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La guerra di Nawaz Sharif

Il Nord Waziristan, santuario dei Talebani pakistani, è sotto attacco del governo di Islamabad. Domenica 15 giugno aerei militari del governo di Islamabad hanno iniziato i bombardamenti nella regione del Nord Waziristan (Pakistan nord-occidentale) con l’obiettivo di colpire e distruggere le milizie talebane.

ZARB-E-AZB – É il nome che il governo di Islamabad ha dato ad un’imponente operazione militare che vede coinvolti 30.000 militari dell’esercito pakistano con l’obiettivo di porre fine, una volta per tutte, al controllo talebano nelle ribelli e mai domate aree tribali del Nord Waziristan. La decisione presa dal Primo Ministro pakistano Nawaz Sharif di mettere in atto un intervento militare così massiccio nelle Federally Administered Tribal Areas (FATA) nasce dopo mesi di falliti tentativi di accordi pace con i talebani pakistani del Tehreek-e-Taliban (TTP). All’inizio dell’anno si era aperto un fragile negoziato tra governo e capi talebani per cercare una soluzione pacifica dopo anni di continui attacchi terroristici che hanno portato violenza e morte in tutto il Paese. Nei mesi scorsi il governo di Islamabad ha lavorato per trovare un punto di incontro che potesse risolvere una situazione politica ormai totalmente sfuggita al controllo del potere centrale. Ma la strada per l’accordo è subito apparsa in salita e in pochi hanno creduto al successo di questa iniziativa. I gravissimi attentati del 24 maggio all’Aeroporto Internazionale Jinnah di Karachi, per mano di terroristi uzbeki, con la conseguente morte di 28 persone, hanno posto definitivamente fine alla via del dialogo.

L’operazione militare Zarb-e-Azb, che coinvolge l’esercito e l’aeronautica pakistana, ha preso il via con una lunga serie di bombardamenti a tappeto su tutta l’area.

LE ZONE TRIBALI, suddivise in 7 Agenzie (Bajur, Khyber, Kurran, Mohmand, Orakzai, Nord Waziristan e Sud Waziristan), sono strategicamente importantissime poiché controllano il Khyber Pass, ovvero il passo di montagna che separa il Pakistan dal confinante Afghanistan. Abitate dalle popolazioni Pasthun divise in molti clan sparsi per tutta la regione, le FATA nascono come entità amministrative semi-autonome ed i loro territori, inaccessibili e pericolosi, sfuggono al controllo della polizia. Di fatto il Pakistan non ha mai concesso pieni diritti costituzionali alle FATA, che “informalmente” seguono costumi e tradizioni non scritte del severissimo e antico Codice Pashtunwali , oltre ad essere ancora soggette alle leggi speciali istituite nel 1901 dall’Impero Britannico conosciute come Frontier Crime Regulation (FRC). Anche dopo la nascita ufficiale del Pakistan, nel 1947, l’esecutivo di Islamabad ha continuato a controllare tali zone attraverso leggi dal retaggio coloniale. I rapporti tra popolazioni delle aree tribali con il potere centrale non sono mai stati idilliaci e si sono profondamente deteriorati dopo l’11 settembre 2001 vista la continua ospitalità offerta dalle tribù locali alle milizie talebane pakistane e afghane, che ne hanno fatto il loro luogo di rifugio e di addestramento militare.

NAWAZ SHARIF sembra oggi più che mai  determinato a distruggere ed annientare tutte le milizie antigovernative nel Nord Waziristan, le quali, nel tempo hanno dato ospitalità ad una serie di gruppi estremisti e di cellule terroristiche oltre confine, come l’Islamic Movement of Uzbekistan (IMU), che sono responsabili della strage di Karachi e i gruppi affiliati ad Al Qaeda e alla rete estremista radicale dei talebani afghani di Haqqani.

Il comandante delle forze aeree pakistane Shahzad Chaudary ha dichiarato al Washington Post che l’operazione militare del Nord Waziristan sarà lunga, ma alla fine si raggiungerà l’obiettivo dieliminare tutti i terroristi nella zona. Ad oggi sono stati uccisi circa 230 miliziani, ma l’operazione è ancora in corso e si prevedono, nei prossimi giorni, altri bombardamenti e violenti scontri a fuoco. Il successo di questa operazione è determinante soprattutto per porre fine sia a una serie infinita di attentati terroristici che ha messo in ginocchio il Pakistan e che negli anni ha provocato moltissimi morti e sia ad una profonda sfiducia del popolo nei confronti delle istituzioni. Questa situazione di instabilità politica e di insicurezza ha inoltre deteriorato i rapporti con il vicino Afghanistan, che accusa apertamente e pesantemente i talebani pakistani (con la compiacenza del governo e sotto la regia dell’onnipresente Inter Service Intelligence – i servizi segreti pakistani)  di essere gli autori di tanti stragi nel paese, e inoltre ha compromesso l’amicizia con Washington, che ha sempre guardato con sospetto  le mosse politiche e strategiche del Pakistan.

