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La charme offensive della Cina in Asia Sud-Orientale

Il Dragone si affaccia nello scacchiere geopolitico asiatico forte delle sue risorse di soft power che, come sostiene Nye, “nascono dal fascino della cultura, degli ideali, e delle pratiche politiche di un paese”. Per comprendere il carattere e gli sviluppi della “charme offensive” cinese sulla regione abbiamo intervistato un esperto di eccezione: il Prof. Johannes Dragsbæk Schmidt, docente di Sviluppo e Relazioni Internazionali dell’Università di Aalborg, ha analizzato con noi i punti di forza e i limiti della nuova diplomazia cinese

 

Intervista a Johannes Dragsbæk Schmidt, Prof. di Sviluppo e Relazioni Internazionali, Università di Aalborg, Danimarca – a cura di Dolores Cabras

 

CG – La “charme offensive” della Cina in Asia Sud-Orientale. Può spiegare in che modo il Paese di Mezzo sta esercitando il soft power nella regione?

JDS – La “charme offensive” della Cina nel Sud-Est asiatico consiste in diverse strategie e tattiche collegate tra loro, che possono essere caratterizzate da neo-mercantilismo e dalla “soft power diplomacy”.

È neo-mercantilista, nel senso che coniuga la politica estera, gli aiuti allo sviluppo, gli interessi e gli investimenti pubblici e privati. La Cina sta più o meno ripetendo ciò che ha fatto il Giappone negli anni settanta e soprattutto dopo il Plaza Agreement nel 1985 che ha segnato un aumento nel valore dello yen e un enorme aumento degli investimenti diretti esteri e degli aiuti allo sviluppo, soprattutto verso il sud-est asiatico. L’obiettivo principale è quello di utilizzare le risorse di soft power (potere di attrazione e persuasione) per creare alleanze escludendo gli Stati Uniti allo scopo di facilitare l’emergere della Cina come potenza mondiale.

 

CG – Perché il Sud-Est asiatico è così importante per la crescita della Cina?

JDS – La stabilità nel Sud-Est asiatico è la chiave per l’espansione della Cina e l’incremento dell’egemonia nell’arena mondiale. La regione è la porta di accesso sostanziale per le risorse naturali come il petrolio (circa l’80% del petrolio della Cina transita attraverso lo Stretto di Malacca, Lombok e lo Stretto di Sunda).

La regione possiede anche significative risorse naturali come il gas naturale, il legname e l’acqua e possono potenzialmente consentire l’accesso della Cina al Golfo del Bengala e all’Oceano Indiano. È inoltre di vitale importanza per la sicurezza della Cina creare un modello di riferimento stabile nel settore economico, alternativo al modello proposto dagli Stati Uniti nella regione. Infine, il Sud-Est asiatico è un mercato enorme, composto da più di 600 milioni di consumatori e l’ASEAN – Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico – sta progettando di creare un mercato unico nel 2015 per beni, servizi e capitali. Poi ci sono importanti ragioni storiche, frontiere comuni e una grande ed influente diaspora cinese in quasi tutti i paesi della regione.

 

CG – Come è percepita nella regione l’ascesa economica della Cina?

JDS – Diversi studi dimostrano che in generale la popolazione nella regione ha un atteggiamento favorevole nei confronti della Cina.

E’ leggermente migliore rispetto a quello dimostrato nei confronti degli Stati Uniti, ma i cittadini del Sud-Est asiatico continuano a preferire il Giappone alla Cina. Tuttavia la percezione della Cina varia da paese a paese. I cittadini nel vicino Vietnam sono i più scettici e le nazioni insulari e musulmane condividono questo scetticismo, mentre la Thailandia guarda positivamente al rafforzamento della Cina nella regione.

 

CG – Quali sono i nodi di tensione e quali le dispute in sospeso?

