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Ma quanta fame ha questa Cina?

 Un interessante studio della Cepal (Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi) evidenzia gli effetti economici prodottisi dopo l’ irruzione del gigante Cina sul mercato globale, con particolare riguardo alla regione latinoamericana. La crescita esponenziale dell’ “elefante” asiatico e la sua fame di materie prime ha fatto si che le esportazioni, nel periodo preso in considerazione dallo studio, si siano di fatto impennate con conseguenze notevoli sulle bilance commerciali degli Stati di tutta l’ area. Ma dall’ analisi è possibile ricostruire anche un nuovo quadro geoeconomico tutt’altro che omogeneo per gli Stati latinoamericani. Vediamo perché… 

L’ ANALISI DELLA CEPAL – Dal punto di vista squisitamente economico, in diversi studi si rileva una maggiore sincronizzazione nei movimenti commerciali tra la Cina e la regione centro e sudamericana negli ultimi anni. Ma la ricerca statistico-economica fatta dalla Cepal al riguardo è importante perchè aiuta a capire meglio l’ “effetto Cina” sui prezzi delle materie prime a livello non solo regionale ma anche mondiale. Le materie prime, prese in considerazione dallo studio, sono i prodotti energetici quali greggio e gas naturale, minerali e metalli quali rame, ferro e zinco, olii come la farina di pesce e la soia, alimenti e bevande come caffè, zucchero e banane, le carni ed infine prodotti forestali come il legname e la pasta di legno.

Lo studio, presentato ad aprile, calcola il valore totale delle esportazioni dalla regione latinoamericana delle 15 materie prime al fine di poter valutare le entrate sulla bilancia commerciale. Il periodo preso in considerazione va dal 2002 al 2007. Il totale delle esportazioni di questi 15 prodotti dall’ America Latina ammonta a circa 260.000 milioni di dollari nel 2007, il che rappresenta i due terzi delle esportazioni di materie prime della regione e circa un terzo del totale delle entrate derivate dalle esportazioni totali.

Concentrando l’ attenzione sulla Cina ed Hong Kong (Stato sotto amministrazione speciale della Cina), invece, il valore delle esportazioni delle 15 materie prime provenienti dall’ America Latina si aggira tra i 41.000 e i 73.000 milioni di dollari, con un valore medio di 56.000 milioni di dollari, relativamente al 2007 e l’aumento dopo il 2002 è stato di ben 34.000 milioni. Il valore medio citato rappresenta il 21% del valore totale delle esportazioni delle 15 materie prime e il 7% delle esportazioni totali dell’ America Latina.

C’è da sottolineare che gli Stati latinoamericani che sono grandi esportatori in Cina hanno, oltretutto, beneficiato dell’ aumento generale dei prezzi mondiali delle materie prime indotti proprio dalla crescita della domanda cinese, anche nei rapporti commerciali con altri Stati.

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CHI CI GUADAGNA E CHI CI PERDE – L’ effetto delle suddette esportazioni sulle economie della regione, come anticipato, non è stato uniforme. In modo particolare, mentre l’ effetto è stato positivo per gli Stati esportatori netti di queste materie prime, per gli Stati importatori netti è stato negativo a causa dell’ aumento generale dei prezzi di tali materie originati dall’ aumento della domanda proveniente dalla Cina.

Nel dettaglio, gli  Stati sostanzialmente beneficiati dall’aumento del prezzo delle materie prime, hanno ottenuto entrate stimate tra il 20% e il 50%. Questi sono i maggiori esportatori di minerali: Cile, Bolivia e Perù. Un altro gruppo, con entrate che si collocano tra il 7% e il 20%, è formato da tre importanti esportatori di petrolio (Ecuador, Messico e Venezuela) e dalle due economie più diversificate della regione (Argentina e Brasile). Altri quattro Stati hanno avuto modesti riflessi positivi sulle loro bilance commerciali dovuti all’ “effetto Cina”, con incrementi delle entrate al di sotto del 10%. Tra questi si possono annoverare la Colombia e il Paraguay. Infine, ci sono cinque Stati nei quali l’ effetto netto della domanda cinese sui prezzi delle materie prime è stato negativo: le quattro economie centroamericane (Costa Rica, El Salvador, Nicaragua e Panama) e l’ Uruguay. Questo si spiega con il fatto che le entrate derivanti da esportazioni sono state insufficienti per compensare l’ aumento del costo delle importazioni.

Particolare è il caso dell’ economia del Messico che, nonostante gli introiti ottenuti con la vendita del petrolio alla Cina, ha subito comunque degli svantaggi perché ha dovuto vedersela con l’ aumentata competitività delle manifatture cinesi sul mercato statunitense. Questa nuova situazione geoeconomica ha avuto dei riflessi anche sulle bilance commerciali bilaterali tra Cina e i diversi Stati dell’ America Latina, lì dove il Messico e gli altri attori centroamericani presentano grandi deficit commerciali mentre quelli del  Cono Sud hanno registrato degli attivi o surplus.

IL GIOCATTOLO SI ROMPERA’? – In definitiva l’attuale situazione geoeconomica mondiale è questa: c’è un “gigante” come la Cina, che negli ultimi decenni ha avuto un boom economico e commerciale, che per il proprio sviluppo e crescita economica è quindi diventato il principale importatore mondiale di materie prime, soprattutto dalla regione latinoamericana. Dall’ altro lato abbiamo un sistema economico regionale, quello dell’ America Latina appunto, la cui crescita dipende a sua volta dalla massiccia esportazione delle sue materie prime, nonostante il notevole sviluppo industriale degli ultimi secoli. Finora il “giocattolo” commerciale tra queste due aree del mondo sembra quindi funzionare, ma la domanda è questa: cosa succederebbe  in futuro se uno di questi due presupposti o entrambi dovessero venir meno, ovvero se il “gigante” Cina placasse la sua fame o le esportazioni non rappresentassero più  per gli Stati latinoamericani un traino per le rispettive economie? Al momento comunque, per la situazione non solo congiunturale ma anche strutturale dei due sistemi economici, sembra che le cose non siano destinate a cambiare.

Alfredo D’Alessandro

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