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Il voto della discordia

Le elezioni in Afghanistan non hanno tradito le attese. Come in un copione ben scritto, non è mancato nulla: la violenza, le frodi, una popolazione stoica che va a votare nonostante i pericoli, nonché il confronto tra due mondi, quello della democrazia occidentale e quello delle regole tribali.

LA TRAMA – Al voto del 20 agosto ha partecipato circa il 40% degli aventi diritto, ma il dato in sé non è rappresentativo: in molte province del nord, stabili e relativamente sicure, l’affluenza è stata ben maggiore; nel sud del Paese, sotto forte influenza talebana, molti seggi sono rimasti chiusi. I dati rilasciati dalla Commissione Elettorale Indipendente (IEC), con oltre il 90% delle schede scrutinate, dicono che Karzai ha ottenuto più del 54% dei voti e che quindi sarebbe di fatto il vincitore già al primo turno; Abdullah seguirebbe con il 28%, l’outisder Bashardost con il 14%, il deludente Ghani con il 3%. Ma ecco il colpo di scena: la Electoral Complaints Commission (ECC), che ha il compito di valutare i ricorsi elettorali (col supportato dalle Nazioni Unite), dopo avere già ritenuto fondati diversi degli oltre 700 ricorsi riguardanti le frodi, ha ordinato l’annullamento dei voti di 32 seggi nelle provincie di Ghazni e Paktika ed il numero è destinato a salire. La medesima ECC ha reso noti i criteri per valutare quali seggi debbano ritenersi a rischio di frode, imponendo il riconteggio dei voti in quei seggi in cui la presunta affluenza è stata prossima al 100% oppure dove un singolo candidato abbia ottenuto più del 95% dei voti.Secondo queste regole sarebbero molti i seggi sotto verifica (circa il 2% del totale) e, date le scarse risorse di cui gli organismi elettorali sono dotati, le procedure di controllo potrebbero richiedere mesi. 

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I PROTAGONISTI – Il Presidente Karzai si è sinora astenuto da proclami di vittoria o dichiarazioni pubbliche che potessero accendere le proteste degli oppositori: la sua posizione è particolarmente delicata infatti. Karzai si trova tra l’incudine interna, che vede sempre meno di buon occhio la sua rielezione, dati i pesanti sospetti (e pare anche qualche certezza) di gravi brogli a suo favore, ed il martello degli Stati Uniti, che dopo avere più volte espresso disappunto per l’operato del Presidente si trovano ad affrontare l’ennesima modifica alle proprie strategie militari senza avere una controparte ritenuta affidabile. Lo sfidante Abdullah invece è prodigo di commenti, generalmente cauti ma sempre più spesso volti a richiamare lo spauracchio dei sollevamenti popolari. Sebbene infatti abbia dichiarato che accetterà qualunque verdetto “legittimo” sancito dalla istituzioni elettorali, di fatto il suo parametro di legittimità sembra ben lontano dalla situazione reale. La popolazioneintanto, dopo aver mostrato una partecipazione comunque non indifferente alle elezioni, difficilmente potrà ricordare questa prova di democrazia come una pietra miliare nella ricostruzione del Paese. Ciò non deve però togliere valore a quello che è un verdetto fondamentale di questa tornata elettorale: nonostante otto anni di guerra e di presenza militare straniera, nonostante una frammentazione interna che mal si accorda con il concetto di democrazia occidentale, nonostante la sfiducia nei confronti delle Istituzioni e le gravissime minacce dei talebani, molti milioni di afgani sono andati a votare. Chi per nulla si è reso protagonista è invece la comunità internazionale, che ha sì fornito il supporto tecnico per le elezioni, ma che sembra soffrire di improvviso mutismo sulle questioni più importanti di questo cruciale momento per la missione internazionale in Afghanistan.  

 

IL FINALE A SORPRESA? – Con circa il 5% dei voti ancora da conteggiare, Karzai potrebbe ugualmente rimanere sopra la soglia del 50%; qualora invece dovessero aumentare i numeri dei presunti voti fraudolenti, allora il rischio di una grave impasse sarebbe concreto. Se poi questo dovesse condurre ad un ballottaggio la situazione diventerebbe ancora più critica: l’approssimarsi dell’inverno, la crescente violenza talebana e le tensioni interne renderebbero il controllo del secondo turno elettorale ancora più difficile del primo, aprendo ad ogni tipo di scenario.Se le procedura di verifica imposte dalla ECC dovessero quindi esser rispettate, lo scenario risultante sarebbe dei peggiori: lo stato di “limbo” istituzionale che si creerebbe non troverebbe contromisure già definite, lasciando spazio a soluzioni di compromesso non facili da trovare. In questo scenario il vantaggio maggiore sarebbe del movimento talebano, che potrebbe guadagnare ulteriore terreno a danno delle fragilissime istituzioni, ancor più indebolite agli occhi della popolazione dopo un’elezione che anziché contribuire alla stabilità del Paese rischia di cristallizzare la frammentazione istituzionale e le divisioni interne. 

Pietro Costanzo 14 settembre 2009 [email protected] 

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Pietro Costanzo

Co-fondatore del Caffè e membro del direttivo. Mi occupo di cooperazione internazionale nel settore della sicurezza e di fondi europei. Ogni opinione espressa è strettamente personale.

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