JDS – Sempre in tema di Vietnam e altri paesi del Sud-Est asiatico ci sono due questioni in sospeso. Una è storica – in Cina c’è la tendenza tra i segmenti di elite a considerare soprattutto il Vietnam, ma anche altre parti importanti del Sud-Est asiatico come parte della sfera cinese della co-prosperità o il “cortile di casa” della Cina (così come gli Stati Uniti percepiscono l’America Centrale). Questa visione chauvinista ha già portato ad una guerra, breve ma brutale, tra il Vietnam e la Cina nel 1979.

L’altro problema è legato alla irrisolta controversia territoriale sulle Isole Spratly e Paracel e ai loro giacimenti di petrolio offshore nel Mar Cinese Meridionale. Questo conflitto ha portato anche a confronti armati e ha coinvolto diverse nazioni come le Filippine, la Malesia, il Vietnam, Taiwan e la Cina che affermano ciascuno la propria sovranità su tutte o su alcune parti delle isole. L’obiettivo principale dal punto di vista cinese è quello di mantenere Washington e il Pentagono fuori dalla disputa, al fine di trattare con esso su una base bilaterale o regionale.

Gli altri paesi sono però favorevoli all’approccio multilaterale, in modo da coinvolgere gli Stati Uniti come un contrappeso al dominio crescente della Cina nella regione e specificamente per evitare azioni militari unilaterali cinesi per le Spratly.

 

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CG – La nuova “diplomazia” cinese crea stabilità nella regione?

JDS – La Cina si approccia al Sud-Est asiatico tenendo in conto l’incisività della politica regionale sostenuta dall’ASEAN e questo ha il potenziale di creare stabilità. In Cina ci sono tre punti di vista diversi o contrapposti rispetto all’ascesa del Paese, e ci si chiede se il rafforzamento cinese possa rivoluzionare l’ordine internazionale e regionale. I realisti sostengono che l’ascesa pacifica è una contraddizione in termini e che porterà inevitabilmente al conflitto con il potere dominante o nella regione. Dal punto di vista dei liberali invece si sostiene che la cooperazione e la partecipazione nelle istituzioni regionali e globali potenzialmente saranno in grado di promuovere l’obiettivo di modernizzazione della Cina e di ridurre la prospettiva del conflitto e della guerra.

I costruttivisti affermano che il processo di cooperazione porterà un cambiamento identitario per la Cina, rendendola un membro prezioso della società internazionale orientato al mantenimento dello status quo. Ciò faciliterebbe l’ascesa pacifica della Cina e, indirettamente, la stabilità nel Sud-Est asiatico. Le stesse idee possono essere percepite nel Sud-Est asiatico, dove i liberali disconoscono e disprezzano anche la politica di non ingerenza cinese e di rispetto della sovranità nazionale, che in pratica significa che viene minimizzata l’importanza della democrazia e dei diritti umani. I conservatori ammirano l’efficiente modello di sviluppo autoritario cinese e lo vedono come l’unica alternativa possibile per attirare l’attenzione dell’Occidente sui diritti individuali.

Questo prospettiva essenzialmente realista vede la Cina come una forza stabilizzatrice nella regione e punta a politiche di equilibrio e sicure quale modello da emulare nella regione.

 

CG – Come descriverebbe l’utilizzo delle risorse di soft power da parte dei governi nella lotta contro il terrorismo transnazionale?

JDS – Il terrorismo e le politiche anti-terrorismo non sono in cima alla soft power diplomacy della Cina nella regione. In effetti, la Cina ha usato l’ossessione americana, il terrore e i nemici immaginari per migliorare ulteriormente i propri interessi nella regione, stabilendo alleanze regionali con l’obiettivo di creare una soft-security, cercando di includere l’India nella Shanghai Cooperation Organization (SCO) e creando ulteriori legami importanti con le élite militari in tutta la regione.