Pasthun delle aree tribali - Credit: Jibran Yousafzai Jibs  - www.jibsphotography.info
Pasthun delle aree tribali – Credit: Jibran Yousafzai Jibs – www.jibsphotography.info

IL PREZZO di quest’operazione militare per la popolazione civile è altissimo. Gli abitanti della zona, infatti, continuano a pagare da anni le conseguenze di questo scontro tra governo e miliziani. Le aree tribali del Khyber Pakhunkawa sono tra le più arretrate del Paese, con un livello di scolarizzazione quasi inesistente e con villaggi che non dispongono né di strade né di accessi ai bisogni primari. Sono migliaia le famiglie costrette in questi giorni a lasciare le proprie case per trovare rifugio in zone più sicure. Secono i dati ufficiali del FATA Disaster Management Authority (FDMA), che assiste gli sfollati della regione, nell’ultimo mese sarebbero 17.000 le persone che avrebbero abbandonato i loro villaggi, di cui 800 hanno attraversato il confine afghano raggiungendo le vicine province di Paktia e Khost; in tutto si prevede che circa 628,000 persone lasceranno la regione.

Non è poi cosa facile conoscere il numero delle vittime civili poiché le versioni ufficiali del governo e quelle dei giornalisti presenti sul luogo risultano discordanti. Certo è che bambini donne e anziani sono coloro che pagano più pesantemente il prezzo di una guerra che non capiscono e che non hanno voluto.

IL FUTURO rimane incerto, visto che fino ad ora né gli alleati occidentali come gli USA (con i ripetuti attacchi dei droni), né le precedenti operazioni del governo pakistano sono riuscite ad estirpare il fondamentalismo. Molti, forse troppi gli attori statali e non statali in campo: nazioni che occultamente finanziano e armano i gruppi terroristici, un governo che troppo spesso ha usato le armi e i suoi Servizi Segreti (ISI) per muovere le fila di alleanze poco chiare e che ha messo in atto strategie politiche ai limiti della legalità. Il risultato è che il Pakistan appare, agli occhi di molte potenze occidentali e non, un Paese con obiettivi politici ambivalenti.

C’è poi il forte sospetto che i talebani afghani stiano dando ospitalità a molti dei talebani del Nord Waziristan, i quali riescono a fuggire attraverso il Passo Khyber mischiati ai numerosi sfollati della zona. Questa circostanza darebbe loro la possibilità di riorganizzare le proprie milizie lontano dagli scontri.

Altrettanto importante per la futura stabilità e sicurezza di tutta l’area è capire quali conseguenze politiche avrà il ritiro dell’International Security Assistance Force ISAF dall’Afghanistan, previsto per la fine di questo anno. Non meno rilevanti saranno anche i prossimi risultati delle elezioni presidenziali afghane. C’è da chiedersi quali saranno le mosse politiche del successore di Ahmid Karzai (al momento è in corso lo spoglio del ballottaggio tra Abdullah Abdullah e Ashraf Ghani) e se il nuovo Presidente afghano tenterà la strada del dialogo con i vertici politici  pakistani.

Attualmente il Pakistan è tra i Paesi più esposti ad attacchi terroristici al mondo e proprio per questa ragione Nawaz Sharif non può fallire, ma, al contrario, deve dimostrare sia alle potenze occidentali sia al suo Paese che questa volta il governo è determinato a fare sul serio e a chiudere definitivamente la partita con i talebani.

Barbara Gallo

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Barbara Gallo
Barbara Gallo

Ha conseguito la Laurea in Sociologia con una Tesi sulle donne afghane. E ciò non ha fatto che aumentare la sua passione e il suo amore per quelle terre belle e selvagge e per quelle popolazioni fiere e coraggiose. Collabora con Archivio Disarmo perché sogna la pace e con la Fondazione Pangea perché sogna un futuro migliore per le donne. Attualmente vive e lavora come giornalista pubblicista a Roma.

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