiatico, che deve cominciare una transizione verso un modello basato maggiormente sullo stimolo della domanda interna. È indubbio, però, che isolando Pechino sia dalla TPP che dalla TTIP porterà a delle conseguenze non soltanto economiche ma geopolitiche. Quali saranno? Starà agli USA, ma anche all’UE, decidere quale strategia adottare con la Cina: di certo l’idea di un piano per escluderla non sembra la scelta migliore. Sarebbe anzi opportuno sfruttare il positivo raggiungimento di tali accordi per convincere la Cina a fare parte di un sistema multilaterale, convincendola ad adottare regole e standard che permettano a tutti di effettuare transazioni economiche con regole del gioco comuni e condivise. È questa la sfida più grande del 2014 e degli anni a venire.

Davide Tentori

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’Università “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualità di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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