La lotta al terrorismo attraverso l’utilizzo delle risorse di soft power è stato un successo, nel senso che la lingua, il cinese mandarino, è diventata sempre più popolare, i film cinesi, le canzoni e la letteratura stanno esplodendo nella regione e in generale la cultura cinese frena l’influenza delle piccole bande di terroristi nella regione, che in gran parte sono gruppi locali e non connessi ad Al Qaeda.

 

CG – Quali sono gli interessi geoeconomici e geopolitici cinesi in Asia Sud-Orientale?

JDS – Il rinnovato interesse della Cina e il suo impegno bilaterale con il Sud-Est asiatico si incanala in diversi settori. Prima di tutto si riscontra l’aumento degli aiuti allo sviluppo e del volume degli scambi, poi l’aumento degli investimenti diretti esteri sia verso l’interno sia verso l’esterno. Altro settore nel quale si rileva il forte coinvolgimento cinese è quello attinente alla sicurezza, alla difesa e alle questioni diplomatiche ad esso connesse, dovuto al bisogno della Cina di acquisire fonti energetiche quali petrolio e gas. Questa strategia è tutelata da un “ombrello” regionale e multilaterale. Il rapporto della Cina con l’ASEAN è influenzato dal modo in cui lo Stato controlla e gestisce la sua crescita ed influenza all’estero attraverso il doppio regime commerciale della promozione delle esportazioni e delle importazioni. La Cina cerca di rassicurare i suoi vicini, sostenendo che la sua crescente importanza regionale è una condizione del tipo “win-win” per tutti. Pechino sembra intenta a perseguire una diplomazia più attiva intorno alla sua periferia meridionale nel Sud-Est asiatico: l’esercizio della “diplomazia del renminbi” (la moneta cinese) e la difesa della cooperazione e del mix di interessi geopolitici e geoeconomici sono finalizzati a perseguire l’obiettivo di creare una pacifica e prospera regione favorevole alla Cina. Il tempo ci mostrerà se questo si concretizzerà o meno.

 

CG – L’efficiente modello di sviluppo economico della Cina rafforza il suo ruolo nella regione?

JDS – Non c’è dubbio che per le elite conservatrici dominanti (militari ed economiche) in Vietnam, Cambogia, Thailandia, Myanmar, Malesia, Brunei e Singapore, il modello cinese di sviluppo economico è molto allettante. Può essere sfruttato per reprimere il dissenso e su una qualsiasi minaccia per gli interessi dell’elite. D’altra parte, le organizzazioni della società civile, i sindacati e le forze di opposizione in tutta la regione sono molto scettiche e vedono la dittatura del “one-party state” come una minaccia per le organizzazioni di massa e la libertà di espressione, sia che si realizzi su internet e sulla stampa che in strada.

 

CG – In che modo la “diaspora cinese” ha favorito la crescita dell’influenza del Dragone nella regione?

JDS – Pechino sta in realtà usando il nazionalismo e la “gloria della civiltà cinese” per instillare un senso di unità tra i cittadini cinesi a livello nazionale e tra i cinesi emigrati nel Sud-Est asiatico. Anche se Pechino sa che il nazionalismo dilagante, che ha astutamente sfruttato per costruire un nuovo orgoglio asiatico e consolidare il sentimento identitario, potrebbe costituire un pericolo per la propria stabilità interna, spera comunque che esso possa aiutare a stabilire un nuovo sistema politico, economico, culturale e di sicurezza in Asia, in seno al quadro ASEAN +3. La Repubblica Popolare Cinese spera ardentemente che questa strategia possa aiutare a realizzare, in ultima analisi, una Comunità dell’Asia orientale sotto la sua leadership. Per realizzare la sua ascesa pacifica, la Cina sta adottando una combinazione sofisticata di interventi nei settori commerciali, di misure per accrescere le relazioni basate sulla fiducia, e anche di assistenza allo sviluppo al fine di affermarsi come un importante leader mondiale e regionale e i cinesi della diaspora giocano un ruolo importante.

Naturalmente il richiamo del confucianesimo offre a Pechino un indubbio vantaggio comparativo nel suo approccio di soft power!

Così la Cina coltiva e nel contempo trae benefici dai migranti cinesi che dominano lo sviluppo economico della regione e, in alcuni paesi come la Thailandia, occupano sempre di più la scena politica. Sarebbe ingenuo credere che la Cina non sia interessata ad esercitare un’influenza dominante sulla regione, la forza del commercio e della finanza saranno con probabilità le future leve di scelta, forse guidate da una moneta regionale forte. Per quanto i cinesi siano più etnicamente esclusivisti degli americani e di alcuni europei, sono altrettanto desiderosi di vedere la propria cultura e le proprie tradizioni adottate da altri – come un segno di civiltà. Allo stesso modo sempre più turisti cinesi visitano la regione e cominciano anche a dominare il turismo. La risposta del settore dei servizi sarà quella di adattarsi al gusto cinese e ai suoi parametri. Questo si tradurrà inevitabilmente in una rinascita della cultura e della lingua cinese nelle comunità locali. Uno dei gruppi linguistici cinesi che crescono più rapidamente si trova in Malaysia, dove l’insegnamento della lingua cinese perdura da oltre un secolo.

L’utilizzo della cultura come strumento di diplomazia mette in evidenza il carattere “teatrale” dell’azione strategica cinese che tende ad esagerare sapientemente i legami parentali, etnici e nazionali tra la Patria e le comunità di cinesi emigrati. Ma riflette anche il maggiore favore con cui il governo cinese guarda all’esercizio del soft power come strumento fondamentale da sfruttare in campo diplomatico. La stampa cinese, i programmi televisivi, la musica, il cibo e la cultura popolare si stanno diffondendo in tutta la regione, come mai prima. Così, pure, vale per i turisti cinesi che si diffondono a ventaglio in tutta la regione, spesso riempiendo il vuoto lasciato dai turisti americani dopo l’11 settembre, dopo l’attentato di Bali, e lo tsunami; 800.000 cinesi hanno visitato sia la Thailandia che il Singapore nel 2004.

In questo modo si può sostenere con certezza che le comunità etniche che guidano gli affari cinesi nel Sudest asiatico hanno facilitato la promozione della Cina nell’economia globale, non da ultimo, attraverso il loro coinvolgimento reciproco in più di 100.000 joint-ventures in Cina. Si può anche sostenere che la migrazione cinese è stata utilizzata non solo come una risorsa in Cina per finanziare le riforme economiche sia nel passato che nel presente, ma ha rappresentato un’importante risorsa simbolica per la costruzione del nazionalismo cinese.

 

CG – Il soft power cinese e quello statunitense: quali similitudini e quali differenze?

JDS – A differenza di George Bush, l’amministrazione Obama ha emulato parte della strategia cinese di soft power e minimizzato l’ossessione realista per il terrorismo.

Ora Hillary Clinton si concentra sullo smart power e mira ad ottenere la leadership nel Sud-Est asiatico in modo “intelligente”.

Tenute in conto le altre importanti implicazioni, occorre sottolineare che gli Stati Uniti hanno negoziato un accordo per stabilire una base militare nell’ex teatro di guerra del Vietnam, come un modo per contrastare l’emergente egemonia della Cina nella regione.

Washington ha inoltre adottato un atteggiamento più amichevole e collaborativo nei confronti delle elite militari e civili nella regione, nel tentativo di reinserire e riequilibrare la sua influenza.

 

CG – China’s climate change policy: un modello per i Paesi del Sud-Est asiatico?

La politica climatica della Cina sta cambiando rapidamente e questo fatto, unitamente alla maggior parte delle altre politiche adottate nel Paese, è potenzialmente in grado di influenzare e cambiare la prospettiva piuttosto conservatrice del “climate change” nella regione. Anche in questo caso gli effetti non sono immediati ma si proiettano nel futuro.

 

Dolores Cabras

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